Nelle pagine di questo volume l'Autore ricostruisce un periodo decisivo della storia d'Italia che si colloca tra lo scoppio della prima guerra mondiale e la conclusione della seconda e include in poco più di un trentennio il tramonto del sistema politico liberale e la nascita, lo sviluppo e la fine della dittatura fascista. Quest'ultima si lega, a sua volta, alla debolezza della tradizione democratica italiana e al protrarsi di caratteristiche negative che hanno accompagnato, e per certi versi inquinato, la nostra vita politica fin dall'inizio della unificazione nazionale. La narrazione è attenta agli aspetti politici, sociali, culturali ed economici della nostra storia ed è caratterizzata da un'esposizione sempre chiara. Nell'ultima parte una particolare attenzione è dedicata al drammatico biennio in cui l'Italia è spaccata in due e divisa tra i partigiani combattenti nelle città e sulle montagne e i seguaci della Repubblica Sociale Italiana alleati alla Germania di Hitler. Sono gli anni decisivi anche dal punto di vista culturale per la fondazione della democrazia repubblicana in cui tuttora viviamo e per il riscatto degli italiani dall'oppressione dispotica della dittatura di Mussolini e dei fascisti.
Gli anni di Bonaparte in Italia costituiscono un terreno largamente arato dalla storiografia. I molteplici studi al riguardo hanno però spesso finito per privilegiare le numerose realizzazioni in merito al rinnovamento civile e all'ammodernamento delle strutture di governo, poco sostando invece sul concreto significato politico di quella stagione. Autoritarismo e accentramento di governo hanno così stretto a tenaglia la lettura degli anni napoleonici, molto sminuendo il loro significato sotto il profilo della pratica rivoluzionaria e della nascita di una originale cultura politica. Questo libro, che riassume molteplici studi condotti al riguardo dall'autore, suggerisce una lettura diversa di quella stagione, dove - molto insistendo sull'eccezionalità (e sulla longevità) della generazione politica comparsa sulla scena all'arrivo di Bonaparte - si sottolinea la centralità degli anni che dal 1796 corrono sino al 1821 nel processo di costruzione del movimento nazionale di secolo XIX. Mediante la dettagliata analisi dell'impatto dell'invasione napoleonica su tutta la penisola (e di rimbalzo anche sulle due isole maggiori, mai direttamente invase dalle truppe francesi), queste pagine prospettano cosi un altro quadro della cultura politica del Risorgimento, dove i tratti, puntualmente accreditati, del liberalismo conoscono una forte attenuazione e si sottolinea, invece, come l'ideale dell'unità italiana avesse radice profonda nell'azione di una generazione, cresciuta con Bonaparte.
Nell'età napoleonica l'Italia, come larga parte dell'Europa, è investita da un processo impetuoso e spesso disordinato di modernizzazione che in breve tempo rinnova radicalmente le istituzioni, le strutture economiche, la vita sociale e culturale immaginato per lunghi secoli - come scrive Montesquieu - "au coin du monde", ai margini della grande storia. Pensato sul modello dei grandi dizionari critici, strumento, quindi, di conoscenza e di studio insieme, Italia napoleonica intende fornire, nell'arco di oltre un centinaio di voci e un ricco apparato bibliografico, una esauriente ricognizione delle vicende e dei problemi di un'epoca intensa come poche nella quale - osserva Giuseppe Galasso nelle pagine introduttive - "la questione nazionale italiana venne percepita come la grande e fondamentale questione degli Italiani".
In occasione dei 150 anni dell'Unità viene ripresentata un'importante raccolta di scritti di uno dei padri "spirituali" del Risorgimento il moderato cattolico e monarchico Cesare Balbo, figlio di Prospero che era già stato ministro nel Piemonte della Restaurazione. La sua "Storia d'Italia" uscita nel 1844 suscitò un certo scalpore, ecco cosa scrive il conte di Cavour della Storia d'Italia in una lettera al Balbo del 1844: "Ho letto o piuttosto divorato due terzi del vostro libro. Mi mancano le parole per esprimere in poche righe i sentimenti di simpatia e ammirazione che mi ha fatto provare. È un'opera magnifica, ma più ancora una grande e bella azione. L'Italia vi dovrà la verità che nessuno sa od osa dirle. Quale che sia il giudizio del momento, siate certi che la posterità confermerà quello che vi ho appena detto in un modo così imperfetto". Oltre a questo scritto, che influenzò tutta la generazione successiva degli storici piemontesi, si pubblicano altri scritti come le memorie sui moti del 1821, sul progresso della letteratura cristiana, tutte opere importanti per capire meglio la personalità complessa di Cesare Balbo, tutte opere difficili da trovare e che rendono prezioso questo classico.
L'Italia cerca unità. Essa vuole costituirsi nazione una e libera. Dio decretava questa unità quando ci chiudeva tra l'Alpi eterne e l'eterno mare. La storia scriveva unità sulle mura di Roma; e il concetto unitario ne usciva così potente che varcando i limiti della patria, unificava due volte l'Europa. Prefazione di Maurizio Viroli.
Ormai da diversi secoli la legge del taglione e il criterio dell'"occhio per occhio" vengono considerati espressioni di una cultura barbarica e orripilante, per fortuna quasi ovunque superata. Una volta esorcizzato, il fenomeno è però lontano dall'essere compreso, sia storicamente che teoricamente. L'"antiteoria della giustizia" proposta da William lan Miller abbandona le mere astrazioni alle quali ci aveva abituato la filosofìa politica degli ultimi decenni e considera "occhi, denti, mani e vite" come concrete e precise unità di misura per pareggiare i conti, per ristabilire gli equilibri personali e sociali violati e per evitare l'anarchia dello scatenarsi di rappresaglie indiscriminate ed eccessive.
