Chi combatte sotto le mura di Troia? Gli eroi, ma anche gli dèi e, con molto accanimento, le dee. Dopotutto, questa immane contesa è stata scatenata da una rivalità tra divine: la famosa mela d'oro assegnata da Paride ad Afrodite, che in cambio gli ha dato Elena. E così, con occhi femminili stavolta è raccontata l'Iliade. È Atena a parlarci dell'ira di Achille, ed è la madre dell'eroe, Teti, a spiegare i moti dell'animo di suo figlio, le sue scelte che tanto sangue costeranno ai due eserciti. Afrodite tiene un occhio sul campo di battaglia e un altro sui suoi protetti Paride ed Enea, di cui ci narra le gesta, senza nascondere le proprie ingerenze. La sua rivale Era, per contro, tifa per i Greci e cerca di favorirne la vittoria. E poi ci sono due donne speciali, l'una figlia di Zeus, l'altra toccata da Apollo: Elena e Cassandra, che da dietro le mura di Troia testimoniano il fato atroce dell'altra metà del cielo in ogni conflitto. Ma di chi è la voce che grida la sua disperazione e si predispone al sacrificio, mentre la città brucia? È la moglie di Enea, Creusa, una protagonista che la storia ha lasciato indietro ma che ha qualcosa di molto importante da rivelare. Riportando in vita l'Iliade come un coro di voci femminili, Marilù Oliva ribalta la prospettiva sulla più maschile delle vicende, la guerra, riappropriandosene a nome di tutte: delle troppe vinte, umiliate, violate, ma anche delle poche vincitrici apparenti, destinate ad afferrare trionfi effimeri come la vendetta. Un'epica potente, commovente, palpitante: indimenticabile.
«Quanti mesi, quanti anni ci vogliono perché un bambino diventi un ragazzo, e un ragazzo un uomo?». Ad Alain Poitaud, direttore appena trentaduenne di un settimanale di enorme successo, bastano poche ore per smettere di essere l'uomo che è stato e «diventare un altro». Accade in una piovosa sera di ottobre, allorché, tornando a casa per cambiarsi in vista di una cena in compagnia della moglie Jacqueline e della piccola corte di cui è solito circondarsi, trova ad aspettarlo davanti al portone un ispettore della Polizia giudiziaria. Poco dopo, al Quai des Orfèvres, si sentirà dire che Jacqueline ha ucciso la sorella minore, Adrienne, con un colpo di pistola, chiudendosi poi in un mutismo assoluto. La stampa ci metterà poco a scoprire che con Adrienne, per parecchi anni, Alain è andato a letto regolarmente, e parlerà di «dramma della gelosia», ma lui - l'uomo cinico, superficiale, mondano, il donnaiolo incallito sempre pronto a fare dell'ironia - comincerà a chiedersi quale sia stato il vero motivo di quel gesto. E mentre la polizia conduce la sua indagine, si interrogherà su quella giovane donna accondiscendente e discreta (tanto che fin dall'inizio l'ha chiamata Micetta), che ha sposato quasi per gioco, che gli è sempre stata accanto senza chiedere niente - ma, soprattutto, in un crescendo di smarrimento e di angoscia, si interrogherà su se stesso.
