È possibile agire in maniera etica, vivere e lavorare in maniera cristiana, operando nel mondo degli affari, addirittura svolgendo un ruolo di manager in un'azienda? È la domanda cui prova a rispondere Etienne Perrot, che attinge a fondo dalla spiritualità di Sant'Ignazio di Loyola, proponendo un cammino quotidiano di discernimento interiore e di crescita spirituale, spiegato da Perrot con scrittura brillante e densità di esempi concreti, tratti sia dal Vangelo che dalla vita e dai problemi di oggi.
È proprio vero che il pareggio del bilancio incide sul tasso della nostra felicità? E che dal PIL dipende la speranza stessa del nostro futuro? Queste sono solo alcune delle provocazioni proposte dalle acute riflessioni dell'autore che analizza il futuro dell'economia nel tempo della crisi. Proprio la crisi ci pone innanzi, e prepotentemente, le magnifiche e progressive sorti cui andremo incontro se non ci sarà una svolta sostenibile ed equosolidale nell'economia. Una sterzata che è anche un'occasione di rilancio morale, in cui i paesi emergenti non sono più rivali di manodopera a basso costo, ma terreno fertile per nuovi investimenti in quel capitale sociale che è la ricchezza più grande della nostra società. Perché, in fondo, non viviamo di solo PIL.
Raccogliendo l'appello lanciato da Papa Francesco con l'enciclica Laudato Si', Leonardo Becchetti riconsidera i fondamenti dell'attuale modello di sviluppo economico. Secondo l'autore, il punto di svolta che può determinare l'inversione di rotta e la salvezza dalla minaccia ambientale che incombe, passa attraverso la combinazione sinergica di tre elementi fondamentali: le decisioni politiche delle istituzioni locali e nazionali; l'azione dal basso dei cittadini che, attraverso le loro scelte di consumo e risparmio, devono premiare - mediante il cosidetto "voto col portafoglio" - quelle aziende all'avanguardia nella creazione di valore economico ambientalmente sostenibile; gli stili di vita dei cittadini che, anche fuori dal mercato, devono orientarsi ad una maggiore sobrietà.
Storicamente, il capitalismo è stato oggetto di una diffusa e radicata ostilità. Eppure, nel corso della sua ormai lunga storia, ha indubbiamente sollevato dalla miseria molti milioni di persone: in Occidente, grazie alla deprecata economia di mercato, il benessere è costantemente cresciuto e, in Oriente, i paesi emergenti hanno conosciuto negli ultimi decenni uno straordinario sviluppo economico che ha finito per trascinare il mondo intero verso una sempre maggiore prosperità. Eppure, nononostante tutto, il capitalismo continua a essere messo in discussione. Ci sono gli insoddisfatti, gli oppositori moderati, i critici radicali e i nemici giurati, in tutte le molteplici declinazioni, ma in genere quando si pensa al capitalismo non si pensa certo a qualcosa di buono. Denaro e morale difficilmente vanno a braccetto nell'immaginario collettivo. John Plender esplora i paradossi e le insidie di questo sistema economico straordinariamente dinamico, e lo fa partendo da lontano, dalle sue origini nella Venezia mercantile medievale, fino alle bolle speculative del XXI secolo, nelle quali siamo tutt'ora immersi. Lungo il viaggio incontriamo tutti i momenti chiave della storia del capitalismo, come ad esempio la strana vicenda della prima bolla finanziaria della storia - quella dei tulipani nell'Olanda del Seicento - le speculazioni nel mondo dell'arte contemporanea, fino alla recentissima crisi dei mutui subprime di cui ancora oggi i mercati mondiali pagano le conseguenze.
La corruzione è endemica e universale, funzionale al mantenimento del sistema e, proprio per questo, ineliminabile, inestirpabile. Semplicemente, quando da fisiologica si tramuta in patologica, scoppiano gli scandali, fa notizia. Questa la tesi di fondo del libro, ampiamente e rigorosamente argomentata. La ripubblicazione di un testo come "Cleptocrazia", uscito per la prima volta nel 1994, rappresenta uno stimolante spunto di riflessione, incredibilmente attuale, sul tema. Certo, oggi la corruzione ha cambiato volto nel confuso scenario politico che abbiamo di fronte. Si sono disgregati i partiti, le grandi imprese non ci sono più, cambiano i rapporti di forza, si inverte la dinamica tra concussi e concussori. Tuttavia, vent'anni dopo Tangentopoli, i media continuano a essere sommersi dalle notizie di scandali finanziari, economici, politici, che sfociano persino in rivelazioni sulla collusione dei dirigenti pubblici con la criminalità organizzata. È davvero tramontata un'epoca?
