Il 23 marzo 1919 è una data cardine nella storia d'Italia. Quel giorno, a Milano, in piazza San Sepolcro, al primo piano di Palazzo Castani, elegante edificio di fine Quattrocento, l'ex socialista Benito Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento. Sulla scena politica irrompe un movimento di tipo nuovo, aggressivo e dinamico, che non solo mescola estremismo di destra e radicalismo di sinistra ma raccoglie simpatizzanti di ogni genere: Arditi, futuristi, reduci, massoni, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. La maggior parte di loro sono giovani. Il programma è avanzato e decisamente riformista: si propongono la Costituente repubblicana dei combattenti, l'abolizione del Senato, il suffragio universale maschile e femminile, l'introduzione delle otto ore lavorative. Mussolini, in particolare, vuole affidare la guida del Paese a una nuove élite, l'aristocrazia dei combattenti. L'obiettivo è spodestare la vecchia classe dirigente liberale, scongiurare il pericolo bolscevico e conquistare il potere. Dalle colonne de «Il Popolo d'Italia», il quotidiano interventista creato nel 1914 grazie ai finanziamenti degli industriali, Mussolini rivendica l'annessione di Fiume e della Dalmazia, soffia sul fuoco della crisi economica, legittima l'uso della violenza come strumento di lotta politica (il primo assalto alla sede dell'«Avanti!» avviene il 15 aprile 1919). Eppure, per il fascismo delle origini le elezioni di novembre si rivelano un insuccesso: Mussolini non viene neppure eletto alla Camera ed è addirittura arrestato per violenze. Come il leader fascista reagì alla sconfitta e riorientò il suo movimento verso nuove prospettive? Chi lo aiutò in quel frangente? Lo spiega in maniera chiara ed esauriente Mimmo Franzinelli, ponendo al centro della sua analisi proprio il "diciannovismo", ossia quella pericolosa miscela di violenza verbale e fisica che avvelenò il clima sociale dell'epoca, scatenando lampi di guerra civile. Sulla base di inedite fonti d'archivio, l'autore ha potuto ricostruire le variegate identità e i tortuosi percorsi biografici di chi, quel 23 marzo 1919, partecipò all'«adunata», un evento che la propaganda di regime - inventando il «brevetto di sansepolcrista» - innalzerà a vero e proprio mito fondativo del fascismo. A un secolo esatto di distanza dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento, le pagine di Franzinelli hanno il merito di gettare nuova luce sull'avventura politica e personale di Mussolini e di ricostruire, in maniera scrupolosa, il preludio di una dittatura.
Luigi Russo, in occasione della commemorazione di Antonio Gramsci a dieci anni dalla sua scomparsa, lamentava come la sua generazione fosse stata tormentata e mutilata quale altra mai. «Falcidiata dalla prima guerra mondiale e poi resa più sottile o captata e svuotata dalla corruzione di un regime dispotico, o vessata e stroncata e dispersa dalle carceri, dall'esilio, dalle malattie e dalle morti; sicché la sorte di essa, assai grave, pesa non soltanto su di noi che ne fummo per ragioni cronologiche partecipi, ma su tutta la vita intellettuale e politica del paese». Si riferiva a Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Giacomo Matteotti, lo stesso Gramsci, ma anche ai tanti meno noti che dettero un contributo eroico, sacrifico, accomunati dalla stessa battaglia antifascista. Rappresentarono un discorso che poi riaffiorò come un fiume carsico confluendo nel dialogo interpartitico della Costituente. Furono i maestri e i compagni di coloro che poi cooperarono alla Carta costituzionale. Ricordare il loro contributo morale non significa solo comprendere meglio il "Preludio alla Costituente", ma anche arricchire le generazioni successive. Prefazione di Valdo Spini. Postfazione di Giuliano Amato.