È da una pagina del poeta Novalis - ricostruisce Vanessa Roghi in questa storia intellettuale (e sentimentale) di un libro rivoluzionario e del suo autore, e particolarmente della didattica dell'inventiva che ne è scaturita - che venne a Rodari l'idea della Grammatica della fantasia. Maestro di scuola, scrittore, poeta, utopista e creatore di una pedagogia poetica «per il mondo urbano e non per un'arcadia rurale che non esiste»: i capitoli su di lui di questo saggio lo ritraggono sullo sfondo delle profonde trasformazioni della società del dopoguerra e, soprattutto, nell'ottica delle grandi energie e speranze sprigionate dall'attivismo nella pedagogia internazionale. È necessario scoprire una «Fantastica» - così come esiste una logica -: una disciplina, cioè, che studi «l'arte di inventare storie», «il modo in cui le storie vengono al mondo». Il fine di questa disciplina non sarà una scienza astratta, ma principalmente il bambino e la bambina come persone attuali, presenti, né adulti futuri né generica infanzia; che sono cento capacità da non ridurre ad una; dotati di un senso della possibilità da affiancare non cancellare con il senso della realtà. Dalla lente d'ingrandimento dell'autrice emergono gli influssi culturali ricevuti e l'originalità di una formazione. Le idee vengono incrociate alle pratiche didattiche. Sono rintracciati i rimandi e i confronti con le scuole più vitali della pedagogia. Gli incontri con altri pensatori influenti. Ma è anche la qualità letteraria che viene fuori, l'instancabile lavoro sui giochi della lingua e della parola che può riferirsi a delle origini surrealiste dello scrittore in quanto tale. E poi Vanessa Roghi scova anche il Rodari più divagante: gli esercizi di allegria, le parole e il loro doppio, Pinocchio contrapposto, quanto a realismo, ai Garrone e ai Muratorino di De Amicis, le fiabe «archivio storico dei popoli», gli insiemi e la poesia, i fumetti. Un geniale, digressivo e trasgressivo fantasista che non è detto che non sia il Rodari più incantevole. «Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo».
L'unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. È da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un'adolescente di trent'anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un'invasione. Quella donna ha l'accento "foresto" e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo? Quando finalmente s'incontrano, ciascuno con la propria solitudine, negli occhi di Emilia - "privi di luce, come due stelle morte" - Bruno intuisce un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l'ha subito, lei perché l'ha compiuto - un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. Sassaia è il loro punto di fuga, l'unica soluzione per sottrarsi a un futuro in cui entrambi hanno smesso di credere. Ma il futuro arriva e segue leggi proprie; che tu sia colpevole o innocente, vittima o carnefice, il tempo passa e ci rivela per ciò che tutti siamo: infinitamente fragili, fatalmente umani. Con l'amore che solo i grandi autori sanno dedicare ai propri personaggi, Silvia Avallone ha scritto il suo romanzo più maturo, una storia di condanna e di salvezza che indaga le crepe più buie e profonde dell'anima per riempirle di compassione, di vita e di luce.
Claudia ha diciassette anni e non dà nessun valore alla vita; Willi era felice, almeno fino all'arrivo di Gregor. America è cresciuta molto presto, senza tuttavia perdere la propria innocenza. L'esistenza di ciascuno di loro subisce un arresto a causa di un fatto sconvolgente. Ciò che però, in principio, appare come un male, in realtà diventa per tutti e tre un'occasione inaspettata di cambiamento e salvezza. Una storia che parla di come a volte è solo necessario lasciarsi amare, ammettendo senza vergogna di avere bisogno di aiuto, e imparare a propria volta a volersi bene.
A volte capita di attraversare momenti talmente bui che ci sentiamo come sotterrati, ma in realtà siamo un seme appena piantato
Sarah Miles e Maurice Bendrix sono stati amanti durante la guerra. Il loro è un amore clandestino, rabbioso, quasi feroce. Una passione così assoluta che perfino i terribili bombardamenti tedeschi su Londra sembravano solo un sottofondo rumoroso. Il marito di lei, Henry, alto funzionario, non aveva mai dato segno di sospettare. Poi, Sarah aveva troncato di netto la relazione, improvvisamente e senza nessuna spiegazione. Dopo quasi due anni, finita la guerra, un incontro casuale tra Bendrix e Henry Miles riaccende la gelosia dell'ex amante: Bendrix non crede che Sarah sia semplicemente tornata dal marito; «l'odio, il sospetto e l'invidia», mai realmente sopiti, lo spingono ad assoldare un investigatore privato che pedini Sarah alla ricerca di un «terzo uomo». Ma che cosa ha capito Bendrix, che di mestiere scrive romanzi, ricordando il passato amore e inseguendo, attraverso i resoconti del detective, il presente di Sarah? Che cosa ha capito della «fine di una storia»? Il diario di Sarah svela un'altra verità. Non è solo l'ossessione, a volte selvaggia e spietata, di Bendrix che ha distorto la sua versione dei fatti. È anche che la storia di Sarah ha intrapreso una strada incommensurabile dove si incontra l'assurdo della fede, come desiderio di non essere soli nel deserto. Pubblicato nel 1951, Fine di una storia - da Greene definito il suo «Great Sex Novel» - è un romanzo lancinante, il resoconto di un amore carnale, immenso, crudele, in cui, per via dell'enormità della guerra, irrompe il divino. Ma è un divino diviso, tragicamente incerto, rischioso. Alla fine di questa storia, al di là dello scandalo e delle censure, resta - ha scritto Scott Spencer nella sua introduzione - la «convinzione che anche nelle circostanze più squallide ci sia qualcosa che non si vede, qualcosa che resiste e nobilita».
