Ezra Pound (Hailey, Idaho 1885 - Venezia 1972), riconosciuto fra i più grandi poeti del ventesimo secolo, è anche autore di originali saggi storici, economici e politici. L’Autore dei Cantos ha sempre sottolineato con fervore la necessità di studiare la storia e l’economia per poter apprezzare la bellezza e difendere la giustizia, che sono in fondo l’unica, vera missione di un poeta.
Anche se ha vissuto per decenni in Europa, Pound si è sempre considerato un autentico patriota americano, come dimostra il saggio, qui tradotto per la prima volta in italiano da Andrea Colombo, che esprime tutta la sua ammirazione per i primi Presidenti degli Stati Uniti d’America e in particolare per Thomas Jefferson e John Adams, uomini retti e colti, che si diedero alla politica nell’esclusivo interesse del loro popolo.
Il testo è preceduto da un importante saggio di Luca Gallesi, che ricostruisce motivi e contenuti della smisurata ammirazione di Pound per il Presidente Jefferson.
In "Astrologia per intellettuali" Marco Pesatori lascia la parola ai poeti, ai filosofi, ai grandi scrittori: sono direttamente loro a farci conoscere lo stile, il modo d'essere, il pensiero e il desiderio dei dodici segni dello Zodiaco. Dalla passione bollente e travolgente dell'Ariete, espressa da Baudelaire e Verlaine, da Corso e Ferlinghetti, alla lenta e rigorosa analisi taurina, tra Kant, Marx e Freud. L'essere "nel mondo" dei Gemelli, spiegato da Sartre, e le visioni interiori e intime del Cancro, raccontate da Kafka, Proust e Giacomo Leopardi. La regalità alchemica del Leone, tra Marcel Duchamp e Mick Jagger, e lo sguardo preciso della disincantata Vergine, rappresentata da Hegel e Adorno. La forma perfetta della Bilancia di Nietzsche e Montale e l'azzardo fatale dello Scorpione, con Dostoevskij e Camus. L'avventura della sperimentazione del Sagittario, tra Flaubert e Frank Zappa, il fascino e il pragmatismo del Capricorno, da Moliére a David Bowie, il genio e la libertà dell'Aquario, tra Mozart e James Joyce, fino all'emozione e al sacrificio dei Pesci, con Kerouac e Pasolini.
Fra le tante opere dedicate alla Shoah, questa ha l'ambizione di raccontarla in poche pagine ma con completezza, senza pudori e senza sconti per nessuno, fra il dolore delle vittime e la consapevolezza, se non la vergogna, degli altri. Un racconto emotivo che in cento tappe descrive il lungo viaggio ad Auschwitz - dall'antisemitismo alle modalità della macchina dello sterminio, dalle verità ufficiali troppo comode alle ceneri del dopoguerra che conducono fino al Ruanda. Questa "Piccola anatomia di un genocidio" è un atto di pietas collettiva e di allarme, perché "siamo tutti figli della Shoah, l'Europa l'ha provocata e l'Europa su quelle ceneri si è ritrovata".
Siamo passati dal nazionalpopolare irrisolto all'irrazionalpopolare attraverso una società dello spettacolo sempre più integrale, liberamente totalitaria, attivamente demagogica. L'avanguardia ha fatto scuola, la cattiva maestra e le sue assistenti sono le nuove muse. C'è informazione più che formazione, situazione e non circostanza, divertimento più che intendimento, de-costruzione e non invenzione. Di un cretino patentato con due apparizioni tv si dice "Guarda che non è uno stupido". Se diventa ospite fisso si dice "Bisogna dire che è bravo". Nell'irrazionalpopolare è bello ciò che piace senza un motivo. Anzi, è proprio la mancanza apparente di un motivo a rendere qualcosa incredibilmente più bella. E bello ciò che piace "agli altri come me" e senza un motivo apparente si prova a capire perché. Contribuendo alla crescita del suo successo. Per capire lo si penetra e se ne viene penetrati. Contagiati. Il bello, come il segnale della telefonia mobile, è tutto intorno a noi. Ed è anche dentro di noi, anche se non è nostro. La gara è con il tempo, a vivere ciò che crediamo bello, a fissarlo su un supporto tecnologico: attimo fermati perché voglio capire se sei bello. Novelli Faust incerti ma risoluti, ci basta una macchina fotografica digitale per catturare e riprodurre all'infinito quello che ci piace. Perché viviamo in una società dove regna un imperativo categorico di natura estetica: compiacersi.
