Il diario in prima persona di Charles de Foucauld, il beato fratel Carlo che scelse di vivere tra i poveri nel nulla del deserto, così come lo immagina uno scrittore di oggi. È l'operazione, coraggiosa e riuscita, compiuta qui da Pablo d'Ors, autore spagnolo di punta. D'Ors immagina il suo protagonista nel deserto del Sahara, pochi mesi prima di rimanere ucciso durante una scorreria nel dicembre del 1916, alle prese con il racconto della sua vita. Una vita di una ricchezza incredibile, avventurosa e avventuriera, che, sostenuta dalla scrittura limpida di d'Ors, diventa un racconto coinvolgente fino all'ultima pagina. Aristocratico di nascita, studente difficile, militare svogliato, esploratore di successo, frate trappista, apprendista giardiniere, matto del villaggio, povero tra i più poveri, amico degli arabi, lessicografo, grande mistico? Tutto questo è stato Charles de Foucauld, sempre in bilico ma sempre in equilibrio tra follia e santità, marginalità ed esemplarità. Il suo è stato un viaggio reale, lungo una vita, da Strasburgo alla trappa di Akbès in Siria, da Roma a Nazaret, da Parigi ai villaggi tuareg nel deserto sahariano; e insieme un viaggio interiore dentro le profondità vertiginose del silenzio e dell'oblio di sé per la conquista della felicità dell'illuminazione, fino alla visione che a tutto dà senso: "Preferisco l'ultimo posto rispetto al primo, la vita anonima a quella pubblica, l'essere umiliato al venir esaltato. Per questo motivo vedo spesso la gente del mondo camminare in senso contrario...".
Il Socrate di Olof Gigon (1912-1998) rappresenta un testo fondamentale per lo sviluppo della storiografia socratica. Esso ci pone di fronte alla seguente questione: che cosa si può veramente sapere sul Socrate storico e che cosa, invece, è da considerare letteratura socratica? Per rispondere a questa domanda Gigon chiama in causa tutte le fonti - non soltanto Platone e Senofonte, ma anche i cosiddetti "socratici minori": Antistene, Eschine, Aristippo, Euclide e Fedone. Attraverso l'analisi delle loro testimonianze l'autore mostra non solo che, a parte pochissime informazioni biografiche, sul Socrate storico non possiamo sapere nulla, ma anche che le dottrine che i suoi discepoli gli hanno fatto pronunciare nei loro scritti non possono essere ricondotte senza contraddizione ad un unico maestro - infatti, se si eliminasse dalle loro opere l'elemento letterario, si perderebbe anche il nesso con Socrate. Allora chi è e chi può essere Socrate per noi? Gigon lo definisce come un limite: non si può, né si può pretendere di sapere perché proprio lui sia diventato l'immagine del vero filosofo. Si deve tuttavia riconoscere che è stato un individuo unico e straordinario, che è diventato il protagonista di un importante genere letterario e che ha segnato l'inizio di un nuovo modo di concepire la filosofia.
Un olandese formatosi a Venezia, che ha come modello e amico un cancelliere inglese, diviene il legatus dell'imperatore spagnolo, e decide di morire a Basilea, cercando invano un luogo di pace religiosa: anche solo questo minimo richiamo biografico evidenzia la singolare personalità di Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536) e illustra la ricchezza del suo percorso umano e culturale all'insegna di un autentico spirito europeo. Ci introduce alla sua lezione il critico letterario Carlo Ossola, ricostruendo i caratteri storici che configurano "il vero Rinascimento", quello che "non si lascia irretire dalle contese religiose", che fu capace di "togliere all'eredità classica i paludamenti aulici e alla tradizione patristica i tratti apologetici", per andare all'essenziale della condizione umana. Sodale di Thomas More, e nutrendo poi Rabelais e Montaigne, e non meno Spinoza, Leibniz, Condorcet, Voltaire, e divenendo infine, nel Novecento, l'emblema e il conforto di una piccola schiera di uomini colti, da Zweig a Huizinga a Bataillon, che hanno resistito alle barbarie dei totalitarismi, l'umanista Erasmo, ironico e sapienziale, paradossale e libero, può rivelarsi, come conclude Ossola, un "prezioso faro per il viaggio e le tempeste che l'umanità incontra e suscita nel secolo ferito che si è aperto", in questo 'notturno' d'Europa.
Marco Polo è una delle figure più note del Medioevo e uno dei pochi viaggiatori dell’epoca a essersi spinto fino in estremo oriente. Mercante e avventuriero, ma anche molto più di questo: è un ‘cronista estero’, il primo viaggiatore europeo a descrivere con l’autorità del testimone oculare, a un pubblico pieno di stupore, gli spazi affascinanti del lontano oriente. Là, fra il 1271 e il 1295, trascorse quasi venticinque anni a servizio del Gran Khan Cubilai, svolgendo importanti funzioni amministrative alla corte di Khanbalik (l’odierna Pechino) e percorrendo quasi tutta l’Asia meridionale come inviato e ambasciatore del Kahn. Eppure, forse mai alcuna notizia della sua straordinaria vicenda ci sarebbe giunta se, poco dopo il suo ritorno a Venezia, egli non avesse partecipato a una battaglia contro i genovesi durante la quale venne fatto prigioniero. Proprio in carcere conobbe il pisano Rustichello, compilatore di opere cavalleresche, a sua volta detenuto, e dalla collaborazione tra i due nacque la fortunata narrazione degli anni cinesi di Marco: Le divisament dou monde, meglio noto come Il Milione. Tradotto già all’epoca di Marco Polo in latino, in francese, in dialetto toscano e veneziano e, prima della fine del XV secolo, in quasi tutte le lingue, il libro continuò a godere nel tempo di enorme fortuna in ambienti assai diversi e per finalità disparate. Ma se per il lettore medievale l’orizzonte era la meta del viaggio, l’Asia, con i suoi misteri e le sue prodigiose ricchezze, il quadro oggi pare capovolto e ad attirarci non è tanto l’itinerario percorso quanto la figura del viaggiatore. E tuttavia essa resta sfuggente ed elusiva, appena accennata dalla narrazione che poco lascia trapelare del suo autore. A ciò contribuisce la singolare genesi del testo con i problemi a essa legati: gli interrogativi sulla verità storica del racconto, le divergenze tra le diverse redazioni. Il Marco Polo mercante dei manoscritti toscani convive con il ‘cavalier cortese’ delle varianti franco-italiane e costui con l’autore ‘istruttivo’ della versione latina, il cui testo serviva all’elevazione spirituale. Impossibile decidere quale tra questi sia il ‘vero’ Marco Polo e, forse, sembra concludere il saggio di Marina Münkler, inutile. Egli esiste e affascina chi gli si accosta anzitutto come mito: il figlio di una famiglia di mercanti veneziani capace di diventare la figura ricca e multiforme che a tutt’oggi conosciamo.
Marina Münkler, nata nel 1960, laureata in filosofia, ha studiato germanistica, filosofia, scienza del teatro; lavora come traduttrice e critica letteraria ed è docente alla Humboldt-Universität di Berlino.