Riuscire a stare al passo con l'evoluzione delle tecnologie digitali sembra essere diventata una corsa contro il tempo. Molte idee che solo quindici anni fa sembravano fantascienza sono ormai una realtà: le macchine eseguono mansioni complesse in tempi sempre più rapidi, flotte di droni sono impiegate per le consegne a domicilio, e le automobili a guida autonoma stanno per fare il loro ingresso sul mercato. Le ricerche sull'intelligenza artificiale lavorano alla messa a punto di software in grado di sfuggire al controllo umano, e la realizzazione di una «superintelligenza» completamente autonoma non è lontana, tanto che sono in molti a essersi pronunciati sugli eventuali rischi legati all'utilizzo di dispositivi dotati di una qualche forma di consapevolezza, una delle qualità più sofisticate ed esclusive della mente umana. Da sempre interessato all'impatto della tecnologia digitale sulla società e sulla vita di tutti noi, Philip Larrey, docente di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, ha avuto la possibilità di conversare con alcuni dei protagonisti della «quarta rivoluzione industriale» per approfondire il ricco e controverso dibattito sull'era digitale. Big data, privacy, sicurezza, etica e lavoro sono solo alcune delle questioni affrontate dai quindici intervistati, tra cui figurano Eric Schmidt, amministratore delegato di Alphabet, Carlo D'Asaro Biondo, presidente delle relazioni di Google per l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa, e Maurice Lévy, direttore di Publicis Groupe. I filosofi, ingegneri, giornalisti, pubblicitari e piloti presenti in questo libro offrono considerazioni complesse e articolate, provocatorie, a tratti inconciliabili, ottimistiche o sfiduciate sulla tecnologia digitale e i suoi utilizzi. Il filo rosso che unisce i singoli interventi sembra però suggerirci che la direzione verso cui scegliamo di procedere dipende esclusivamente dalla nostra volontà. Più che offrirci delle risposte, dunque, "Dove inizia il futuro" ci consegna gli strumenti per porre le giuste domande a un mondo in costante cambiamento e riuscire a comprendere l'epoca in cui viviamo.
Se, come dicono i mistici ebraici, il silenzio è la voce con la quale Dio parla all'uomo, la grande letteratura è la voce con la quale l'uomo parla a se stesso, in un linguaggio che esprime con infallibile evidenza l'infinita, contraddittoria e oscura trama di pensieri e sentimenti, sogni e passioni, che da sempre agitano l'animo umano. Nella sua penetrante rivisitazione di pagine e figure memorabili della letteratura universale, Pietro Citati ne offre esempi eloquenti. L'urgenza della fede in un «Principio Supremo», radice comune delle tre religioni monoteiste, e l'amore per il Gesù dei Vangeli, raccontato e vissuto da Francesco, Angela da Foligno, sant'Ignazio e, quattro secoli dopo, da don Milani. Il «lavoro di commentatore dell'universo» di Montaigne e la cupa malinconia dietro le quinte delle commedie di Molière. La «furia di infinito» di Chateaubriand, attratto dalle magiche voci e dal sacro orrore delle foreste americane, e l'«esorbitante» pulsione visionaria di Balzac, incarnata nel personaggio del forzato Vautrin che da genio del male e dell'inganno si trasforma imprevedibilmente nel fautore del bene comune e di un'utopistica harmonia mundi. I tormenti di Charlotte Brontë, che solo nell'ombra della propria infelicità trova la giusta luce per narrare nel suo ultimo libro la storia di due persone felici, e la nevrastenia di Dostoevskij, schiavo della penna e inesorabilmente attratto dalla vertigine della roulette, forse perché sola metafora possibile di quel grande gioco d'azzardo che è per lui la letteratura. Ancora, il fascino per il mistero del dolore che portò Cechov nell'isola di Sachalin, il luogo delle «più intollerabili sofferenze», e la depressione che come un incubo irruppe nella vita di Tolstoj, confluendo nelle "Memorie di un pazzo". L'ossessione di Stevenson per il Male Assoluto, impersonato dal diabolico signore di Ballantrae, e la fatale prossimità di Conrad «al limite estremo» - come il capitano Whalley del racconto omonimo -, in cui si è già con «un passo dentro la morte». O l'incontenibile euforia di Virginia Woolf a passeggio per le vie di Londra, l'amata città-teatro di cui era estasiata spettatrice e in cui perdeva se stessa, abolendo «il suo io immenso e vertiginoso». E, fra gli italiani, la «divertita, insaziabile, disperata» curiosità che Calvino provava per se stesso, e il male invisibile sepolto nell'anima di Gadda, quella «fascia di tenebra» che ricopre tutte le cose visibili e invisibili, velando persino le apparizioni più dolci della natura. Assumendo spesso un punto di osservazione apparentemente marginale, Citati sa cogliere l'essenza di ogni creazione letteraria e artistica, che è, come scrive Scott Fitzgerald, un «nuotare sott'acqua e trattenere il fiato», e che da sempre convive con l'abisso, lo intuisce o ne viene perdutamente folgorata, in un ambiguo intreccio con la biografia del proprio artefice. Un'esperienza dell'assoluto e del silenzio che si capovolge nel miracolo stupefacente della parola.