"Poiché indulgo nell'uso di frasi scherzose e sono allergico a ogni genere di discorsi e concetti complicati, c'è chi mi guarda con sufficienza, quasi scandalizzandosi intellettualmente a causa di un mio presunto gusto per le battute. Ma noto solo sommessamente che sfuggire per sé e per gli altri alla noia, alla prolissità, alla pedanteria è, a mio giudizio, meritorio." È con questa arguta e graffiante intelligenza che Giulio Andreotti ha attraversato settant'anni della storia d'Italia sempre ai posti di comando. In queste pagine, traccia una sorta di ironica autobiografia in pillole, raccogliendo "frammenti di osservazioni, rilievi, indirizzi che hanno via via costituito la mia risposta o la mia reazione dinanzi a fatti, indirizzi, persone con cui mi trovavo a confrontarmi nei vari mestieri nei quali, da studente in poi, mi son trovato a operare".
Il 22 luglio 2001, a Milano, moriva Indro Montanelli e il giornalismo italiano perdeva non solo una delle sue firme più acuminate, ma soprattutto una delle intelligenze più lucide, intense e naturalmente eretiche che abbiano accompagnato il percorso sociale e culturale del Paese durante tutto il Novecento. Perché per Indro Montanelli l'attività giornalistica è stata sempre esercizio di osservazione e di analisi dei fatti, e poi di interpretazione spiazzante e dissacrante. In un contesto giornalistico spesso paragonabile a una giungla, la sua voce è stata sempre netta e inconfondibile, al punto che a sette anni dalla sua scomparsa, mancano le sue prospettive e le sue tirate d'orecchie ai potenti di turno. In questa antologia di testi montanelliani emerge il ritratto di un grande intellettuale, ma anche di un uomo colto nei suoi momenti più privati e nei suoi affetti più cari.
Cosa accade quando la cultura incontra una struttura politica, amministrativa, una macchina organizzata? Accade che o la "macchina" decide di rischiare e quindi di lasciare libera la cultura di manifestarsi; oppure succede che la "macchina" otturi i pori più pericolosi della cultura e, alla fine, la lasci agonizzare. Il duello che racconta Vittorio Sgarbi in "Clausura" è proprio questo: libertà della cultura o clausura. Non c'è margine di trattativa. O l'una o l'altra. Due anni alla guida dell'Assessorato alla cultura di Milano. Due anni di idee, battaglie per difendere valori assoluti e non negoziabili, opere che l'ignoranza amministrativa non può consentire di distruggere e che l'indifferenza quotidiana non può far dimenticare. Due anni di polemiche per affermare che il dio denaro, gli automatismi inerti della burocrazia, l'ignavia non devono avere la meglio sulla cultura. E all'appello non mancano niente e nessuno in questo libro: suor Letizia (Moratti), frate Clemente (Mastella), Glisenti, l'Expo, Berlusconi, Veltroni, l'Ara Pacis, le pale eoliche, la valle del Belice e molto altro. Perché la clausura di Milano si diffonde per tutto l'arco della penisola e ha due sinonimi: interessi e ignoranza. Ma ripartire si può. Da Salemi.
