Cinque piccole volpi si rotolano nella neve... Gioca a nascondino con loro! Un libro magico dove grazie alle linguette per far sparire e riapparire le volpi una a una, puoi giocare all'infinito. Un libro che si trasforma tra le mani, per emozionare i più piccoli e parlargli di sentimenti: volere tutto lo spazio per se stessi, rifiutarsi di condividerlo e poi farsi sopraffare dall'ansia di stare da soli. Età di lettura: da 3 anni.
Come si è formato l'italiano? Perché Dante viene definito "Padre della lingua"? Quali sono le prime testimonianze dell'uso dei volgari in Italia? Quando il fiorentino trecentesco è diventato il modello per la lingua letteraria? E che ruolo ha avuto Manzoni nella diffusione di una varietà più moderna? Su cosa si sono concentrate le riflessioni novecentesche, e quali sono gli argomenti più dibattuti nel primo ventennio del nuovo Millennio? Con un linguaggio chiaro e numerose schede di approfondimento il volume risponde a queste domande e a molte altre curiosità riguardanti la nostra lingua dalle Origini a oggi.
Un estudio sobre la llegada del Opus Dei a Sevilla en 1942, y su desarrollo y expansión en esa ciudad y en otras de Andalucía Occidental. El Opus Dei —fundado por san Josemaría Escrivá de Balaguer en 1928— llegó a Sevilla en 1942, y desde Sevilla se extendió en esa década a otras ciudades de Andalucía Occidental, como Córdoba y Cádiz. Sevilla, salvo en Ronda, no intervino en los comienzos de otras ciudades de Andalucía Oriental, como Granada, donde el Opus Dei da también sus primeros pasos en esa misma década. Casi todos los que iniciaron esta labor en Sevilla, y muchos de los que se incorporaron al Opus Dei en esa ciudad durante esos primeros años, se trasladaron luego a diversos países de Europa e Hispanoamérica para ayudar en los primeros pasos en esas naciones.
Ci sono fotografie capaci di segnare un'epoca, di lasciare un segno, di sintetizzare mille parole. Immagini destinate a fissarsi per sempre nella nostra memoria e a costruire l'immaginario collettivo. Mario Calabresi, giornalista e grande appassionato di fotografia, ha viaggiato a lungo per incontrare gli autori di scatti divenuti ormai iconici e farsi raccontare quali emozioni li avessero attraversati mentre fermavano sulla pellicola un pezzo di Storia. Il fotogiornalismo, come il giornalismo, è fatto di pazienza, dedizione e costanza. Per essere credibili bisogna andare dove i fatti accadono, per vedere, capire e testimoniare. Non può farlo chi si limita a osservare il mondo dall'alto, chi resta distante e distaccato, ma soltanto chi è pronto a calarsi anche nelle realtà più crude, chi si immerge nelle storie correndo rischi. Lo sanno bene Josef Koudelka, che ha documentato la Primavera di Praga del 1968, Don McCullin, testimone dei sanguinosi conflitti in Vietnam e nell'Irlanda del Nord, Steve McCurry, che ha affrontato i monsoni e attraversato l'Afghanistan in macerie, o Gabriele Basilico, che ha immortalato una Beirut distrutta da anni di guerra civile. I fotografi incontrati da Calabresi hanno accettato di raccontare i momenti che li hanno definiti: l'umanità dolente in fuga dai massacri ruandesi o gli schiavi delle miniere a cielo aperto ritratti da Sebastião Salgado, le discriminazioni razziali americane testimoniate da Elliott Erwitt o i rifugiati palestinesi ai quali, nelle sue immagini volutamente un po' sfocate, rivolge con pudore lo sguardo Paolo Pellegrin. Questo libro contiene le lezioni di Susan Meiselas, capace di costruire rapporti di una vita con i soggetti delle sue foto, come le denunce in bianco e nero di Letizia Battaglia, che ha messo sotto gli occhi dell'Italia la realtà della mafia siciliana. "A occhi aperti" è un affascinante viaggio non solo nella fotografia, ma negli eventi che hanno fatto la Storia degli ultimi cinquant'anni, ancora oggi vividi e toccanti grazie a uomini e donne che hanno saputo cogliere l'attimo perfetto.
