«L’utopia di oggi sarà la politica di domani»: con queste parole Emilio Sereni, allora ministro dell’Assistenza Post-bellica, interveniva al «Convegno per studi di assistenza sociale», tenutosi a Tremezzo nell’autunno del 1946, ben sintetizzandone lo spirito.
Nel fervido clima dell’immediato dopoguerra, un nutrito gruppo di politici, studiosi ed esperti italiani e stranieri, riunito sulle rive del lago di Como, discusse a lungo i problemi del welfare e la necessità di riorganizzare l’assistenza, come elemento necessario per la rinascita democratica del paese. Come sostenne nella sua relazione Maria Comandini – che insieme al marito Guido Calogero fu una delle animatrici del Convegno – «l’assistenza sociale è una diversa forma di esercizio e di creazione della democrazia, cioè dell’attitudine degli uomini a risolvere da sé i propri problemi e a conquistare, in un’armonia collettiva, più larghe libertà di vita e migliori opportunità d’azione». In quel quadro veniva a delinearsi il ruolo dell’assistente sociale come figura professionale in grado di contribuire all’affermazione di una maggiore giustizia sociale.
In questo volume sono raccolti saggi di storici, sociologi e assistenti sociali, che rievocano quel periodo e i contenuti del dibattito. Inoltre vengono ristampate le relazioni tenute al Convegno da Maria Comandini Calogero, Paolina Tarugi e Odile Vallin, le “pioniere” del servizio sociale italiano, di cui vengono ricostruite le vicende biografiche, attraverso documenti di archivio anche inediti e ricordi di familiari e collaboratori.
Nel corso del medioevo l’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei era fondamentalmente negativo e si esprimeva anche attraverso le opere di una letteratura antiebraica, al cui interno spiccavano i testi di un monaco cluniacense, l’abate Pietro il Venerabile, e di un convertito spagnolo, Pietro Alfonsi. Gioacchino da Fiore conosceva questi testi, elaborando dal canto suo una posizione del tutto differente. Egli non si rivolgeva agli ebrei per convertirli, ma ai cristiani, per convincerli che con l’incarnazione di Gesù la storia del popolo di Israele non era finita: nel futuro degli ultimi tempi della storia, che secondo l’abate si stava avvicinando nei giorni in cui egli scriveva, gli ebrei e i gentili si sarebbero riuniti in un unico popolo di credenti.
Questa visione, che non trovava precedenti né ebbe seguito, fu affidata a un testo in cui Gioacchino da Fiore accumulava e commentava ampiamente brani delle Scritture sacre degli israeliti – il Vecchio Testamento dei cristiani –, trovandovi la conferma della dottrina della Trinità e la prefigurazione dell’avvento del Messia nella persona del Cristo. In tutto questo egli affidava a se stesso un ruolo analogo a quello del profeta Elia e indirizzava ai suoi ascoltatori una Esortazione a prepararsi ad accogliere insieme ebrei e cristiani alla fine della storia umana
Partendo dagli scritti giovanili per arrivare alle riflessioni mature del carcere, il pensiero di Antonio Gramsci - oggi uno degli autori italiani più tradotti e studiati nel mondo - viene qui messo a confronto con alcuni dei protagonisti della storia nazionale, in "medaglioni" che costituiscono altrettanti tasselli del "mosaico Italia": Dante e Machiavelli, Guicciardini e Foscolo, Garibaldi e Vittorio Emanuele II, De Sanctis e Verdi, Carducci e Pascoli, Croce e Gentile, D'Annunzio e Pirandello, Mussolini e Gobetti... Nel "colloquio" critico con letterati, pensatori, politici, giornalisti di ogni epoca, si conferma l'eccezionale cultura e perspicacia dell'intellettuale sardo, nei cui scritti dimensione storiografica e analisi politica dialogano fecondamente: i ritratti costruiti in questo volume vanno così a compiere una ricognizione della molteplice e multiforme identità di quell'Italia frammentata che da secoli tenta di raggiungere una vera dimensione unitaria.
Questo libro è una vera avventura biografica: traccia la storia della vita e dell'opera di Nikodim Kondakov, pioniere degli studi tardo antichi e bizantini nell'Europa orientale prima e dopo la Rivoluzione russa; ne segue le vicende complesse e drammatiche, dalle origini modeste agli studi, alla fondazione geniale di un intero e innovatore campo di studi: la pionieristica e precocissima storia dell'arte in Russia; alla carriera, luminosa e fortunatissima, e poi ai traumi della rivoluzione, alla vita raminga, alla precarietà e alla dipendenza dai committenti. Attraverso e nonostante queste fasi drammatiche, che sono fasi della storia, e fasi della vita dello studioso, gli studi di Kondakov disegnano una vasta geografia della cultura tardoantica e medievale tra il Mediterraneo e gli Urali; toccano orizzonti lontani, da cui si intravedono le migrazioni dei popoli asiatici e la nascita composita dell'Europa medievale con i suoi valori cristiani; percorrono i tragitti della storia servendosi delle tracce visive lasciate dal passato, dagli oggetti, e dai monumenti. Ricostruire le vicende biografiche ed esistenziali di Nikodim Kondakov è un complemento indispensabile alla comprensione di una fase critica fondatrice della storia dell'arte e anche, più in generale, della storia della Russia e dei paesi che lo studioso attraversò nella sua lunga e tormentata vita.
