Nato a Cividale tra il 720 e il 730, Paolo Diacono ebbe rapporti con la corte dei duchi friulani e poi con quella regia di Pavia. Studiò il greco, insegnò il latino: aveva un'ottima cultura classica, sia letteraria che storiografica. A Pavia si dedicò agli studi sacri, diventò monaco a Montecassino; e infine visse alla corte di Carlo Magno, che consigliò e per il quale scrisse. La sua "Storia dei Longobardi" è uno dei capolavori della storiografia d'ogni tempo. Nelle oscure popolazioni discese dal Nord, alle quali deve la sua origine. Paolo Diacono scorge una forza potenziale, quasi priva di contenuto, che si adatta alla tradizione romana, e la rinnova dall'interno. La sua fedeltà alla propria gente si concilia, in equilibrio perfetto, con l'amore per la storia romana e cristiana, la cultura e la lingua che ha appreso. Pochi altri libri realizzano così meravigliosamente l'ideale di una storiografia totale. La "Storia dei Longobardi" è, in primo luogo, una storia della natura europea: stupendi scorci geografici, paesaggi visti e immaginati, diluvi, incendi, notizie meteorologiche, prodigi. Su questo sfondo, si accampa la storia di un'emigrazione barbarica, un flusso furibondo di genti, episodi di passione e di ferocia, raccontati da uno scrittore posseduto da un forte senso del mito. L'ingenuità di un cronista medievale, l'intuizione acutissima dello storico politico, la fede del cristiano si fondono, nelle sue pagine, con il genio del grande narratore, che racchiude in un episodio minimo il senso della storia universale. La traduzione di Lidia Capo riproduce mirabilmente la mescolanza di cultura e di rozzezza, che è propria dello stile di Paolo Diacono. L'ampio e meticoloso commento lascia affiorare, attorno alla storia tragica dei Longobardi, l'ampio respiro della storia d'Europa e di Bisanzio. Il volume è completato da una suggestiva rassegna di immagini, che rivelano i vertici dell'arte longobarda.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
Nota al testo
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Indice dei nomi di persona e di luogo
Indice delle fonti citate nell'introduzione e nel commento
Prefazione / Introduzione
Nell'Europa rivoluzionata dalle invasioni germaniche, nell'inaudita realtà di regni guidati da popoli "barbari", venuti a rompere e sostituire l'unità e la tradizione dell'impero di Roma, maturò presto il bisogno di integrare il passato e il presente in una prospettiva storica che riuscisse a conciliare vecchio e nuovo e a rendere accettabile culturalmente quello che era inevitabile sul piano politico. Si trattò di un vero e proprio tentativo di interpretazione e di riconversione delle tradizioni storiche germaniche nel linguaggio e negli schemi della storiografia mediterranea: un'opera compiuta ovviamente da Romani, e non da letterati o storici "puri", bensì da personaggi in qualche modo vicini al potere, disposti ad accettare la presenza e il predominio dei Germani. La prima fase della storiografia europea dopo la dissoluzione dell'impero in occidente - quella rappresentata da Cassiodoro, da Gregorio di Tours, da Isidoro di Siviglia - nacque appunto dalla volontà di collaborazione dell'elemento romano con lo strato politico germanico e dal suo conseguente sforzo di romanizzare, cioè rendere comprensibili per il pubblico romano perché omogenee alla sua cultura, le vicende e le tradizioni, in sé molto diverse, dei singoli popoli germanici: un'operazione compiuta partendo dalla storia, perché è la storia che, in un mondo dominato dall'intervento umano e dalla memoria scritta come quello romano, distingue e definisce gli uomini, e soprattutto li redime dalla barbarie. Per questo Gregorio di Tours ha tanto cercato nelle vicende dei Franchi la comparsa dei re - primo embrione di uno stato - ed ha esaltato nell'opera di Clodoveo (quintessenza di grande barbarie) le linee di forza di un futuro civile. E per questo Cassiodoro ha manipolato le tradizioni dei Goti, combinandole con quelle di altri popoli da più tempo noti al mondo classico, compiendo un lavoro di adeguamento ed equiparazione culturale (in realtà trasformazione), che egli stesso ha definito con assoluta precisione e consapevolezza: "Originem Gothicam historiam fecit esse Romanam".