A differenza del nazismo al quale sono stati dedicati studi di storia sociale sia da parte di storici tedeschi sia anglosassoni, il fascismo italiano appare ancora privo di una storia sociale complessiva, mentre esso è divenuto oggetto e modello per una lettura culturale del fenomeno totalitario. Questo lavoro si presenta come prima sintesi della società italiana sotto il regime fascista, dagli anni della presa del potere sino alla sua crisi durante il conflitto mondiale, passando attraverso il lungo decennio dell'organizzazione e dell'ottenimento di un consenso tra classi medie e tra ceti popolari. Partendo da studi che hanno ricostruito settori specifici dell'organizzazione di massa del partito (le opere rivolte all'infanzia, alla maternità, ai giovani, al dopolavoro) la mobilitazione della popolazione maschile (la milizia, lo sport) ed analizzato l'insediarsi e l'organizzarsi del regime in provincia, il libro esamina l'incidenza del fascismo nella quotidianità degli italiani, nelle mentalità, nel plasmare paternalismo e conformismo ed anche individua atteggiamenti di resistenza e di dissidenza sociale e culturale.
Che cosa è stata la magia nei secoli, in particolare in quel periodo ritenuto magico per eccellenza, ossia il Medioevo? Quali le relazioni tra magia, scienza e religione, illusione e realtà? Che cosa si intende per magia? Quale il ruolo del Demonio nella magia? Quante immagini del Demonio si sono avute in quei secoli cosiddetti "bui"? A questi interrogativi, come a quello della definizione di "occulto" e di occultismo a cui risposero alcuni dotti del Medioevo, il lettore potrà trovare articolati chiarimenti secondo un tracciato storico individuato su documenti e testi per lo più inediti o poco conosciuti di autori dei secoli XIII e XIV talora conservati in rari incunaboli del secolo XV: una storia della magia che si configura pertanto come una storia della filosofia, della scienza e dell'occultismo nel periodo maturo del pensiero medievale. Il mondo contemporaneo, con tutta la sua sofisticata tecnologia, ha veramente espunto i tratti essenziali della magia dal suo orizzonte?
"La maggior parte dei francesi pensava come Bossuet poi all'improvviso i francesi iniziarono a pensare come Voltaire: è una rivoluzione", scriveva Paul Hazard in questo classico, in cui descrive i mutamenti della coscienza europea dal Rinascimento, epoca del suo massimo fulgore, all'Illuminismo e ai traumatici eventi della Rivoluzione francese. In un tempo breve si verifica la trasformazione da una società basata sull'obbedienza cieca all'autorità del sovrano e del clero a una civiltà fondata sul diritto. Verso il 1680 tutto si mette in movimento: si diffonde l'idea che i moderni sono altrettanto importanti degli antichi, che il progresso deve avere la meglio sulla tradizione, la scienza sulla fede. Un'epoca di transizione in cui il gusto per i racconti di viaggio amplia gli orizzonti e fa vacillare convinzioni acquisite da tempo. Si discute della Bibbia, dell'autenticità dei testi sacri; i liberi pensatori dichiarano guerra alla tradizione. Si parla di religione naturale, di morte naturale, di diritto naturale. Si sogna un'era di felicità sulla terra basata sulla ragione e sulla scienza. Principali artefici di tale mutamento furono alcuni pensatori come John Locke e Pierre Bayle, sostenitori dell'indipendenza della morale dalla religione, di A. Shaftesbury, difensore del principio della tolleranza e di John Toland, che sottoponeva a revisione critica le rivelazioni contenute nei testi sacri, minando così l'autorità della chiesa fin dalle sue fondamenta.
Alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
La "Storia della Shoah", nata sotto la direzione di un collettivo di studiosi italiani coadiuvati da un comitato scientifico comprendente alcuni tra i maggiori specialisti internazionalmente riconosciuti, analizza il genocidio degli ebrei non soltanto come un evento geograficamente e cronologicamente circoscritto ma, più in generale, come un nodo problematico della storia del Novecento. L'evento, con la sua singolarità e la sua estrema condensazione temporale durante la guerra, è inevitabilmente posto al centro dell'opera, che ne ricostruisce il processo, le strutture, le forme, le tappe e gli attori. Ma la Shoah è studiata anche come un problema storico nel senso più ampio del termine, cercando di sondarne l'impatto sulla cultura del mondo occidentale.
Attraverso le parole degli ultimi protagonisti ancora in vita, il Dvd ripercorre le drammatiche vicende del processo sottolineando i diversi punti di vista e i ricordi di chi a Norimberga era presente nelle vesti di giudice, di militare o di semplice cronista. Straordinarie immagini storiche degli imputati durante il processo sono state montate utilizzando filmati originali inediti provenienti dall'Archivio Statale Russo di Film e Foto di Krastnogorsk e il materiale girato in aula (deposizioni degli imputati, interrogatori, requisitorie finali). Il volume "Il processo di Norimberga tra storia e giustizia" composto dai saggi degli storici Marina Cattaruzza e Istvan Deák ricostruisce oltre al processo propriamente detto anche il dibattito morale prima che giuridico che portò già nel '42 alla costituzione di una "Commissione delle Nazioni Unite per l'investigazione dei crimini di guerra" e poi alla "Dichiarazione sulle atrocità" (con le "prove documentate su atrocità, massacri ed esecuzioni di massa") stilata nel corso del vertice dei ministri degli esteri tenutosi a Mosca nel 43. Dichiarazione che del Tribunale di Norimberga può essere considerata il vero atto di nascita.