Intellettuale socialista, membro dell'Assemblea Costituente, studioso del marxismo e del pensiero politico, parlamentare della Repubblica, Lelio Basso è stato anche uomo d'azione e leader di partito. Sulla base di una vasta documentazione d'archivio in buona parte inedita, questo volume racconta la storia del suo rapporto con il PSI dalla Resistenza alla vigilia del 18 aprile 1948, sullo sfondo del conflitto mondiale, dei drammatici scontri sociali del dopoguerra e della divisione del mondo in blocchi. Basso credeva fermamente nelle potenzialità del PSI, e si adoperò per farne un moderno partito di massa, in grado di guidare uno schieramento progressista alternativo a quello democristiano. Basso era altresì convinto che la democrazia non potesse ridursi all'esercizio del voto, ma che dovesse continuamente nutrirsi della partecipazione attiva dei lavoratori e dei ceti sociali emarginati, anche se fino ad allora completamente estranei alla politica. Si impegnò pertanto a tradurre in termini pratici tale aspirazione, provando a fare del PSI uno strumento di alfabetizzazione democratica e un luogo per praticare democrazia. Il progetto bassiano venne tuttavia vanificato dallo scontro ideologico della guerra fredda: la politica come educazione alla partecipazione democratica venne sconfitta dalla politica di potenza. Non fu però vanificato il contributo dato da questa esperienza alla nascita e allo sviluppo di un moderno sentimento di cittadinanza nel nostro paese.
Il 7 maggio 558, poco più di vent'anni dopo l'inaugurazione nel 537, crollò la cupola della basilica di S. Sofia a Costantinopoli. La ricostruì Isidoro il Giovane, e il 24 dicembre 562 la chiesa venne riconsacrata. Ma cosa ha veramente fatto l'architetto bizantino? Isidoro ha dovuto innanzi tutto capire le ragioni del crollo e poi elaborare un progetto che si fondasse sul principio della stabilità, ed è stato per questo costretto a ridefinire gli spazi e ridecorare le superfici interne: è attraverso la rimodulazione degli spazi e delle decorazioni realizzata da Isidoro il Giovane nel 558-562 che la chiesa di Giustiniano, così come la vediamo, è giunta fino a noi. Ed è perciò solo attraverso la conoscenza dell'opera di questo architetto che possiamo valutare appieno uno dei capolavori riconosciuti dell'architettura mondiale.
La storia degli ebrei in Sicilia copre un periodo di oltre mille anni, dall'antichità fino alla loro espulsione, avvenuta nel 1492. L'autore, basandosi su circa 40.000 documenti d'archivio, per lo più inediti, ricostruisce le vicende politiche, giuridiche, economiche, sociali e religiose della minoranza ebraica sull'isola e i rapporti che intrattenne di volta in volta con i romani, i musulmani e i cristiani. Mentre le origini della presenza ebraica sono avvolte nel mistero, con il passare del tempo disponiamo di un numero sempre maggiore di documenti, straordinariamente abbondanti nel tardo medioevo. In quell'epoca gli ebrei in Sicilia erano cittadini a tutti gli effetti, attivi in quasi tutti i settori dell'economia e in diverse professioni; stranamente limitato, anche se non assente, il prestito a interesse, asse portante degli affari per gli ebrei del nord. Tutto questo vide un'improvvisa e rapida fine con l'espulsione ordinata dai re cattolici: circa l'80% degli ebrei scelse l'esilio, mentre gli altri che preferirono convertirsi al cattolicesimo finirono ben presto nelle mani dell'Inquisizione spagnola.
Fra Tre e Cinquecento il Mezzogiorno d'Italia diviene il teatro dello scontro tra le dinastie che si disputano il possesso del Regno, e con esso del Mediterraneo centrale: prima le case regnanti angioina ed aragonese, poi le nascenti monarchie nazionali di Francia e Spagna, ma anche i poteri locali, ostili ad ogni forma di centralizzazione, diedero vita ad una lunga serie di battaglie: più di trenta studiosi provenienti da varie nazioni e di diversi ambiti scientifici (storici, filologi classici e umanistici, italianisti, storici della lingua italiana, dell'arte, dell'architettura e della miniatura) hanno indagato la vasta documentazione letteraria ed artistica prodotta intorno a questi eventi bellici. Descritte in miniature, in affreschi, negli arazzi, nel bronzo o nel marmo, nel latino forbito degli umanisti o nel volgare schietto degli ambasciatori, nei capolavori di Machiavelli o di Guicciardini, le battaglie forniscono un'interessante chiave di lettura per una più approfondita conoscenza del Rinascimento meridionale. Al centro dell'indagine non sono tanto le battaglie in sé, pur qui ricostruite, quanto le loro differenti narrazioni, dove lo svolgimento reale dell'evento bellico finisce spesso per essere dissimulato attraverso un progressivo spostamento dal factus al fictus.
