Con questo libro l’autrice ha voluto raccontare la sua vita e le sue esperienze con lo scopo di aiutare chi si trova nella stessa situazione che ha vissuto lei a uscire dal tunnel dell’anoressia e del disturbo ossessivo-compulsivo. “Guardarti allo specchio” può voler dire tante cose... Non solo guardarsi per controllare il proprio aspetto fisico, ma anche e soprattutto rispecchiarsi nella propria vita per lasciarsi il passato alle spalle e ricominciare a vivere nel presente, affrontando piano piano tutti gli ostacoli della vita.
Il libro, dopo il primo capitolo dedicato ad un ampio resoconto sulla ricezione del pensiero di Teilhard, si occupa della trasformazione del cristianesimo e della struttura stessa ell'esperienza religiosa che, secondo il gesuita, è richiesta dal nuovo orizzonte di comprensione della realtà definito dalla visione evolutiva del mondo e della vita umana. La sua iflessione sul fenomeno religioso si articola poi in due fasi. Nella prima, che inizia con gli scritti redatti al fronte nel corso della Prima Guerra Mondiale, lavora soprattutto alla necessaria rifondazione» della teologia e della spiritualità cattolica, operazione effettuata attraverso la loro dislocazione dal fissismo e dall'essenzialismo tipici del pensiero neoscolastico egemone nella cultura cattolica coeva. Nella seconda fase, che va dal 1929 al 1955, anno della morte, Teilhard contestualizza il problema della «rifondazione» della teologia e della spiritualità cattolica nello spazio più ampio della «reinvenzione» dell'esperienza religiosa, un'operazione che, a suo avviso, non riguarda soltanto il Cristianesimo, ma tutte le religioni. Sostiene infatti che la necessità di misurarsi con tale problematica è imposta dal transito in atto in una umanità sempre più unificata e potenziata dalle pratiche della tecnoscienza verso l'«Ultraumano». Con tale espressione viene indicata una neoformazione della «vita pensante» nella quale l'esperienza religiosa, per poter giocare un ruolo significativo, deve misurarsi con le complesse problematiche imposte dall'avvento di una collettività umana che è giunta a disporre di risorse cognitive e operative che le consentono di aprire una nuova fase dell'evoluzione. Prefazione Riccardo Campa.
Arrivata nel 1979 alla procura di Milano, Ilda Boccassini capisce subito che la vita non sarà facile. Raccogliendo il palese malumore dell'allora procuratore, il "Corriere della Sera" commenta il giorno stesso che "il lavoro inquirente poco si adatta alle donne: maternità e preoccupazioni famigliari male si conciliano con un lavoro duro, stressante e anche pericoloso". Inizia così per "Ilda la rossa" un corpo a corpo dentro e fuori la procura, che durerà fino al giorno della pensione, nel dicembre 2019. Il lavoro è duro, certo, ma entusiasmante già dal primo periodo, a partire dai successi ottenuti insieme a Giovanni Falcone nell'indagine "Duomo connection", che svela la presenza di Cosa nostra a Milano. Fino al giorno in cui tutto finisce e tutto comincia: il 23 maggio 1992, lo squarcio sull'autostrada, la strage di Capaci. Si parte allora per la Sicilia, bisogna indagare su quelle morti, sconsigliata da tutti, perseguitata dal senso di colpa per i figli lasciati a Milano. Ma è necessario capire, dare giustizia. Il ritorno in procura, nella stessa stanza numero 30, è già Seconda repubblica e sarà segnato dai processi Imi-Sir, Lodo Mondadori, "Toghe sporche", che la portano ad affrontare anche Silvio Berlusconi, fino agli anni duemila con il caso Ruby. E con quei processi, l'inizio di una campagna d'odio che dura da decenni. Queste pagine ripercorrono gli avvenimenti da uno straordinario punto di vista: quello di una donna libera, sotto la toga e nella vita che ha scelto, con la forza di pochi e la fragilità di tutti.
Se la mattina del 21 aprile 753 a.C. qualcuno si fosse trovato sulla cima del Palatino, terra di greggi e di pastori a un passo dal guado del Tevere, avrebbe assistito a una scena decisamente singolare: in un silenzio irreale, rotto solo dai versi degli uccelli, un uomo aveva impugnato il timone di un aratro, si era coperto il capo con un lembo della toga e aveva iniziato a tracciare un solco circolare sulla superficie vergine del colle. Di lì a poco, l'ipotetico osservatore lo avrebbe sentito proclamare con voce solenne, davanti a un pugno di seguaci, il nome scelto per la città di cui aveva appena disegnato il perimetro: Roma. Il libro racconta la storia e la leggenda di quell'uomo, che i suoi discendenti chiamarono Romolo: le sue origini, che lo riconducevano a un eroe venuto dall'altra parte del mare, le peripezie che lo avevano condotto sino a quel giorno e le gesta da lui compiute nei lunghi anni che lo videro alla testa della sua fondazione, destinate a cambiare per sempre la storia del mondo.