Un amore che attraversa la guerra e rimane intatto nonostante gli orrori che lo mettono alla prova. L'epopea di un ragazzo che difende la propria vita facendo a pugni per tornare dalla donna che lo aspetta. Cono Trezza e Serenella Pinto sono due giovani del Sud, cresciuti nella zona del Vallo di Diano, tra Campania e Basilicata. Lui contadino, lei figlia di un artigiano di idee socialiste. Si sono conosciuti che erano adolescenti, aspettano solo il momento di sposarsi. Ma sono gli anni Trenta del secolo scorso, e a mettersi tra loro ci sono i fascisti. Soprattutto Romano, il figlio del podestà. Stufo di subirne l'arroganza, Cono si ribella, compiendo un gesto che la sua famiglia pagherà a caro prezzo. Poi la partenza per il servizio militare, e dopo l'8 settembre 1943 la deportazione in Germania. A tenerlo in vita, saranno la speranza di rivedere Serenella, l'aiuto di un compagno di prigionia dal cuore grande e la sua abilità nel tirare di boxe. C'era uno sport che veniva praticato nei campi di concentramento, il pugilato. Piaceva al Führer, piaceva alle guardie naziste che scommettevano sugli incontri, piaceva ai kapò che obbligavano i prigionieri a combattere di notte su ring improvvisati. "Sono tornato per te" racconta la storia di chi è sprofondato in quell'inferno e ne è uscito aggrappandosi a un ricordo. «In quella stanca e sventurata stagione che aveva già vendemmiato, nella quale le foglie a una a una cadevano dai tralci, Cono ripensò al bacio con Serenella quando erano accovacciati sotto le viti. Ma qualcosa dentro di lui gli impedì di lasciarsi spezzare, in testa gli si conficcò l'ordine di non dimenticare, di tenere bene a mente il pianto di Benedetta, gli occhi disperati di sua madre, le urla di suo padre, il volto sfatto di Serenella. Per tutti loro avrebbe resistito, e per lei un giorno sarebbe tornato».
Zero virgola venti secondi. È questo il tempo che, secondo la scienza, impieghiamo per innamorarci di qualcuno. Un manga d'autore. Una commedia sentimentale, brillante e commovente, ideata e scritta da Matteo Bussola e disegnata da Emilio Pilliu. Nadine e Davide fuggono da due amori sbagliati. Lui sogna che tutto segua il suo «piano perfetto», ma sembra incapace di costruire una relazione solida. Lei invece crede nella coppia, ma deve imparare a «salvarsi da sola». Il caso li fa incontrare nella città più bella del mondo, mentre riflettono sulle loro ferite e sul loro modo di amare. Qualcosa li spinge l'uno verso l'altra: sarà più forte della paura di soffrire ancora? Perché, se per innamorarsi basta un attimo, per conoscersi non basta una vita intera. La prima serie manga di Einaudi Stile Libero. Storie di formazione, di donne e di uomini che cercano il loro posto nel mondo, che vogliono dimenticare qualcuno, o lasciarsi qualcosa alle spalle, per cominciare una nuova vita. Per andare incontro al proprio "Zeroventi".
In queste 101 voci napoletane Erri De Luca innesta cultura e storia di un'intera città e dei suoi abitanti. Lo fa liberamente, muovendosi da una parola all'altra in maniera apparentemente casuale - "a schiovere", come si dice a Napoli, a vanvera -, eppure tutto si tiene e diventa racconto: canzoni, film, poesie, la smorfia, ricordi d'infanzia e di una vita, curiosità linguistiche e corse di ragazzi sul basolato lucido di pioggia. "L'italiano usato in queste pagine per raccontare," scrive l'autore in apertura, "è vocabolario aggiunto, adatto alla mia indole appartata. Lingua lenta di parole piane, è opposta all'altra sbrigativa, di parole tronche. L'italiano stava per me nei libri, silenzioso, spazioso, di entroterra. Il napoletano era portuale, carico di salsedine. Dove il napoletano scortica, l'italiano allevia. Mi ci affezionai per riparo. Fuori soffiava da ogni punto cardinale il napoletano, dentro la cameretta dei libri c'era a forma d'insenatura l'italiano. Grazie allo spessore degli scaffali imbacuccava pure contro il freddo, 'o fridd'. Senza coincidere si sono dati il cambio, escludendosi. Ma in queste pagine vanno per la sola volta sottobraccio." Ad accompagnare parole e racconti, usciti nell'omonima rubrica settimanale del "Corriere del Mezzogiorno", i disegni di Andrea Serio. E ogni voce è una storia da scoprire. A schiovere. È la maniera con cui mi vengono le storie, sbucate alla rinfusa da un guizzo di ricordo.