Nella Parigi d'inizio Novecento, il matrimonio tra Léon Reinach e Béatrice de Camondo unisce le sorti di una stirpe di banchieri di origine tedesca con quelle dei nobili Camondo. Eredi di questo mondo in declino, i figli di Béatrice e Léon - l'inquieto Bertrand e Fanny elegante cavallerizza - si ritrovano a vivere tempi funesti, trascinati infine insieme ai genitori nell'abisso della follia nazista. Investigando tra documenti d'archivio e i ricordi fumosi di chi è stato testimone, uno scrittore ripercorre la vicenda dei Reinach, mosso anche dalla ricerca di una sonata perduta di Léon Reinach ritrovata ottant'anni dopo la sua prima esecuzione (e che grazie a questo libro è tornata in repertorio). Con Le variazioni Reinach Tuena compone un grande romanzo sul Novecento che è al tempo stesso un libro sui padri e i figli, sul senso dell'eredità e della memoria o, come scrive l'autore, "un libro sulla nostalgia e sul conflitto tra il presente e il passato che giace e che però fortemente desidera ritornare in vita".
"Le mille e una notte" è forse la più straordinaria raccolta di storie di tutta la letteratura. Il pretesto che dà luogo alla narrazione e che è all'origine del titolo è ben noto: il sultano Shahriyàr, per vendicarsi dell'infedeltà della prima moglie, fa uccidere al mattino le spose con le quali ha trascorso una sola notte. Shahrazàd, la saggia e colta figlia del visir, giovane di grande bellezza, decide di porre fine alla strage; perciò si offre come sposa al sultano, e riesce a scampare alla morte, e a salvare la vita di chissà quante altre donne, grazie alla sua intelligenza e al suo fascino: racconta a Shahriyàr una serie interminabile di bellissime storie, incastonate l'una nell'altra in un sapientissimo gioco di scatole cinesi. Per mille e una notte il crudele sultano ascolta rapito le avventure di dolci principesse, potentissimi re, geni dagli straordinari poteri, personaggi il cui nome è ormai divenuto celebre, come Aladino, Sindibàd il marinaio o Ali Baba. Al termine della narrazione Shahriyàr, ormai innamorato di Shahrazàd, rinuncia alla sua legge disumana e... «da tutti i paesi dell'impero salirono mille lodi e mille benedizioni al sultano e alla deliziosa Shahrazàd, sua sposa». «Passò attraverso i ramoscelli, e scorse la porta nascosta. Vi si mise quindi davanti, e disse: "Sesamo, apriti!". Appena ebbe pronunciato queste parole, la porta si aprì». Prefazione di Marcello Simoni.