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e dei regimi comunisti europei abbiamo pensato che la vittoria della democrazia fosse definitiva e che il nuovo millennio avrebbe portato con sé un futuro di pace mondiale. Non è andata così. Dalla Russia di Putin, l'autoritarismo si sta espandendo in Europa e in America e, oggi, l'Occidente assiste a un impensabile ritorno di tendenze nazionaliste e populiste la cui origine è da ricercarsi nel collasso delle istituzioni democratiche. In questo suo nuovo libro, Timothy Snyder spiega i motivi che hanno provocato il crollo della democrazia in Russia. Nell'epoca dei social network e delle fake news non è stato difficile per bot e troll pilotati da Mosca influenzare le opinioni pubbliche facendo leva sul malessere serpeggiante in una società disillusa dall'economia in crisi. Dall'invasione dell'Ucraina all'annessione della Crimea, dalla Brexit alla manipolazione delle elezioni americane ai bombardamenti in Siria, Snyder ripercorre i principali eventi che in questo decennio hanno condotto allo stallo delle democrazie, convinto che la paura di un ritorno ai genocidi di cui siamo stati testimoni nel passato possa essere sconfitta solo dalla ragione della società liberale fedele ai principi di uguaglianza e solidarietà. Perché «l'individualità, la resistenza, la collaborazione, la novità, l'onestà e la giustizia non sono semplici luoghi comuni o preferenze, bensì fatti della storia».
15 settembre 1993: nel quartiere Brancaccio, a Palermo, don Pino Puglisi viene ucciso da due sicari mentre sta rientrando a casa. È il giorno del suo 56° compleanno. "Predicava troppo" e la mafia decise di farlo stare zitto. Oggi, a venticinque anni dal suo assassinio e a cinque dalla sua beatificazione come primo martire della criminalità organizzata, le parole del "sacerdote con il sorriso" sono ancora vive e attuali. Questo libro, opera di chi l'ha conosciuto e amato, raccoglie con dedizione i suoi scritti e i suoi insegnamenti. E ce lo restituisce nella sua fede e nel suo impegno civile, mai disgiunti, perché "non ha senso riempirsi la bocca di belle frasi se poi alle parole non seguono i fatti". Riflessioni "catturate" nei numerosi incontri con i ragazzi e i fedeli. Documenti (pochi), testimonianze (molte) del suo operato: da quelle dei suoi assassini - poi pentiti - ai riconoscimenti dei vertici della Chiesa sino a Papa Francesco; ma soprattutto i racconti delle donne e degli uomini comuni che gli sono stati accanto nel suo coraggioso percorso di vita e di fede. Dal Vangelo come "manuale" di libertà e di liberazione dalla mafia alla lotta contro le ingiustizie, al carisma di educatore dei giovani e di profeta della legalità: per la prima volta in un unico volume tutto il pensiero di don Puglisi è offerto e commentato. Uno strumento di riflessione per i credenti che vogliono raccoglierne la preziosa eredità e una testimonianza indispensabile anche per i laici, per comprendere un importante pezzo di storia della nostra Italia bella e terribile.
Due minuti a mezzanotte. È stato dopo Hiroshima e Nagasaki che un gruppo di scienziati ha creato l'Orologio dell'apocalisse, per sensibilizzare tutti su quanto gli esseri umani si possano avvicinare alla fine stessa del mondo, creando condizioni e situazioni scientificamente determinate. Solo una volta nel secondo dopoguerra, nel 1953, quando USA e URSS fecero detonare le bombe all'idrogeno, le lancette si sono avvicinate così tanto alla mezzanotte, l'ora fatale. Prima di adesso. Con la lungimiranza e l'acume che lo contraddistinguono, Noam Chomsky affronta senza mezzi termini i due pericoli che minacciano l'esistenza dell'umanità: il cambiamento climatico e la guerra nucleare. Due pericoli concretissimi, tanto incombenti quanto trascurati e peggio ancora mistificati, e che si sono fatti ancor più pressanti e solidi dopo le ultime elezioni americane, dal momento che la nuova presidenza Trump nega addirittura le incontrovertibili risultanze del cambiamento ambientale. Interventi devastanti come il fracking o la trivellazione dei fondali marini, il disboscamento selvaggio, la conversione di terreni agricoli alla produzione di biocarburanti, stanno accelerando enormemente la folle corsa verso il baratro. A essi si aggiunge l'escalation nucleare, con la differenza, sostiene Chomsky, che mentre una guerra nucleare richiede azione, per la catastrofe ambientale è sufficiente una volenterosa inazione, una silenziosa indifferenza ai molteplici segnali di allarme che la Terra ci manda.