Questa collaborazione dei Romani, che aveva in fondo lo scopo di adattare a sé le novità, mantenendole sotto il proprio controllo, ebbe un successo variabile (solo in Francia poté dare frutti duraturi), ma l'ingresso dei popoli germanici nella "storia romana", come protagonisti, era ormai una conquista definitiva. Nel VII-VIII secolo nell'ambito del regno franco, nella prima metà dell'VIII nell'Inghilterra anglosassone, nel VII e VIII nell'Italia longobarda altri scrittori si posero di fronte allo stesso problema, l'inserimento dei nuovi popoli e regni nella storia "civile". Nonostante il tempo intercorso e nonostante il fatto che fossero, stavolta, Germani (meno, forse, il cosiddetto Fredegario), anche questi scrittori utilizzarono gli schemi della storiografia romano-cristiana. Si trattò dunque di una vittoria della cultura latina: la storia che viene scritta (e ovunque, meno che in Inghilterra, la storia sarà ancora a lungo scritta solo in latino) non è concepibile che attraverso le strutture portanti - tempo, spazio, scansioni di regni e pontificati, forme di organizzazione stabile - datele dalla cultura antica, integrata e riveduta dalla Chiesa.
Ma la vittoria non fu completa, perché dietro queste opere non esisteva più la stessa cultura di prima. Il mondo romano non era più una realtà concreta e la sua capacità di unificare e di uniformare era ormai affidata solo alla Chiesa, che non era in grado di esercitarla ovunque con la stessa intensità. Gli storici quindi, anche quelli forniti di migliore scuola, non avevano più i mezzi per integrare passato e presente in una prospettiva realmente romana; potevano al massimo utilizzare l'immagine che della storia romana si erano creati sulla base delle proprie esperienze e della propria cultura: un'immagine, ovviamente, che con l'effettiva realtà romana poteva avere pochissimo in comune e che in ogni caso era sempre un'interpretazione. E la distanza con la fase storiografica di Cassiodoro era ancora maggiore, perché gli storici della seconda ondata - e soprattutto i più colti e consapevoli, come Beda e Paolo Diacono - non volevano affatto trasformare la propria realtà in senso romano, ma solo darle una leggibilità e una dignità storica, grazie a certi parametri ricavati dalla cultura antica. "L'historia Romana" non significava dunque più adeguamento dei nuovi popoli ai valori e alle forme culturali del mondo classico, bensì impiego, per scrivere la loro originale vicenda, del "reticolo latino", cioè delle coordinate di spazio, tempo e relazioni. Perciò, nonostante la forma latina che le accomuna, il carattere autonomo, germanico, è essenziale nelle opere del VII-VIII secolo: esse sono anzi un primo bilancio che i Germani stessi ricavano dal loro incontro con la grande storia.
Ma nemmeno questo germanesimo è più allo stato puro, un inalterato principio di spiegazione e rappresentazione, sebbene sotto una veste altrui. Al contrario anch'esso è storico: ha subito un processo di crescita e di modificazione a contatto con un mondo estraneo. I nostri testi non sono più la testimonianza di un primo passo nell'incontro tra popoli diversi, bensì il frutto di percorsi storici ormai lunghi, compiuti con apporti variabili degli uni e degli altri: documenti preziosi della travagliata costruzione di un mondo nuovo, che crea e rielabora sulla base delle esperienze di culture differenti, in utile anche se non sempre facile confronto.
E questa vicenda, particolare per ogni paese, che gli autori hanno alle spalle: essa li forma, determina in senso materiale e spirituale il loro rapporto con il proprio passato e con la cultura latina, influisce sulla loro coscienza di sé e sulla loro visione del mondo. Essi riflettono così la qualità e il senso di queste vicende, gli equilibri raggiunti o falliti, gli specifici problemi delle singole realtà, offrendo una sintesi culturale che è un prodotto e uno specchio della loro storia.
Di questi testi "L'Historia Langobardorum" di Paolo Diacono è probabilmente il più complesso: quello che nasce da più intricate motivazioni e da più irrisolte difficoltà, logico riflesso di una storia mai arrivata a sciogliere i nodi essenziali alla sua stessa sopravvivenza.
Molto vasta è la bibliografia che riguarda la pittura metafisica. In particolare, in questi ultimi anni (specialmente nell'ambito di una più ampia ripresa di interesse per l'arte italiana far le due guerre), si sono moltiplicati i libri e i cataloghi di mostre su questa tendenza e soprattutto sui singoli artisti ad essa collegati più o meno strettamente, con contributi anche di grande interesse, ma per lo più di taglio molto specifico e di carattere circoscritto. Con questo libro si è cercato di dare una visione complessiva, il più possibile esauriente dell'argomento, sia dal punto di vista storico-documentario, sia da quello delle più significative interpretazioni critiche.