Fra tutte le opere di Gustavo Bontadini questa è forse la più idonea ad offrire una veduta sintetica e unitaria del suo complesso itinerario speculativo, situata com'è all'incrocio dei due principali tragitti in cui esso si snoda: il primo, documentato dai lavori apparsi lungo gli anni Quaranta e Cinquanta e consiste nell'individuazione delle linee di fondo della filosofia contemporanea a partire da una attenta ricognizione delle strutture dell'idealismo, considerato specialmente nella sua versione attualistica; il secondo, consistente nel ripensamento e nella "riorganizzazione" del nucleo essenziale della metafisica classica e destinato a raggiungere il suo ultimo approdo in alcune dense pagine di Metafisica e deellenizzazione.
Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII vuole essere soltanto un titolo d'insieme entro il quale l'apporto specifico di studiosi particolarmente qualificati ha tentato di inquadrare tutta la complessa problematica che riguarda il confronto della Chiesa e delle sue strutture, consolidate nell'età carolingia, con ogni forma di potere esercitato in parte dalla Chiesa stessa e in parte dalle signorie laiche in una società in profonda trasformazione. Studiosi di diverse discipline hanno illustrato le molteplici manifestazioni della presenza della Chiesa nel mondo di allora. Ne è risultata una immagine di Chiesa e società ancorata su base documentaria assai più solida, atta a favorire una migliore comprensione di fenomeni che si collocano in momenti nodali nello sviluppo della civiltà europea.
Al pari di ogni parola ripetuta quotidianamente sin dall'infanzia, è facile recitare il Padre nostro in modo meccanico, senza la partecipazione del cuore e della mente. Esso diventa così una formula priva di contenuto, disponibile per qualsiasi circostanza. La lettura proposta in queste pagine intende contrastare tale rischio attraverso una duplice attenzione. Anzitutto, l'Autore mira a ritrovare l'originaria verità del Padre nostro, interpretandolo nel contesto specifico della vita di Gesù e delle prime comunità cristiane. Insieme, è costante la preoccupazione di far risuonare l'annuncio evangelico - così efficacemente condensato nella preghiera del Signore - all'interno dell'esperienza e delle domande universali dell'uomo. Grazie a questo fecondo accostamento, le parole del Padre nostro riacquistano senso e aprono alla fiducia in Dio, così che il discepolo non possa concludere la preghiera insegnatagli da Gesù senza aver riassaporato il gusto di vivere.
I Tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo sono l'opera 'ultima' di Solov'ëv, l'apice e forse la ritrattazione di tutta la sua precedente riflessione. In queste pagine, scritte poco prima della morte, la fiducia nella storia viene sostituita da una più drammatica interpretazione del divenire terreno. Se nei Tre dialoghi il bersaglio polemico di Solov'ëv è costituito soprattutto dal cristianesimo mutilo di Tolstoj, il Racconto dell'Anticristo è un testo che continua a inquietare per la chiaroveggenza con cui ci rivela il volto - o, meglio, uno dei volti - dell'Anticristo nell'epoca moderna. Il suo Anticristo irrompe in una storia umana desacralizzata, svuotata di orizzonti trascendenti, agendo nel vuoto, in una frammentazione orizzontale di religioni, culture, popoli, accogliendo ogni aspetto del reale ma spogliandolo al tempo stesso del suo significato essenziale. In questo senso l'Anticristo di Solov'ëv, portatore di un'ideologia conciliatrice, 'inclusiva', capace di una quasi infinita capacità di allontanamento dalla Verità, appare particolarmente attuale e minaccioso oggi, nell'odierno deserto del senso e dei valori.
L'interesse per il pensiero di Charles Sanders Peirce, fondatore della semiotica americana e ispiratore di buona parte degli sviluppi della semiotica europea di questi ultimi decenni, sta crescendo impetuosamente, anche grazie ai nuovi testi messi a disposizione dalla Chronological edition dei suoi scritti editi e inediti, iniziata nel 1982. In questo panorama, l'intento del volume è duplice: anzitutto (parte I) ricostruire in modo rigoroso il percorso – indagandone le ragioni intrinseche e la coerenza di sviluppo – dell'ampio e articolato complesso teorico peirceano sul quale si innesta la semiotica e senza il quale si rischia di non cogliere appieno la portata e il significato di alcune nozioni; in secondo luogo (parte II e III) indagare in dettaglio le articolazioni interne della semiotica e mettere a fuoco la tematica dell'indicalità, che è stata assai ricca di sviluppi in Morris, Jakobson, Benveniste e molti altri autori, ma che finora era rimasta in secondo piano negli studi peirceani. Ne esce il quadro di un pensatore ricco e affascinante, che raccoglie nella sua teoria dei segni le riflessioni di una tradizione assai vasta, che va da Aristotele a Hegel, da Scoto alla filosofia scozzese del common sense; un pensatore con grandi esigenze di coerenza e aperture tematiche che lo collocano al centro delle grandi questioni poste non solo dalla semiotica, ma anche dalla filosofia e dalla linguistica di questo secolo.
Armando Fumagalli (1963), dopo la laurea in Filosofia, ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie e il diploma di specializzazione in Scienze dello spettacolo presso la Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali dell'Università Cattolica, presso la quale è attualmente docente di Deontologia professionale. Ha pubblicato saggi su riviste italiane e straniere su temi di filosofia del linguaggio, semiotica, teoria degli audiovisivi.