Tutto quello che la gente sa sul cosiddetto caso Moro, cioè sulla strage efferata della sua scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, si basa in gran parte su una ricostruzione dei fatti frutto di un compromesso volto a formulare una «verità accettabile» sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti. Tutto questo provocò un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l'«Operazione Fritz», il nome in codice dell'«operazione Moro». E ancora oggi, a ben guardare, noi non sappiamo tutta la verità sulla morte di Aldo Moro. Le verità emerse dalla nuova Commissione d'inchiesta Moro 2 sono sconcertanti. Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi, sorprendenti elementi. Qualche esempio. Moro guardò negli occhi chi gli sparava, non morì sul colpo, ma in modo atroce, dopo una lenta agonia. Il suo carceriere trovò rifugio da latitante in una palazzina dello IOR, la banca vaticana. L'omicidio ben difficilmente è potuto avvenire nel box di via Montalcini 8, così com'era nel 1978. Almeno 2 terroristi della Rote Armee Fraktion potevano essere in via Fani. Fu un imprenditore israeliano che fornì i 10 miliardi del riscatto consegnati a Paolo VI. Le fazioni palestinesi giocarono un pesante ruolo nella trattativa. Durante il sequestro passarono alle BR documenti top secret della NATO. Infine emerge uno scenario internazionale del delitto che i brigatisti hanno sempre negato. Purtroppo anche in molte rievocazioni in occasione dei quarant'anni del rapimento è stata riproposta la vecchia narrativa, messa a punto come un abito su misura. Allora, la sola «verità» dicibile, ma oggi del tutto insoddisfacente.
Il latino - quello dei grandi autori, della letteratura ma anche quello quotidiano che spesso usiamo inconsapevolmente - è un tesoro di significati che continuano a parlarci e a renderci quel che siamo. Non soltanto perché attraverso questa lingua possiamo farci idee più chiare sulla provenienza di immagini, metafore, modi di dire, ma soprattutto perché continuamente ci sfida a entrare in contatto e in dialogo costante con il nostro passato, e quindi a conoscere meglio noi stessi. In questo personalissimo vocabolario ideale, spaziando tra la storia e la filosofia, tra grandi classici e scrittori moderni, Nicola Gardini sceglie dieci parole che a suo dire hanno formato e continuano a formare il nostro tempo e la nostra civiltà, e attraverso le quali è possibile leggere in controluce un frammento della storia di tutti noi. Dimostrandoci ancora una volta che, per quanto nuovo e moderno, il nostro mondo continua a svilupparsi a partire da alcune basi fondamentali dalle antichissime radici che sarebbe impossibile - oltre che profondamente sbagliato - ostinarsi a ignorare.
Perché un piccolo Paese assediato nelle sedi internazionali e sui campi di battaglia è tra i più felici del mondo? Il segreto di Israele risiede in un modello culturale opposto a quello oggi in voga in un Occidente dominato dal relativismo, dal pacifismo e dal politicamente corretto. A 70 anni dalla nascita, Israele è una delle più antiche democrazie al mondo che ha eccelso in tutti i campi dello scibile umano e uno dei più straordinari successi della società aperta. Mentre raccoglieva i Premi Nobel, compiva scoperte scientifiche, riempiva le sale da concerto e stampava il più alto numero di libri pro capite, Israele si difendeva con le unghie e con i denti. È la grande storia della "villa nella giungla". L'Occidente è quello che è grazie alle sue radici bibliche e illuministiche. Se l'elemento ebraico di quelle radici è rovesciato e Israele è perso, allora anche l'Occidente è perso. Per questo come va per lo Stato ebraico, andrà per tutti noi. Israele è la frontiera felice della civiltà occidentale.
