Al commento delle Lettere 94 e 95 di Seneca, che qui presento, intende ]ungere da introduzione il mio volume Educazione alla sapientia in Seneca, Brescia ~978. Da ciò dipende che l'esame linguistico-lessicale occupi qui uno spazio maggiore rispetto al chiarimento dei concetti filosofici, che considero ormai presupposto; ed è anche questa la ragione per cui sono stata costretta a rinviare ad un'opera mia con più frequenza di quanto mi piacesse.
Ho abbondato in citazioni anche estese di passi paralleli, perché ho pensato di riuscire in tal modo a porre debitamente in luce una delle caratteristiche più spiccate della prosa senecana: la ripresa di concetti già espressi altrove; essa avviene ora in/orma assai breve e semplicemente allusiva, ora con variazioni più o meno/orti che servono a chiarirli o ampliarli, sempre, comunque, mediante il richiamo significativo di alcuni termini chiave, che segnalano al lettore il ritorno di un motivo caro all'autore. Per questa ragione ci è sembrato che, se l'antica norma: "Omeron ex Omèrou safenìzein' vale certo per ogni autore, essa offra applicazione di particolare utilità nel caso di Seneca.
Ho rimandato ai libri senecani di mio marito più di quanto desiderassimo lui ed io e ne chiedo scusa al Lettore, ma rientra nello spirito della collana in cui appare il commento - nonché nelle norme dei direttori di essa - che una cosa già detta non venga ripetuta e ci si limiti a un rimando (salvo naturalmente il caso di aggiunte o correzioni). Questo stesso spirito comporta, d'altro canto, l'impegno a commentare in modo quanto possibile esauriente quei termini o concetti che appaiono per la prima volta, così da offrire eguali possibilità di rimando ai futuri commentatori. Ciò valga a giustificare l'ampiezza di alcune note che vorrebbero tener conto di gran parte dell'opera senecana.
Dopo le edizioni autorevoli del Haase, del Hense, del Be#rami, del Préchac e del Reynolds, mi è sembrato di po.
terrei fidare, per la costituzione del testo, dell'ultimo di tali editori, il Reynolds; mi limito, quindi, a segnalare i pochi passi in cui me ne discosto.
Ha letto in bozze tutto il mio lavoro l'amico pro/. Alberto Grilli: le sue molte osservazioni e suggestioni mi hanno permesso di correggere e migliorare; la gratitudine che gli debbo - e che qui gli esprimo cordialmente - credo quindi possa essere condivisa anche dal Lettore. Di quanto sia debitrice a mio marito, ho già detto nella premessa alla mia Educazione alla sapíentía,, mi basta qui ribadire che anche nella preparazione di questo commento ho potuto godere del suo consiglio e del suo sostegno.
Parma, Università, giugno ~979.
Maria Scarpat Bellincioni
Il lascito lirico di Properzio, ancora oggi, stupisce per la freschezza del suo linguaggio e della sua ispirazione. Dei quattro libri che compongono le sue Elegie (Elegiarum libri IV) il più celebre è sicuramente il primo (Monobiblos, "libro unico"), prima raccolta pubblicata nel 28 a.C. e dedicata alla donna amata, Cinzia, secondo la tradizione dei poeti alessandrini. Costituito da ventidue elegie, è noto anche sotto il titolo di Cynthia (nei manoscritti). Vi si canta prevalentemente l'amore impossibile per Cinzia con l'aiuto di un ricco repertorio di figure mitologiche. Anche nel secondo libro, in trentaquattro componimenti, prevale di gran lunga sugli altri temi l'amore per Cinzia. Insomma: Cinzia restò per gran parte della vita del poeta la sua prima ispirazione, nella gioia come nel dolore, entrando di prepotenza - per non uscirne mai più - nel canone delle grandi muse letterarie. Un modello che nei secoli è tornato a vivere nelle opere dei tanti poeti che a Properzio hanno guardato come a un modello, da Ariosto a Goethe, fino al Novecento.
Questo volume è uno dei risultati del progetto di ricerca "Commento storico alla Biblioteca di Diodoro", ideato da gruppi di ricerca attivi nel campo della storia antica appartenenti alle Università di Bologna, di Milano (Università Cattolica del Sacro Cuore), di Pavia e di Firenze e cofinanziato dal MIUR. Il progetto prevede di completare il commento complessivo della Biblioteca, compresi i libri frammentari, nel corso di alcuni anni. Benché lo storico-epitomatore siciliano abbia raccolto nella critica moderna il peggio, dal sarcasmo all'insulto, che si possa dire di uno storico e benché sia certo che egli non ha fatto molto per evitarlo, i suoi libri meritano ancora largamente di essere letti e studiati: ciò vale per i periodi storici per i quali Diodoro è di fatto la nostra unica fonte, ma anche per quelli meglio conosciuti, a proposito dei quali ci ha conservato preziose informazioni sia integrative sia alternative. L'appoggio di un commento che finora - con qualche eccezione notevole - è mancato costituisce uno strumento imprescindibile.