E se un giorno chi detiene le chiavi dell'economia mondiale prendesse le sue decisioni non solo ricercando il profitto, ma lasciandosi guidare da principi morali universali? Forse il benessere sarebbe più diffuso e nei momenti di crisi alla fine si conterebbero meno vittime... Questa prospettiva è decisamente di là da realizzarsi. Ciò non toglie che si possa cominciare a porre le basi ideali per una fondazione morale dell'economia, che abbia al suo centro l'attenzione per l'uomo e - esigenza non più rinviabile - la cura dell'ambiente. In questo libro si apre una riflessione a tutto campo che invita gli attori economici a chiedersi non solo che cosa sia più vantaggioso, ma che cosa sia più giusto fare. Questa domanda fondamentale viene via via declinata in interrogativi più specifici: è vero che tutto può essere comprato e venduto? Bene e utile coincidono? L'interesse di chi bisogna perseguire nella propria iniziativa imprenditoriale? L'avidità è il motore del progresso oppure un vizio? In quale misura sono accettabili le diseguaglianze economico-sociali? Che tipo di uomo vuole essere il businessman? Quale rapporto ha la ricchezza con la felicità? Quali valori sono in gioco nell'attività economica? Che cosa si intende per sviluppo, e lo sviluppo di chi si deve ricercare? Lungo questo percorso, a segnare i punti fermi del ragionamento, si ritrovano alcuni imperativi morali, che intendono offrire un orientamento per capire come rendere eticamente corretto il proprio agire economico. Da questa prospettiva l'etica e l'economia non sono discipline separate o addirittura in competizione tra loro, ma modalità di intervento sulla realtà in dialogo e mutua collaborazione, entrambe dirette verso il «bene», concetto che è tanto più urgente riscoprire quanto più oggi suona fuori moda e privo di significato.
I problemi che stavano all’origine della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008 non sembrano essere stati tutti risolti. Quelli che persistono paiono segnalare una contraddizione più profonda, che ha a che fare con il modello di sviluppo connesso all’ideologia economica neoliberista, i cui principi non sono stati superati. Accumulazione e sviluppo sembrano essere entrati in conflitto aperto. Le possibili vie d’uscita non vengono percorse a causa della radicale ignoranza con cui i poteri pubblici affrontano le questioni economiche, che li rende incapaci di immaginare un nuovo ruolo dello Stato e una politica economica differente. D’altra parte, anche le scorciatoie che conducono a una chiusura mercantilistica sono vicoli ciechi. In mezzo, lo spazio per una scienza economica che non rinuncia a voler cambiare le cose.
Paolo Leon
Professore emerito di Economia Pubblica all’Università di Roma Tre, ha studiato a Roma e a Cambridge, con R.F. Kahn e Federico Caffè, e ha insegnato in numerosi atenei italiani. Ha lavorato come economista all’Eni, con Giorgio Fuà e Giorgio Ruffolo, alla Banca Mondiale e all’Italconsult. È stato vicepresidente dell’Enea e presidente dell’Agenzia per il controllo dei servizi pubblici locali di Roma, consulente dell’Unione Europea, di vari governi nei Paesi in via di sviluppo e, in Italia, dei Ministeri del Bilancio, del Lavoro, dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nonché di molti enti locali. Ha cofondato i centri di ricerca Crel, Arpes e Cles ed è perito dell’Avvocatura dello Stato per la valutazione del danno ambientale. Dirige la rivista «Economia della Cultura» e scrive su riviste e quotidiani. Ha pubblicato con Boringhieri (Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, 1963), Johns Hopkins (Structural Change and Growth in Capitalism, 1967), Marsilio (Sviluppo economico italiano e forza lavoro con M. Marocchi, 1970 e Sviluppo e conflitto tra economie capitalistiche, 1973), Feltrinelli (L’economia della domanda effettiva, 1981), Franco Angeli (La domanda di lavoro e l’occupazione giovanile con G. Vazzoler, 1982) e Giappichelli (Stato, mercato e collettività, 2003, 2007).