Prefazione di Enzo Ciconte
Il tema dei poteri occulti è essenziale per comprendere il nostro Paese. Troppo spesso schivato, riposto nell’angolo tra i misteri non comprensibili, spinto nel buco nero di una matassa ingarbugliata e impossibile da sciogliere, o, peggio, tra le favole di cui ridere, è, invece, il cuore della nostra costituzione materiale. È necessario però che la tematica dei poteri occulti non venga esiliata nell’inutile sfera del complottismo e che, al contrario, abbia la sua parte nella comprensione delle faccende italiane. È indispensabile quindi riempire gli spazi vuoti della nostra memoria collettiva, dando ai poteri occulti la parte che “meritano”. La loro storia, infatti, appartiene non ad una vicenda criminale complessa ma è un segmento criminale della storia d'Italia. È inoltre, un argomento attuale perché il prepotente dilagare di organismi non elettivi e non soggetti a forme di controllo democratico ripropone in modo drammatico e urgente il tema dei poteri invisibili e del danno irreparabile agli ingranaggi democratici.
Questa raccolta di saggi e racconti brevi è una sorta di biografia privata dell'autore, ma è anche un'analisi critica che spazia su vari temi della realtà attuale, osservata con lo sguardo acuto che gli appartiene.
Si può dilatare la giovinezza? E invertire il processo di invecchiamento? La risposta è sì, l'età non è uguale per tutti. Questo libro racconta come educare se stessi a restare giovani, nel corpo e nello spirito, in base alle ricerche scientifiche più attendibili. A 30, 50 o 70 anni. E, per la prima volta in Europa, il tema è affrontato grazie al contributo multidisciplinare di medici e ricercatori di un grande centro clinico e di ricerca: l'ospedale universitario Humanitas. Perché succede che l'età biologica non coincida con l'età anagrafica? Qual è il segreto per trattenere gli anni dorati del corpo e della mente? Sono gli interrogativi di chi tiene all'estetica e di chi vuole allontanare malattie come diabete, cancro, patologie cardiovascolari, reumatologiche e neurodegenerative. La chiave per restare giovani è spegnere l'infiammazione, gettare acqua sui piccoli fuochi che ardono dentro di noi: a volte protettivi, a volte distruttivi come ogni fiamma che si rispetti. Eliana Liotta racconta come in un romanzo le battaglie tra bene e male che avvengono nel nostro corpo, con i soldati del sistema immunitario ingaggiati in una guerra quotidiana che nessuno immagina di combattere. Nella seconda parte del libro, ogni lettore troverà una guida facile e pratica, con illustrazioni esplicative, per applicare alla propria quotidianità i risultati delle ricerche scientifiche: dalla dieta antinfiammatoria, con i cibi smart della giovinezza, agli esercizi e ai consigli contro lo stress.
Domenica 6 gennaio 1980. Un giovane dagli occhi di ghiaccio s’avvicina all’auto della famiglia Mattarella ed esplode alcuni colpi d’arma da fuoco verso il guidatore. La moglie, seduta accanto al leader democristiano, assiste pietrificata. Piersanti Mattarella muore dopo un’inutile corsa all’ospedale.Chi è il killer? La vedova Mattarella lo ha visto bene in faccia e indica una somiglianza: per lei è Valerio Fioravanti, appartenente ai Nuclei armati rivoluzionari, frangia dell’estrema destra extraparlamentare. Falcone imbocca la pista nera e nel 1991 chiede il rinvio a giudizio per Fioravanti e Gilberto Cavallini. L’indagine scava nell’attività politica del Presidente della Regione e nell’opera di moralizzazione da lui intrapresa in Sicilia: una svolta che aveva dato fastidio a molti. Ma al processo a pagare con l’ergastolo sono solo i mafiosi della cupola di Cosa nostra, e nessuno dei killer verrà mai più individuato.Piersanti Mattarella, fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica, era intenzionato a proporre nell’isola l’alleanza Dc-Pci, la stessa linea indicata da Aldo Moro. La direttrice politica dei due esponenti democristiani si interseca anche nel tragico epilogo: entrambi gli omicidi restano tutt’oggi segnati da troppe ombre.Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “riaprono” il caso Mattarella, proponendo documenti d’archivio e nuove rivelazioni, partendo dalle indagini avviate dal giudice Giovanni Falcone, ucciso nel 1992 nella strage di Capaci; analizzando il ruolo della P2 e dell’eversione “nera”, passando dalle lotte intestine al vertice di Cosa nostra fino alle manovre ambigue di don Vito Ciancimino; vagliando l’ipotesi che Mattarella, proprio come Moro, sia caduto in una trappola di ispirazione atlantica scattata per impedire in Italia “aperture” politiche incompatibili con gli equilibri internazionali.