Quanto leggevano, e che cosa leggevano, le donne nella prima età moderna? Chi erano, a quali classi sociali appartenevano, quali le loro abitudini e pratiche di lettura? Incrociando storia culturale e indagine sulla vita quotidiana, analisi istituzionale e approccio microstorico, Xenia von Tippelskirch si mette sulle tracce di queste donne lettrici, le scova, le scruta, le analizza, restituendoci un quadro variegato e per niente scontato del nuovo pubblico femminile che si viene delineando in alcune grandi realtà urbane italiane tra Cinque e Seicento. Ricostruisce altresì il ruolo delle autorità ecclesiastiche, gli interventi di disciplinamento e le strategie di controllo dei contenuti e delle coscienze che, nel tentativo di "proteggere" le donne dai pericoli della lettura, miravano alla salvaguardia dell'ordine sociale. All'interno di questo schema, restavano tuttavia dei margini per l'appropriazione individuale: non di una opposizione netta o di sfida aperta pare trattarsi, ma di attitudini più discrete e silenziose nei confronti delle autorità da parte di un pubblico femminile soggetto ad una rigida tutela.
Cosa accadeva, dal tardo Cinquecento, agli stranieri “eretici” che arrivavano dal Nord Europa in Italia e a Roma? Mercanti, artigiani, artisti, viaggiatori e semplici curiosi non furono sempre costretti a convertirsi per evitare le prigioni e le temute pene dell’Inquisizione. Alcuni vissero a Roma, attenti a non dare scandalo alla popolazione per lo più indifferente alle questioni di fede; altri si convertirono nella speranza di una vita migliore.
Accanto a rigide norme intolleranti, a episodi clamorosi di violenza inquisitoriale, si affermò, nel corso del Seicento, una nuova politica del Papato fondata su pratiche che miravano a riportare alla fede romana gli stranieri “eretici” con persuasione, accoglienza, cultura.
La corte dei papi, soprattutto sotto Alessandro VII, si rivelò uno strumento decisivo di persuasione con la forza della straordinaria magnificenza che attraeva sempre più forestieri, secondo la moda del Grand Tour.
Scavando nel ricco materiale inedito, soprattutto del Sant’Uffizio, si osserva la genesi di istituzioni dedicate alla conversione degli eretici, fra Sei e Settecento, mentre si ricompongono nel quadro sfaccettato e complesso della società romana le vicende di personaggi noti e sconosciuti, nel lento percorso dalla repressione alla difficile tolleranza nella città del papa.
L'ara dipinta conservata nel museo di Sfax è un monumento unico nel suo genere, sia all'interno della necropoli di Thaenae, da cui proviene, sia nell'ambito dell'archeologia del Mediterraneo di età tardoantica. Gli autori analizzano sotto differenti prospettive di ricerca. L'analisi delle immagini porta alla conclusione che il monumento vada ricondotto alla sensibilità delle comunità cristiane d'Africa della prima metà del IV secolo e sia specchio di quella sete del martirio da esse spesso evocata. In un'epoca in cui poche e spesso ambigue sono le immagini del martirio, l'ara si pone come una testimonianza imprescindibile per chi voglia indagare i modi e le forme con cui le iconografie pagane si piegarono a narrare, già dai primi secoli, i nuovi valori del Cristianesimo. Con una postfazione di Sofia Boesch Gajano.
Protagonista di questa storia è la famiglia Pintor, che occupa un posto importante nelle vicende militari, culturali e politiche dell'Italia del Novecento. A narrarla dalle diverse città abitate (Firenze, Roma, Cagliari) è principalmente la voce di Adelaide Dore Pintor, moglie di Giuseppe e madre dei più noti Giaime e Luigi, oltre che di Silvia e Antonietta. Donna colta e ottimista, scrive centinaia di lettere che l'aiutano a mantenere larghi gli orizzonti di una vita sempre più appartata e che ci introducono nel vivo di una storia fatta di spostamenti, di studi, di musica e di romanzi, venata di passioni e di delusioni, di progetti e di lutti; una storia che passa attraverso la belle époque, le guerre mondiali e il fascismo, approdando con quel che resta della famiglia, sgomenta e unita, sulle rive scomposte dell'Italia repubblicana.