La "Storia" di Eliseo è un'opera poliedrica in cui convivono molteplici generi letterari. È la principale fonte storica per ricostruire gli eventi bellici del 451, che videro gli Armeni scendere in campo contro i Persiani per difendere la propria fede cristiana dalle imposizioni zoroastriane. È anche opera agiografica, che immortala il martirio di san Vardan e dei suoi compagni. È opera teologica, ricca di professioni di fede e formule cristologiche. È opera apologetica, che ci restituisce stralci delle controversie cristiane contro i zoroastriani. Ed è anche un'opera segnata da passaggi di intenso afflato lirico. Il volume fa parte dell'"Opera Omnia" di Eliseo. Accanto al capolavoro principale il volume contiene scritti minori, alcuni dei quali tradotti per la prima volta in una lingua occidentale, che appartengono all'esperienza monastica dell'autore, che rivestono un interesse notevole non solo per la disciplina canonica e la storia del monachesimo, ma anche per alcuni importanti passaggi teologici. Per la prima volta al mondo "La Storia di Vardan" e le altre opere di Eliseo sono riprodotte nel testo critico armeno con traduzione in una lingua moderna (nel nostro caso l'italiano) a fronte.
Il Cristo risuona in tutte le catechesi, che propongono una sintesi della dottrina cristiana come primo nutrimento dei fedeli.
In una caverna presso Melicuccà di Seminara (RC) gocciola dal soffitto un'acqua ritenuta miracolosa. La grotta fu nel Medioevo sede di un monastero rupestre fondato da sant'Elia lo Speleota. Questo monaco, anzi padre di monaci e taumaturgo (T ca. 960) appartenne alla grecità calabrese, fiorente quando quella regione era parte integrante dell'Impero Romano d'Oriente ed era stata linguisticamente, culturalmente e religiosamente ellenizzata. In quel periodo fu anche sede di un monachesimo pienamente inserito per spiritualità, liturgia e organizzazione nell'ecumene "bizantina". Di questo monachesimo italo-greco restano oggi a malapena dei ruderi, ma in compenso molte sono le testimonianze agiografiche, in notevole parte raccolte nell'archimandritato del Salvatore, fondato in età normanna sulla penisola del faro (in glossa phari) del porto di Messina. Un codice qui scritto nel 1308 è l'unico a riportarci la Vita dello Speleota e una raccolta dei miracoli avvenuti alla sua tomba, scritte in greco prima della fine del X secolo da un monaco del suo monastero. Tale testo viene qui pubblicato in edizione critica con traduzione italiana e un commento storico.
Si tratta dell'edizione scolastica universitaria della "Storia della letteratura cristiana greca e latina". Ma è anche un testo destinato al lettore comune. Moreschini è ordinario di Letteratura Latina nell'Università di Pisa e Enrico Norelli è professore di Letteratura Cristiana Apocrifa nella facoltà di teologia dell'Università di Ginevra.
Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,1). Cammino di perfezione è un grande insegnamento sulla preghiera. Non un manuale, ma un insegnamento che parte dall'esperienza stessa di Teresa consegnata alle sue sorelle e a chiunque voglia imparare a dare del tu a Dio per davvero. Entrare in relazione, infatti, non è scontato. Amare Dio e amare il prossimo sono i due comandamenti che si compenetrano. Per questo il fil rouge che attraversa tutto il libro è duplice: l'amicizia con Dio e l'amicizia fra di noi o crescono insieme oppure non sono.
Per la prima volta tradotti in italiano tutti gli scritti del grande vescovo di Ippona: un grande avvenimento culturale, se si pensa che finora i testi latini di Agostino erano reperibili solo nei grossi volumi dell'edizione maurina riprodotta nella patrologia del Migne e che la traduzione di molte opere nemmeno esisteva. Il testo latino è accuratamente rivisto sulla base dell'edizione critica migliore, della quale porta in margine l'indicazione, insieme a quella del volume e della pagina della Patrologia Latina. La traduzione italiana è fedele ed elegante, per permettere una facile lettura a quanti non possono attardarsi sull'originale. I testi sono impreziositi da quadricomie che riproducono il meglio dell'iconografia agostiniana.