Finora siamo stati ridotti a risorse umane. Per il neoliberismo noi siamo risorse per l'economia, non è l'economia a essere risorsa per noi. E non è neppure la cosa peggiore che possa capitarci: quanti non sono risorse diventano esuberi e rischiano di essere ridotti a vite di scarto. Che succede però se le "risorse umane" si ribellano scegliendo la via della nonviolenza e del rilancio della democrazia per riaffermare la loro dignità? Queste pagine sono appunti di viaggio per chi vuole inoltrarsi sulla via della rivolta civile pacifica, riflettendo sui modi per rigenerare economia e politica.
Il presente libro si compone di due parti, frutto delle idee congiunte e convergenti dei due autori nell'ambito di un'impostazione comune ed unitaria. La prima parte, di Francesco Bochicchio, evidenzia la crisi della democrazia e del diritto, anche di natura formale, e così della stessa libertà non solo come libertà positiva. La seconda parte, di Giorgio Galli, si incentra sulla crisi della democrazia rappresentativa, di cui si evidenziano la profondità e la gravità.
La crisi globale da cui stiamo faticosamente uscendo è l'ennesima dimostrazione del fatto che le teorie finanziarie tradizionali sono inadeguate. Esse presuppongono infatti che gli investitori siano perfettamente razionali, dando luogo a mercati efficienti. Non è così. Come messo in luce dalla finanza comportamentale, nel mondo reale la maggioranza delle persone non ha tutte le informazioni e conoscenze necessarie per comportarsi da homo oeconomicus, e decide in base a regole di apparente buon senso. Sono quindi fattori psicologici - se non vere e proprie distorsioni cognitive - a far crescere il contagio delle "bolle" e a creare una immeritata fiducia negli "esperti", dal funzionario che ci fa comprare troppe obbligazioni bancarie (Banca Etruria vi dice qualcosa?) ai vari "Madoff dei Parioli" in circolazione che poi scappano con i soldi. Per fortuna ci sono degli accorgimenti che possono proteggerci da errori gravi o, peggio, dal combinare disastri.
Imprenditrice partenopea giramondo che conobbe per la prima volta l'Asia da giovanissima, Stefania Tucci riavvolge la pellicola di un quarto di secolo di viaggi in alcuni dei luoghi più affascinanti della terra. Il suo taccuino tiene meticolosamente traccia dei profondi cambiamenti che hanno attraversato e continuano tuttora a sollecitare questo continente carico di enigmi, dove milioni di individui si sono riscattati dalla condizione di povertà assoluta inseguendo il mito del benessere dischiuso dal capitalismo occidentale. L'occhio dell'autrice indaga curioso l'umanità varia e assortita che incrocia: dall'imprenditore all'autista, dall'artista al bagnino, fino a espatriati europei in cerca di un nuovo Eldorado, sono tutti fili che si intrecciano nella trama sapiente di questo libro.
Come i manager vengono scelti e hanno successo nel capitalismo familiare è l'oggetto di questo libro, che si pone due obiettivi: il primo, fornire agli imprenditori spunti di riflessione, suggerimenti, strumenti e metodologie per scegliere i manager più adatti; il secondo, aiutare i manager a rimanere a lungo e in armonia nelle aziende familiari.
Quattro manager hanno dato il loro punto di vista in interviste riportate nella parte centrale del libro: Aldo Bisio di Vodafone che ha lavorato con la famiglia Merloni, Gianni Mion di Edizione Holding, che lavora con la famiglia Benetton e ha lavorato con Marzotto, Lorenzo Pellicioli di De Agostini, che lavora con la famiglia Drago-Boroli e ha lavorato con la famiglia Costa e Mondadori, e Paolo Scaroni di Rotschild che, prima di ENI, ENEL e Pilkington, ha lavorato con la famiglia Rocca.
Quattro dei più grandi esperti al mondo sull'argomento hanno contribuito alla parte teorica: John Davis (Harvard Business School e Cambridge Institute for Family Enterprise), Sonny Iqbal (Egon Zehnder), Robert Kaplan (FED, Harvard Business School e Goldman Sachs), Eric Salmon (Eric Salmon & Partners).