Musica e spiritualità sono sorelle e spesso si sono abbracciate ed è per certi versi ciò che propone anche Chiara Bertoglio nel suo saggio, così raffinato eppure così trasparente, dedicato a due suoi amori musicali, Schubert e Schumann. Certo, il primo intreccio da lei evocato è quello tra musica e filosofia, anche perché non vi fu pensatore o scrittore dell’Ottocento romantico che non si sia confrontato coi percorsi musicali e, d’altra parte, Schubert e Schumann tracciano nelle loro composizioni un reticolo fitto e mobile di itinerari simili a ragionamenti e a riflessioni «sonore». Ma l’autrice di queste pagine ribadisce anche l’altro incrocio, quello tra fede e musica, non solo per testimonianza personale ma soprattutto per intrinseca appartenenza: la musica, certo, può affacciarti sull’abisso della disperazione ma può anche farsi tramite di redenzione e di risurrezione dalle ceneri del male (dalla Prefazione di Gianfranco Ravasi).
Al volume è allegato un CD contenente musiche di Schubert e Schumann.
Chiara Bertoglio (Torino, 1983) concertista di pianoforte e musicologa. Formatasi con docenti quali Paul Badura Skoda e Konstantin Bogino, si diploma sedicenne con menzione d’onore e si perfeziona in Svizzera e presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. È regolarmente invitata come solista nelle sale più prestigiose, fra cui la Carnegie Hall di New York ed il Concertgebouw di Amsterdam.Ottiene la laurea specialistica in Musicologia presso l’Università di Venezia summa cum laude, ed un master all’Università di Roma; è dottoranda (PhD) in Music Performance Practice presso l’Università di Birmingham. Ha pubblicato il libro Voi suonate, amici cari (Ed. Marco Valerio) sui rapporti fra la musica operistica e quella pianistica di Mozart, con prefazione di Paul Bakura Skoda. Numerosi suoi articoli sono apparsi su riviste specialistiche come «AAA-TAC», gli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, «Lettere ed Arti», «British Postgraduate Musicology» e molte altre. Fondatrice del gruppo di volontariato «Portare la Musica», è docente ai corsi estivi dello Studio Filosofico Domenicano di Bologna ed in masterclass pianistiche in Slovenia e Italia, e tiene seminari in atenei italiani ed esteri.
Questo volume affronta tutti gli aspetti del mondo della musica, tracciandone i percorsi, dalla conoscenza del linguaggio all'illustrazione storica degli strumenti, dall'esposizione delle forme costitutive all'enunciazione storica della sua evoluzione, fino alla descrizione delle discipline afferenti.
Arabi, turchi, africani, egiziani, cinesi, giapponesi, pagani, barbari, shintoisti, musulmani: sono tante le "realtà" - culturali, geografiche, religiose, antropologiche -, diverse da quella occidentale, che hanno trovato spazio nell'opera lirica. Molte di queste realtà, peraltro, hanno consentito all'Occidente di giungere, progressivamente e in un confronto storico articolato e complesso, alla definizione (ancora mutevole) di se stesso. L'opera lirica, pertanto, oltre che come prodotto artistico, può configurarsi anche come documento, capace di restituirci frammenti dell'immagine che l'Occidente ha "inventato" delle suddette realtà: nel modo in cui le ha rappresentate a teatro; nella voce che ad esse è stata data nel canto dei protagonisti; nel confronto scenico, talvolta ironico e talaltra drammatico, fra la cultura occidentale e l'altro da sé.
Gli atti di un convegno di studi promosso dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario della morte di Giuseppe Giacosa (1906), tenutosi ad Ivrea, presso il Liceo Classico Carlo Botta", l'11 e il 12 maggio 2007. "
Una raccolta di testi per canti e disturne che si tramandano per via orale.
Le canzoni epiche popolari in ottavi in rima su famigerati briganti.
L'autore affronta gli argomenti più diversi, quali l'ambiente, la creatività, la società di consumo, l'idea di stato e di felicità, con uno sguardo lucido, talvolta utopico, ma sempre ottimista. Per l'autore il lavoro e il piacere, l'arte e la vita, lo spirito e il corpo lungi dall'essere in contraddizione, si completano per formare un tutto, così la conoscenza dell'arte diviene conoscenza della vita di tutti i giorni e l'atto stesso di vivere una ricerca artistica.
Il trattato di armonia di Diether de la Motte ha una caratteristica che lo distingue fortemente dalla maggioranza dei comuni testi di studio creati a questo scopo: la concezione dell'armonia su cui si basa è radicalmente storico-antropologica. Ne consegue che l'armonia non ha più nulla a che fare con una disciplina normativa astratta, basata su una presunta 'natura' dei rapporti tra suoni, ma è vista e studiata come una prassi umana; non è proposta come una scienza, ma è riassorbita in una dimensione stilistico-estetica. Coerentemente con questa concezione, a partire dagli albori della musica colta occidentale, da Ockegem al '500 inoltrato, passando per il periodo barocco, il classicismo viennese, il romanticismo, e via via fino ad arrivare alla musica seriale, ogni capitolo di questo libro sviluppa un'indagine sul linguaggio armonico quale lo si può dedurre partendo direttamente dall'opera concreta dei grandi musicisti del periodo, e corredandola con una doviziosa rassegna di esempi. Ogni trasformazione, ogni evoluzione del linguaggio armonico introdotta nella prassi musicale viene osservata e illustrata in dettaglio, e gli esercizi di cui il libro è disseminato diventano proposte per provarsi a comporre come si faceva in un'epoca determinata e all'interno di quel determinato quadro stilistico.