A completamento dell'Opera di Agostino su S. Giovanni il testo riporta le omelie sul Vangelo dalla 51 alla 124 e i commenti alla Prima Lettera.
"La vita di Mosè di Gregorio di Nissa, primo di una serie di testi teologici che la Fondazione Lorenzo Valla intende presentare al pubblico italiano, è uno dei massimi libri mistici d'ogni epoca e paese: il lettore d'oggi potrà disporlo nella sua biblioteca accanto a Rûmî o a san Giovanni della Croce. È stato scritto verso la fine del quarto secolo, in quel periodo straordinario in cui le nude verità dell'Antico e del Nuovo Testamento si avvolgevano negli splendidi colori, già lambiti da un'aura di tramonto, della fiorita retorica classica. La prima parte è un racconto, come desidererebbe averlo composto qualsiasi grande artista: la storia dell'Esodo viene trascritta con le immagini di Platone; Mosè diventa un visionario, accecato dalla Luce; i fenomeni naturali assumono un meraviglioso risalto, sconosciuto alle pagine della Bibbia. La seconda parte è un'interpretazione simbolica della vita di Mosè: dove l'eredità di Filone e di Origene rivive in una mente profonda e sottilissima, capace di tutti i raffronti, dotata di un potere analogico che non finisce mai di stupirci. Da questo testo discenderanno tutti i mistici cristiani: Dio come tenebra. Dio come inconoscibile, Dio come illimitato e infinito; e se Dio è infinito e illimitato, ugualmente infinito e illimitato è il nostro desiderio di Lui, che non può appagarsi di nessuna meta, giacché vogliamo conoscere Dio non attraverso specchi e riflessi ma faccia a faccia - e questo volto, luminoso e oscuro, ci è celato. Musil non lesse mai Gregorio di Nissa; ma avrebbe ammirato in lui quello che sognava, e non fu in grado, di fondare: non una mistica della stasi, ma una mistica dell'ininterrotto movimento.
Indice - Sommario
Introduzione
TESTO E TRADUZIONE
Conspectus siglomm
Libro primo
Libro secondo
COMMENTO
Elenco delle abbreviazioni
Libro primo
Libri secondo
Indice dei passi della Sacra Scrittura
Indice dei nomi e dei termini tecnici
Indice delle cose notevoli
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
I. L'autore e il suo ambiente. La Cappadocia, regione interna della penisola anatolica, sebbene percorsa per tempo dai missionari cristiani e aperta largamente all'evangelizzazione, fu sempre nell'antichità cristiana, come del resto anche classica, un ambiente marginale rispetto ai centri culturalmente più vivi, quali Alessandria, Antiochia, la provincia d'Asia. Ma nel quarto secolo, dopo essersi illustrata come luogo d'origine di vari capiparte ariani, da Gregorio il Cappadoce ad Eunomio, ebbe negli ultimi decenni il suo grande momento di splendore grazie a Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, che per l'appunto vengono usualmente denominati come i Cappadoci. Legati l'uno all'altro da vincoli di parentela e di amicizia - Gregorio di Nissa fu fratello di Basilio, Gregorio di Nazianzo amico di entrambi -, dotati di personalità molto diverse fra loro, costituirono tutti insieme un possente blocco di energie e capacità che in ambito sia politico sia soprattutto culturale esercitò profonda influenza nelle tormentate vicende della vita cristiana del tempo, molto al di là del ristretto limite della loro regione natia, sia nel contrastare l'arianesimo e altre sette eretiche, sia nel propagandare e promuovere la diffusione del monachesimo, sia nell'elevare tono e spessore della cultura cristiana a livelli mai raggiunti prima d'allora e subito assurti a valore paradigmatico per i secoli a venire in tutta la cristianità orientale.
