“Non c’è da meravigliarsi che, uscendo dal teatro, la gente si chieda cosa diavolo ha visto. In casi come questo si finisce sempre per attribuire all’autore un preciso disegno simbolico, e si rigira il testo pezzo per pezzo, battuta per battuta, cercando di ricostruire il puzzle. Si ha l’impressione che Beckett, a casa sua, stia ridendo malignamente alle nostre spalle, mentre con una semplice intervista alla televisione potrebbe chiarire ogni cosa. Diremmo subito che, a nostro parere, pretendere a tutti i costi questo “sesamo apriti” non ha senso. Stabilire se Godot è Dio, la Felicità, o altro, ha poca importanza; vedere se in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente Lucky, il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la “chiave” cristiana, per cui tutto, dall’albero che si trova sulla scena, e che dovrebbe rappresentare la Croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano”. (Carlo Fruttero)
Commedia in cinque atti scritta probabilmente a Parigi nel 1582. La commedia, nella sua storia iniziale e nell'apparato di cui si circonda, pare un episodio della guerra condotta dal Bruno contro l'accademismo, il conformismo e la pedanteria. La trama si annoda su tre motivi: "sono tre materie principali, spiega l'autore, intessute insieme... l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo et la pedanteria di Manfurio; però per la cognizion distinta de' soggetti, ragion dell'ordine et evidenza dell'artificiosa stesura, rapportiamo prima da per lui l'insipido amante, secondo il sordido avaro, terzo il goffo pedante".