Se la devozione a santa Rita, la santa delle cause impossibili, ha raggiunto distanze infinite, lo si deve alla beata Maria Teresa Fasce: una donna di slanci e ideali, eppure prudente, con uno spiccato senso della giustizia divina, prima che umana. Forte, temperante, innamorata di Cristo. Una beata che ha trascorso la propria esistenza a imitazione di una Madre. Cascia com'è oggi - con il santuario, le opere di carità, la spiritualità senza rughe - non sarebbe esistita senza Maria Teresa Fasce. Il perché lo scoprirete immergendovi nella lettura di un testo agevole, affidabile per l'approfondita ricerca storica, anche inedita. Il volume è diviso in due parti: nella prima si descrive la vita della Beata; nella seconda si approfondiscono gli aspetti principali della sua spiritualità anche attraverso testimonianze di chi l'ha conosciuta e brani tratti dalle sue lettere.
Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987) è stato l'artista più influente del Novecento, l'uomo che ha creato un modo nuovo non solo di raffigurare, ma di guardare la realtà. Ma fece di sé stesso un'icona inseparabile dalla sua arte, un personaggio inafferrabile, un mix di timidezza, di ottusità, di curiosità, di glamour, di superficialità. A oltre trent'anni dalla sua morte ci si chiede se l'uomo Warhol fosse veramente così. E in questa inchiesta emerge un aspetto che quasi nessuno conosceva mentre egli era in vita: Warhol era un fervente cattolico, dedito privatamente alla preghiera, alla beneficenza, all'aiuto agli altri. La sua fede dovette però fare i conti con la sovraesposizione mediatica, e prima ancora con la sua omosessualità...
Scritto negli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale e pubblicato in Germania nel 1929 - lo stesso anno in cui il padre di Klaus, Thomas Mann, vinse il Nobel per la letteratura -, "Alessandro" è un romanzo storico che ripercorre in chiave narrativa la storia di uno degli eroi più amati di tutta l'antichità classica: Alessandro Magno. Nella versione di Klaus Mann, Alessandro è soprattutto il semidio che nutre lo smisurato sogno di unificare il mondo. «Ciò che mi attirava nel mio nuovo eroe» scriverà «era l'esigenza quasi criminosa del suo sogno, la dismisura della sua avventura». Il lettore è così trascinato in un meraviglioso mondo di gesta eroiche e grandezza d'animo, ma anche di umanissimi contrasti e delusioni d'amore, trattati con grande finezza di scrittura. Particolare attenzione è dedicata al legame che unisce Alessandro e Clito e all'attrazione di Aristotele per il suo allievo, in cui si ravvisa una sublimazione della omosessualità che Klaus aveva reso pubblica nel romanzo "La pia danza".
«Io non credo nell'amore, è una malattia che passa com'è venuta ... prendetemi oggi, non contate di avermi domani» scrive Virgina Verasis di Castiglione a uno dei suoi innumerevoli amanti, palesando la sua esigenza più radicata e insopprimibile: non avere padroni. Un'esigenza che emerge prepotentemente dal racconto che della sua vita ci propone l'autrice di Amanti e regine. Tutti noi - grazie agli scritti di testimoni e biografi, a film e sceneggiati televisivi, nonché ai moltissimi ritratti fotografici che in anni recenti sono stati pubblicati ed esposti - crediamo di sapere chi sia stata la contessa di Castiglione: una «seduttrice seriale» di incomparabile bellezza che, dopo aver conquistato (secondo le istruzioni ricevute dal conte di Cavour) Napoleone III e abbagliato la corte del Secondo Impero, si chiuse in una casa senza specchi nascondendo ai propri occhi e a quelli del mondo la sua inarrestabile decadenza. Ma colei che Robert de Montesquiou consacrò per sempre come «la divine comtesse» è stata molto di più, e Benedetta Craveri, la quale ha rintracciato negli archivi italiani e francesi un'ingente mole di lettere totalmente inedite, ce lo fa scoprire lasciando che sia Virginia a parlarci di sé: dei suoi amori, delle sue ambizioni, delle sue paure, delle sue ossessioni. Vengono così alla luce aspetti sorprendenti di una donna che seppe usare il suo fascino, ma anche la sua intelligenza politica, la sua audacia, la sua volontà di dominio, la sua straordinaria abilità di commediante, e anche una buona dose di cinismo, per raggiungere un traguardo all'epoca inimmaginabile: disporre liberamente della propria esistenza. Una ribellione alle regole imposte dalla morale del secolo borghese che, scrive Craveri, "ha mantenuto intatta la sua forza incendiaria e che ancora oggi disturba, sconcerta, scandalizza».
«Scaltra come una zingara»: così Alberoni definì Elisabetta Farnese (1692-1766) pensando alle sue doti politiche. Regina consorte tutt’altro che passiva e dietro le quinte, la sua figura si presta all’analisi dell’apporto muliebre alla realizzazione della sovranità monarchica europea, in sintonia con l’attenzione della più recente storiografia alla regalità femminile, al ruolo delle regine consorti, nonché all’influenza delle donne nella costruzione delle corti. Le vicende della Farnese vanno infatti ricollocate in un quadro di studi profondamente rinnovato negli ultimi decenni.