Ogni estate migliala di stranieri, provenienti dall'Africa e dall'Europa dell'Est, si riversano nel Tavoliere delle Puglie per impegnarsi nella raccolta dei pomodori e di altri frutti della terra. Sono i nuovi braccianti: vivono in casolari diroccati o in baraccopoli, in condizioni igieniche, lavorative e salariali atroci, che sembravano scomparse. La loro esistenza viene afferrata e stritolata da un sistema agricolo arcaico e disumano. Diventano vittime dei caporali i quali, d'accordo dei proprietari terrieri della zona, li smistano in tutta la regione. Tra i "nuovi schiavi" che hanno provato a ribellarsi, molti sono scomparsi nel nulla. Altri sono morti in circostanze misteriose. Ma nell'estate del 2005 tre ragazzi polacchi sono riusciti a scappare dai loro aguzzini e a raggiungere il consolato di Bari. Grazie alla loro denuncia, è stato possibile un blitz dei carabinieri e un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia che ha portato all'arresto di decine di caporali. L'autore ha incontrato le vittime, ha studiato le tecniche e le "biografie" dei nuovi kapò, ha interrogato magistrati, avvocati, medici, sindacalisti che hanno provato a opporsi allo sfruttamento. Racconta un Sud in bilico tra arretratezza e modernità, all'avanguardia nella gestione del nuovo mercato delle braccia. Un Sud dinamico e al contempo immutabile, in cui la terra si lavora come cento anni fa quando a essere sterminati nelle campagne erano i braccianti pugliesi.
Dopo "Ricette del cuore", il secondo volume con nuovi grandi personaggi che raccontano la loro ricetta della memoria e devolvono i diritti d'autore al Banco Alimentare. Andrea Camilleri, Giorgio Faletti, Folco Quilici, Margherita Oggero, Paolo Giordano, Lidia Ravera, Cristina Comencini e moltri altri scrittori, giornalisti e artisti conosciuti e amati dal grande pubblico partecipano con un racconto inedito a questa antologia. La cucina come educazione sentimentale, come custode degli affetti e dei ricordi più piacevoli.
Una raccolta delle lettere con cui Vittorino Andreoli si rivolge ai ragazzi, ai loro genitori, ai loro educatori per ascoltarli, per guidarli, per imparare a crescere insieme.
Se c'è un luogo dove la speranza è giovane, questo è l'India. Una nazione a cui oggi l'Occidente guarda con stupore, incredulità, ammirazione. In India sta nascendo una nuova idea della modernità. Nell'ultimo quarto di secolo, infatti, con regolarità, questo impressionante paese è riuscito a sollevare dalla miseria ogni anno l'1% in più della sua popolazione: col risultato che già 200 milioni di indiani, dal 1980 a oggi, hanno sconfitto per sempre la fame e il bisogno. Entro 20 anni il Pil indiano avrà superato quello di tutta Europa e fra meno di 30 anni l'India si sarà piazzata nel ristretto vertice dell'economia mondiale, il club delle tre superpotenze globali, in compagnia di Cina e Stati Uniti. Entro qualche decennio diventerà l'unica superpotenza popolata soprattutto di giovani e giovanissimi, una differenza che le garantisce una marcia in più nel suo dinamismo. Federico Rampini attraversa questo paese e mostra come il futuro dell'umanità si giochi in buona parte proprio qui, perché la maggioranza dei giovani che erediteranno questo pianeta stanno nascendo da mamme indiane.
Le piazze italiane sono vuote. Vuoti i cinema, le chiese, gli stadi. Sono andati tutti all'outlet: una parola magica sulle insegne delle città, il luogo dove oggi ferve la vita sociale. Il nuovo libro di Aldo Cazzullo, inviato di punta del "Corriere della Sera", si apre con il racconto dell'outlet di Serravalle Scrivia, il più grande d'Italia, e prosegue descrivendo i posti degli incontri e del divertimento di massa, quelli classici e quelli più recenti, dalla mostra del fumetto di Lucca alla Riviera romagnola, dal carnevale di Viareggio al turismo enogastronomico di Alba. E conduce il lettore in un viaggio nelle metropoli e nella provincia italiane, da "quel ramo del lago di Clooney" al nuovo Sud, mostrando, tramite storie poco conosciute (i pozzi di petrolio della Lucania, gli scandali di Parma, i pellegrini di Assisi e di padre Pio) e sorprendenti ritratti di personaggi noti, i punti di forza e di crisi di un paese che cambia.