Tre parole per riassumere la propria esistenza. È l'invito che un'impiegata della casa di riposo rivolge ai residenti per raccontare la loro vita. A quasi cento anni, Mook Miran pensava che avrebbe portato i suoi segreti nella tomba, invece quell'estranea le sta offrendo l'occasione per fare finalmente pace col proprio passato. Tre parole, però, non le bastano, e ne sceglie sette: schiava, artista della fuga, assassina, terrorista, spia, amante. E madre. Perché altrettante sono le vite che ha vissuto, le identità che ha dovuto assumere. Sotto lo sguardo attonito di quella che chiama affettuosamente «la sua biografa», la signora Mook parla della fame e delle privazioni che ha sofferto nascendo in una Corea occupata dall'esercito giapponese; delle tragedie che ha affrontato durante la Seconda guerra mondiale; delle scelte terribili che ha sostenuto per superare le tempeste di anni densi e implacabili; delle persone che ha imbrogliato e di quelle che ha ucciso. Non importa quale difficoltà le sia stata messa di fronte, lei ha sempre trovato la forza di sopravvivere, anche a rischio di pagare un prezzo altissimo. A poco a poco, dalle sue storie emerge la figura di una donna enigmatica e camaleontica, capace di adattarsi a ogni situazione, di combattere con efferata ferocia e di amare col trasporto assoluto di chi teme il rimpianto più della morte. Una donna che non si arrende davanti alle avversità e che affronta il destino a testa alta e alle sue condizioni. Anche quando arriva il momento di sciogliere il mistero della sua ottava e ultima vita... Grazie alla sua prosa al tempo stesso lirica e spietata, Mirinae Lee tratteggia una protagonista unica e dal fascino irresistibile, un enigma che il lettore è chiamato a risolvere ricomponendo i tasselli di una storia luminosa e travolgente, che arriva dritta al cuore.
La protagonista di questa storia è una donna di cui non scopriremo mai il nome. Sappiamo però che ha appena chiuso un capitolo della sua vita per cominciarne uno nuovo: dopo che la figlia è andata via di casa, ha deciso di lasciare il marito, un accumulatore compulsivo sempre preparato al peggio, ma anche un confidente, con il quale continua a intrattenere una regolare corrispondenza. Priva di rapporti significativi al di fuori del nucleo familiare ormai sfaldato, la donna si trasferisce al mare, in una casa tutta sua; poco lontano si trova il paesino dove inizia a lavorare nel pub del fratello, un sessantenne fanfarone e sfaccendato. Mentre l'ex marito e la figlia giramondo continuano a occupare i suoi pensieri, con cautela la donna cerca di ambientarsi in un paesaggio umanamente e climaticamente duro: stringe amicizia con una sua coetanea originaria del posto, tenta una goffa relazione amorosa, rimesta tra i ricordi della sua vita passata e, immersa in una solitudine scelta ma non priva di inquietudini, si domanda che ne sarà di quella futura. Capolavoro della grande scrittrice tedesca Judith Hermann, A casa è il racconto di una rinascita che parte da un luogo remoto, una tabula rasa che consente alla protagonista di mettersi a fuoco e sperimentare la libertà da donna matura non relegata al ruolo di madre e moglie; un romanzo armonioso, in cui una prosa superba tiene insieme tutte le fila e trascina con sé il lettore riuscendo a cogliere la sostanza impalpabile di un'atmosfera, uno stato d'animo, un incontro.
Ildegarda ha scoperto cosa significhi amare in modo assoluto quando è nato Tommaso, una luce che illumina la sua vita dopo che il marito l'ha lasciata. È un amore che però deve passare attraverso la consapevolezza della fragilità e della rapidità bruciante della vita. A soli tre mesi, infatti, Tommaso viene toccato dalla malattia. Ildegarda, mentre sente il bisogno impellente di chiedersi il senso del male nel mondo, arriva a stringere un patto con Dio, a offrirgli la propria vita per salvare quella del figlio. La ricerca di un rifugio li porta nelle montagne innevate dell'Alto Adige, dove Ildegarda, grazie all'incontro con un uomo che con lei condivide la fede e l'esperienza della perdita, conosce una nuova passione, questa volta anche fisica, per la vita. E forse un nuovo inizio. "Il tempo è un dio breve" è il racconto di una lotta e insieme di un viaggio, una discesa nella paura e insieme una salita nella speranza, un percorso di profondità e bellezza struggente che parla a chiunque voglia ascoltare.