In questa biografia si presta quindi attenzione alla formazione della futura regina di Spagna negli anni del tramonto degli antichi stati principeschi italiani, decadenti, ma con corti ancora vivaci e in grado di rappresentare dei modelli culturali e artistici. Proprio il destino della penisola italiana rappresenta il cuore della successiva politica internazionale della regina di Spagna. Si è voluto superare lo stereotipo della “madre ambiziosa”, per cogliere maggiormente i disegni complessivi di Elisabetta. La vita della regina di Spagna ha fatto i conti con i nodi internazionali che caratterizzarono il vecchio continente nella prima metà del Settecento: il conflitto a livello mondiale tra le potenze coloniali della Francia e dell’Inghilterra; la crisi e la resilienza dei paesi mediterranei; l’affermazione prima degli Asburgo di Vienna e l’emergere poi della Prussia come nucleo tedesco alternativo all’interno dell’Impero. È in questo quadro assai complesso che Elisabetta Farnese attuò un’attenta politica volta all’affermazione della dinastia. Fu soprattutto grazie al suo operare, energico e non sempre convenzionale, che nacquero numerose branche della famiglia dei Borbone, destinate a dominare con tratti assai comuni l’Europa della seconda metà del Settecento.
Dag Hammarskjöld, premio Nobel per la pace noto per il suo impegno internazionale, era un uomo animato da una profonda vita interiore. Le parole che ci ha lasciato indicano nell'interiorità la via maestra per affrontare le sfide di ogni giorno con lucidità e decisione, maturità e lungimiranza. "In un'epoca in cui l'ideale della politica come servizio pubblico è ignorato o disprezzato, è importante sapere dove cercare segni di speranza e di impegno. Hammarskjöld è un esempio straordinario di politica astuta, umile, coraggiosa, paziente e rischiosa allo stesso tempo: un esempio necessario per noi oggi come l'acqua nel deserto. Questo libro espone con chiarezza e passione esemplare ciò che potremmo imparare da Hammarskjöld, il tesoro che potremmo scoprirvi" (Rowan Williams).
Tutto parte dall'Emilia e dalle lezioni politiche della madre, dalle partite di calcio al Campo Volo nella Reggio Emilia rossa degli anni Cinquanta. Romano Prodi si racconta per la prima volta in queste pagine scritte con Marco Ascione, giornalista del «Corriere della Sera»: la vita intensa di un protagonista della nostra storia che ha sempre «interpretato a soggetto» da riformista, sì, ma a modo suo. Vicino alla Democrazia cristiana, ma non dentro. Fondatore dell'Ulivo, senza farne un partito. Cattolico osservante, ma «adulto». Atlantista, ma ostinato coltivatore del multilateralismo, impegnato a trarre il meglio anche dal rapporto con i dittatori. I conti da pagare non sono mancati, anche a causa, talvolta, di una certa ostinazione. Eppure ogni passo è stato benzina. Pochi politici in Italia possono vantare la sua carriera: professore universitario a Bologna, negli Stati Uniti e in Cina, due volte a capo dell'Iri e due volte premier, capo della Commissione europea e quasi presidente della Repubblica, affossato da una congiura del suo partito. «Strana vita, ma fortunatissima» dice. Perché può vantare di averci davvero provato a lasciare un segno. Sia fondendo sotto lo stesso tetto le tradizioni riformiste della Dc e del Pci, sia portando l'Italia nell'euro o pilotando da Bruxelles lo storico allargamento dell'Europa. Il suo racconto, lungo il solco degli aneddoti e delle riflessioni politiche, rimanda l'eco delle riunioni con Beniamino Andreatta e Arturo Parisi nella casa di via Gerusalemme a Bologna, delle lezioni americane, della strana chimica con Putin (ma anche con Gheddafi), degli scambi di battute con Chirac, delle missioni in Africa, dei grandi entusiasmi in piazza Santi Apostoli, dei duelli con Cuccia, delle delusioni dirompenti in Parlamento, del complesso rapporto con D'Alema e con Bertinotti, della profonda distanza con Berlusconi, «anche se la vecchiaia porta saggezza».
Su una spiaggia della Versilia, al ritmo sincopato di un charleston una bambina, quasi una ragazza, inizia a muovere i suoi primi timidi passi di danza. È qui che comincia il racconto di Enzo Fiano, con un'immagine di giovinezza liliale, non ancora ruggente, ma ricolma di speranza. E tutto "Charleston" coglie l'invito di questo ballo, in un continuo inseguirsi di ricordi teneri e vibranti, capaci di illuminare persino i momenti più bui del Novecento, del fascismo, della Shoah, che hanno lasciato sulla storia e le persone che l'hanno vissuta un segno tragicamente indelebile. Così, come nella composizione di un'opera musicale, l'autore sceglie di rincorrere il tema - la storia della propria famiglia - attraverso undici variazioni, undici movimenti dell'animo umano che si culla a occhi chiusi tra il mondo di ieri e il presente. Un dolce esercizio della memoria che è non solo un modo diverso di riavvicinarsi al passato ma forse l'unico per gettare uno sguardo sul futuro. Prefazione di Emanuele Fiano e Andrea Fiano.