Basilio fu di questo trio il leader indiscusso. Unico fra i tre ad essere dotato anche di attitudini politiche, geniale nella riflessione teologica e ricco di doti di autentico scrittore, capeggiò in Oriente la lotta contro l'arianesimo e movimenti affini negli anni cruciali 370-8, imponendo in ambito sia politico sia teologico le soluzioni che, due anni dopo la sua morte prematura, avrebbero trionfato nel concilio di Costantinopoli del 381. Gregorio di Nazianzo, inabile luogotenente di Basilio nella lotta politica, eccelse per gli splendori della sua asiana eloquenza facendo assurgere la controversia teologica ai massimi livelli letterari. Inabile come il Nazianzeno in campo politico, meno geniale del fratello, meno dotato sia dell'uno sia dell'altro quanto a capacità di oratore e scrittore, Gregorio di Nissa trovò la sua specifica collocazione nella ricerca teologica, nella interpretazione delle Scritture, nella riflessione d'argomento ascetico e mistico.
Tutti e tre insieme, grazie all'omogeneità di una formazione culturale particolarmente approfondita anche in campo classico, rappresentarono nel variegato panorama culturale della cristianità orientale del loro tempo l'ala più aperta all'influsso delle lettere profane, ch'essi ritennero indispensabili per un efficace avviamento propedeutico all'istruzione specificamente cristiana, fondata sullo studio della sacra Scrittura. Tale ideale, che incontrava ostilità da più parti ad opera di chi era abituato a considerare incompatibile la presenza di una componente profana nella formazione cristiana, essi propugnarono sul piano teorico e realizzarono anche praticamente con la loro opera letteraria. Questa loro iniziativa assunse speciale rilievo in quanto tutti e tre i nostri personaggi ebbero tortissimo interesse per la vita monastica, che tutti e tre praticarono per vario tempo e il cui ideale rimase in loro vivissimo anche quando diverse esigenze li costrinsero ad assumere altri uffici. Usualmente, infatti, l'ideale della vita monastica veniva sentito come incompatibile con gl'ideali della cultura classica, e di fatto la grande maggioranza dei monaci del tempo era quasi del tutto illetterata e programmaticamente ostile ad ogni apertura alla paideia greca. Di contro, i Cappadoci avvertirono la possibilità di conciliare le contrastanti esigenze, e pur in una scalarità di valori che ovviamente privilegiava lo studio della sacra Scrittura rispetto a quello di Omero e Platone, riuscirono a dimostrare in teoria e in pratica che essere monaco non significava necessariamente essere rozzo e ignorante. Questa loro convinzione fu conquista perenne della cristianità orientale.
Gregorio di Nissa nacque in Cappadocia in data incerta che si colloca intorno al 355, da famiglia di condizione molto elevata la cui origine cristiana si faceva risalire all'azione missionaria di Gregorio Taumaturgo, l'evangelizzatore del Ponto allievo di Origene. Tra parecchi fratelli e sorelle, Gregorio fu legato soprattutto a Macrina e a Basilio, maggiore di lui di circa cinque anni e cui fu sempre devotissimo. Ricevuta accurata istruzione, come si conveniva a persona del suo rango, anche se non consta che abbia perfezionato la sua istruzione ad Atene, come aveva fatto Basilio, in un primo tempo si dedicò alla vita civile in qualità di maestro di retorica e si sposò. Ma successivamente, per influsso del fratello, abbandonò il mondo e si ritirò nel monastero che Basilio aveva fondato in un'amena località presso il fiume Iris.