C'è stato un periodo della storia europea in cui il rapporto tra l'islam e la cristianità non si è configurato come l'opposizione di due nemici irriducibili. Infatti, dall'VIII al XIII secolo si realizzò un incontro che, insieme ad aspri conflitti politici e religiosi, diede origine ad ampi e variegati scambi culturali nelle scienze, nella filosofia, nell'arte e nella letteratura: basti pensare all'influsso islamico sulla Sicilia nell'alto Medioevo; a quella singolare sintesi di civiltà che per sette secoli caratterizzò la Spagna musulmana fino alla Reconquista spagnola; e, infine, alle radici arabe della poesia provenzale. Questa feconda stagione culturale viene rievocata da Anawati con la maestria di chi sa sedimentare in una sintesi chiara ed equilibrata le ricerche di tutta una vita dedicata al dialogo islamo-cristiano. E proprio in tale sintesi si può cogliere l'attuazione di un dialogo autentico tra religioni e culture diverse, quello cioè che non elude gli aspetti di insuperabile differenza, ma insieme rileva i tesori delle rispettive tradizioni. Lo studio della storia è prodigo di preziosi ammaestramenti quando lo si affronta con oggettività e senza pregiudizi, come in questo saggio che si ispira agli auspici del Concilio Vaticano II: "Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare la mutua comprensione".
L'esistenza o meno della libertà è questione essenziale, ai fini di un discorso sulla responsabilità morale e sull'impegno dell'uomo. Il presente volume discute, nella prima parte, il problema della libertà dal punto di vista ontologico. Vengono affrontate sistematicamente, ma senza dispersioni erudite, le principali posizioni favorevoli e contrarie all'esistenza della libertà, e si tenta poi una risposta positiva al problema. La seconda parte affronta alcune questioni etico-politiche, che una risposta affermativa alla domanda sulla libertà del volere porta con sé: il problema della genesi esistenziale dell'atteggiamento deterministico (esaminato in un suo particolare aspetto), quello del rapporto tra libertà e valori, e altri ancora, inerenti al tema della responsabilità morale.
Le "cose ultime" sono quelle che avvengono al termine dell'esistenza umana e le conferiscono il sigillo della definitività. Nel lessico cristiano esse hanno i nomi di morte, purificazione, resurrezione, giudizio, eternità: parole fuori corso nella nostra cultura, muta sulle questioni 'ultime'. A queste parole il saggio di Guardini restituisce nitore singolare, evitando tecnicismi teologici o ingenui riferimenti materiali all'aldilà: nessuna descrizione di mondi atroci o beati, nessun uso terroristico delle realtà ultime. Piuttosto, risalta anche qui la capacità, esemplare in Guardini, di illuminare l'intelligenza e il cuore. Infatti, la sua riflessione riesce a connettere le "cose ultime" con l'esperienza storica e psicologica dell'uomo: il "non-ancora" ha un rapporto intrinseco con il "già". In ciò si riflette la visione cristiana del mondo, che intende la salvezza come il compimento di quanto nelle vicende umane germinalmente si realizza di buono, di vero, e di bello. Così, la lettura di queste pagine non suscita il senso di intimorita estraneazione normalmente evocato da tali tematiche. La sintesi di Guardini ha come cardine l'evento della resurrezione, contenuto originale della fede cristiana sulle "cose ultime": grazie ad essa, che già conosciamo in Gesù Cristo, l'uomo entra nell'eternità di Dio: "Mai come nel messaggio cristiano si attribuisce tanta grandezza all'uomo, nessun'altra dottrina prende tanto seriamente l'uomo, e mai come per mezzo di Cristo le cose create.
Il volume può essere considerato il più compiuto e profondo nella produzione teoretica di Maréchal. Si potrebbe dire che le due tensioni fondamentali, quella che resta nella tradizione metafisica e quella che si apre alla considerazione moderna della gnoseologia, vi trovano il più alto equilibrio e la più convincente integrazione. Determinante è in tal senso l'incontro con Kant e con l'asserto principale della sua ricognizione trascendentale, così come suona nella "Critica della ragion pura": "se il condizionato è dato, è allora data altresì l'intera somma delle condizioni, e quindi è dato l'assolutamente incondizionato". Com'è noto, si trattava per Kant non di un asserto di realtà, ma solo di un'esigenza inderogabile della ragione. Attraverso un'articolata analisi Maréchal può invece piegarlo dalla parte di un asserto di realtà, anzi a fondazione dell'intero edificio metafisico.
Il volume può essere considerato il più compiuto e profondo nella produzione teoretica di Maréchal. Si potrebbe dire che le due tensioni fondamentali, quella che resta nella tradizione metafisica e quella che si apre alla considerazione moderna della gnoseologia, vi trovano il più alto equilibrio e la più convincente integrazione. Determinante è in tal senso l'incontro con Kant e con l'asserto principale della sua ricognizione trascendentale, così come suona nella "Critica della ragion pura": "se il condizionato è dato, è allora data altresì l'intera somma delle condizioni, e quindi è dato l'assolutamente incondizionato". Com'è noto, si trattava per Kant non di un asserto di realtà, ma solo di un'esigenza inderogabile della ragione. Attraverso un'articolata analisi Maréchal può invece piegarlo dalla parte di un asserto di realtà, anzi a fondazione dell'intero edificio metafisico.