Con le parole si può giocare, ma non si scherza. Sono roba seria. Infatti, uno dei primi segni di un potere totalitario e liberticida è proprio il controllo del linguaggio. L'imposizione della censura di alcuni termini non è pratica che riguarda il passato, anzi, è più attuale che mai. Più andiamo avanti e più regrediamo in questo ambito. Più diventiamo moralistici, smarrendo tuttavia morale ed etica, più ci concentriamo sull'uso di determinati vocaboli, facendone una malattia. Così si è data vita alla battaglia più stupida, vana, insulsa e folle della nostra storia: quella al dizionario. Oggi non si può più dire "negro" al negro né si può più dire "zingaro", "rom" o "nomade". Non si può dire che uno è "cieco", semmai è un "non vedente". Non si può dire "sordo", al massimo "audioleso". Non si può dire "spazzino", ma solo "operatore ecologico". Non si può dire "bidella", ma solamente "operatrice scolastica". Non si può dare del terrone al terrone mentre è corretto dare del polentone a un polentone. E guai a dire "frocio" o "finocchio", a meno che tu stesso non sia omosessuale, in tal caso diventa lecito. Per non parlare della repulsione diffusa nei confronti dei sostantivi maschili. Se aggiungi l'astina alla vocale "o", se declini tutto al femminile, allora sei una bella persona, altrimenti vieni etichettato quale maschilista tossico e pure farabutto. Il politicamente corretto applicato al linguaggio secondo Feltri è il male del secolo, ed è giunto il momento di dire basta, di tornare a parlare come mangiamo.
«Che cosa vi siete persi!» ci ricorda con queste pagine Gerry Scotti, uno dei protagonisti più amati della tivù, che ci accompagna in un viaggio affascinante ed emozionante sul filo della memoria, alla ricerca di emozioni che appartengono a tutti noi e che sono ancora presenti, non solo nei nostri ricordi. Oggi la società moderna è sempre più frenetica e tecnologica. Gli oggetti che ci circondano sono sempre più sofisticati, ma spesso sono anche più impersonali. Gli oggetti del passato, invece, hanno un sapore di autenticità, sono legati a storie e ricordi che ci appartengono. Quando guardiamo un vecchio giocattolo, un vestito o un libro, non vediamo solo un oggetto, ma anche un pezzo della nostra vita. I ricordi sono potenti e possono evocare emozioni forti, possono farci sorridere, farci piangere, farci sentire felici o tristi. E gli oggetti del nostro passato sono come custodi della nostra memoria: ci aiutano a mantenere viva la nostra storia, a non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Questo libro è un viaggio nei momenti che hanno segnato il nostro passato recente: oggetti, canzoni, luoghi, eventi, aneddoti... ci racconta un mondo in cui per telefonare si doveva cercare una cabina telefonica (e recuperare i gettoni necessari per fare la chiamata), quando si poteva andare in auto senza cinture di sicurezza (e non esistevano i «punti» della patente, i limiti di velocità in autostrada, le zone a traffico limitato con telecamere, e il casco obbligatorio per i motocicli), quando si faceva la spesa nella bottega sotto casa e a scuola si andava con la cartella. Con il garbo e l'ironia che lo contraddistinguono, il crononauta sentimentale Gerry Scotti ci fa salire sulla sua macchina del tempo e riporta alla luce oggetti e ricordi che fanno parte della vita di tutti noi e che, ancora oggi, sono in grado di regalarci un sorriso.