Ma Gregorio non potè godere a lungo dei suoi ozi contemplativi, perché le esigenze della lotta contro gli ariani spinsero Basilio a richiedere l'impegno attivo anche di lui, sebbene avesse già avuto occasione di lamentarsi della sua imperizia nella vita pratica. Infatti, diventato vescovo di Cesarea di Cappadocia e metropolitano della Cappadocia, Basilio ritenne opportuno far occupare alcune sedi episcopali vacanti da persone di sua assoluta fiducia, per impedire manovre a suo danno da parte degli avversari. Nel contesto di tale politica, nell'autunno del 371 Gregorio fu consacrato vescovo di Nissa; ma l'importante ufficio portò in piena luce la sua inettitudine pratica, che il fratello ebbe occasione di rimproverargli più volte. Senza gran successo, dobbiamo pensare, se nel 576 un concilio di vescovi filoariani, riunito proprio a Nissa, lo mise sotto accusa a causa di irregolarità amministrative e lo depose. Gregorio fu perfino arrestato, ma il fratello provvide a farlo fuggire e a nasconderlo in un luogo sicuro.
Insieme agli Inni Pasquali, gli Inni sulla Natività e sull'Epifania, di Efrem il Siro sono da annoverarsi tra i massimi capolavori della letteratura innografica cristiana. Il grande poeta e teologo, vissuto nel terzo secolo dell'era cristiana, canta il mistero natalizio con immagini intense e suggestive che prende a prestito dal testo biblico e dalla natura. Le due collezioni complete, curate da I. De Francesco e tradotte ora per la prima volta in italiano dai testi originali, comprendono i 28 inni sulla Natività, di cui 16 di sicura autenticità, e i 13 inni sull'Epifania. L'opera è un contributo importante alla riscoperta di uno dei massimi poeti della prima cristianità.
Dal IV secolo fino a tempi a noi vicini, uomini e donne cristiani tanto in oriente quanto in occidente si sono sentiti chiamati ad abbracciare la follia per Cristo, vocazione singolare, eccezionale. Numerosi racconti ci narrano le bizzarrie e le stranezze di questi cristiani che nascondevano, dietro la simulazione della follia, la loro santità. I folli per Cristo saranno sempre amati dal popolo, dalla gente semplice che percepiva in queste strane figure una sapienza ben più profonda di quella dei saggi del mondo, una fede semplice ma solida che, sotto la maschera della finzione, denunciava un'altra maschera, quella dell'ipocrisia, del perbenismo, del fariseismo.
La prima traduzione italiana di un'opera esegetica fondamentale, soprattutto per il commento dell'inno cristologico. Giovanni Crisostomo è tra i pochi autori d'età patristica ad averci lasciato un corpus omiletico completo di commento a tutte le lettere paoline. All'interno di questo corpus spiccano le sedici omelie che contengono l'esegesi dell'intero testo della lettera ai Filippesi e di cui viene data qui la prima traduzione italiana. Attraverso la consueta raffinatezza stilistica e la grande sensibilità che gli è propria, l'omileta interpreta il testo paolino cogliendone tutti gli spunti utili all'edificazione morale e spirituale della sua comunità, con frequenti e concreti riferimenti alle pratiche, agli usi e costumi dell'epoca.
I cinque capitoli del libro, dedicati ai cinque sensi, sono caratterizzati dal termine porta: gli occhi sono la porta della luce, gli orecchi la porta della voce, l’olfatto dell’odore, il gusto del sapore e, infine, il tatto la porta del contatto. L’immagine della porta, ripresa dall’Itinerario della mente in Dio, mostra con efficacia la funzione principale dei sensi: importare ciò che sta fuori, ed esportare ciò che vive dentro. Così la creatura umana si rivela come capace di un dialogo permanente svolto attraverso le cinque lingue parlate dai cinque sensi.
Poliglotta fin dalla nascita, la persona parla la lingua dei colori, dei suoni, degli odori, dei gusti, dei contatti e ogni linguaggio costituisce una vera e propria scienza.
A partire dall’esplorazione del senso fisico, ogni capitolo prosegue evidenziando i legami delle cinque porte con la psiche, le emozioni, i sentimenti dell’essere umano, fino a delineare l’esperienza spirituale che ciascun senso ricava dal contatto con Dio.