Nel 1941 un soldato della Wehrmacht, Joe J. Heydecker, scavalca un muro e scatta le foto che testimonieranno il terribile esperimento del ghetto di Varsavia, nel cuore nero dell'Europa nazista. Intanto, lo storico Emanuel Ringelblum, imprigionato dietro quel muro con la famiglia, raccoglie dati, "contrabbanda storia" perché qualcuno la possa raccontare. Quasi mezzo secolo dopo, John Runnings, un reduce canadese della Seconda guerra mondiale, è a Berlino per il venticinquesimo anniversario della "barriera di protezione antifascista". Ed è il primo a salire sul Muro per abbatterlo. Sarà ricordato come il "Wall Walker". Nell'anno in cui cominciava la costruzione del simbolo della cortina di ferro, il 1961, un giovane giamaicano stava inventando un nuovo genere musicale per cantare la lotta contro l'oppressione politica e razziale. Il suo nome era Bob Marley, e veniva da una famiglia che avrebbe fatto fortuna con il cemento: anche lui, senza saperlo, aveva in mano il suo pezzo di muro. Da Varsavia a Berlino, dal Mar dei Caraibi alle spiagge della Normandia, per finire a oggi, al confine tra Messico e Stati Uniti e nella "fortezza Europa", Carlo Greppi racconta quattro vite straordinarie che convergono nella trama inquietante del nostro tempo, l'età dei muri. Una storia globale scandita dalla costruzione di dispositivi con una struttura elementare e piuttosto arcaica, fatta di cemento armato, filo spinato o concertina, e un'origine comune: la guerra. Oggi decine di barriere dividono popoli e paesi. Sono state innalzate per ostacolare flussi migratori, per creare confini o per difenderli. In gran parte sono successive al 1989. E poiché "il mondo sembra in fiamme, e non sappiamo cosa verrà fuori da queste macerie", comprendere il presente è il primo passo per immaginare un futuro diverso.
Deportazione, sterminio, genocidio, shoah, soluzione finale o olocausto: sono solo alcuni dei nomi con i quali si è cercato - a partire dalla fine della seconda guerra mondiale - di definire l’immane tragedia del XX secolo.
L’autrice di questo saggio spiega perché sono nate le singole definizioni e come la ricerca di un nome abbia accompagnato l’approfondirsi della conoscenza storica dell’evento. Si comprende così che la scelta del nome ha certamente motivazioni linguistiche, ma anche psicologiche, politiche, storiche e religiose. I nomi, infatti, cercano di definire e delimitare la realtà ma possono essere usati anche per banalizzare, deformare o addirittura a negare la realtà stessa.
Truffe, tangenti, arricchimenti inspiegabili, legami con la mafia: il fascismo tutto fu tranne che una 'dittatura degli onesti'. Un regime, che pretendeva di forgiare un 'uomo nuovo' e di correggere i mali dello Stato liberale, vedeva in realtà estendersi il malaffare fino ai gangli centrali dello Stato. Un vero e proprio salto di qualità nel rapporto tra politica, corruzione e affarismo che spiega il successo e le rapide fortune personali di alcuni protagonisti di questi anni: dal caso del magnate dell'industria elettrica privata, Giuseppe Volpi, a quello del capo di Stato maggiore Ugo Cavallero. Ma 'mani sporche' sono anche quelle di alcuni degli esponenti più importanti del regime come Costanzo Ciano, Roberto Farinacci, Carlo Scorza o il giovane marchigiano rampante Raffaello Riccardi. Pratiche tanto comuni da diventare tragicomiche se guardiamo alle vicende dei 'pesci piccoli' a caccia di buone occasioni nelle colonie dell'Africa orientale dopo la conquista dell'Etiopia. Un iceberg, quello della corruzione, di cui Mussolini era pienamente consapevole tanto da dedicare costanti attenzioni al suo occultamento attraverso censura e propaganda.
«L'anno in cui l'uomo andò sulla luna e in cui i ragazzi americani si diedero convegno a Woodstock per tre giorni di 'pace e musica'. L'anno di Lavorini e Jan Palach, quello della strage di Piazza Fontana e quello in cui i Rolling Stones tuonavano contro la guerra in Vietnam con "Gimme Shelter". L'anno del "Satyricon" di Fellini e della strage di Bel Air ad opera dei seguaci di Charles Manson. Si parla sempre del 1968 come anno chiave del cambiamento. E lo è stato. Ma il 1968 è il simbolo di qualcosa iniziata nel 1967 e proseguita nel 1969, senza soste, come se si trattasse di un unico lunghissimo anno rivoluzionario. Conti mette insieme le tessere, componendo un mosaico affascinante, romantico, drammatico al tempo stesso. E lo fa con una prosa semplice e avvincente, facendoci viaggiare indietro nel tempo tra musiche, film, spettacoli, cronaca, politica e costume. Provando così anche a farci capire meglio chi siamo oggi.» (Ernesto Assante, "la Repubblica"). Il racconto di un anno straordinario in cui il mondo è cambiato: i film, i dischi, i libri, la cronaca, la politica, il calcio, i concerti, la rivolta, i sogni, la rabbia, la vita di ogni giorno.
Fra le molte periodizzazioni possibili per segnare il problematico termine a quo della storia contemporanea, questo manuale adotta l’ondata rivoluzionaria del 1848 – evento senza dubbio epocale a livello europeo, e avvertito come tale anche dai contemporanei – per raccogliere in un unico volume l’intera materia che comunemente viene ricompresa in questa disciplina. È una scelta che ha il vantaggio di includere in una trattazione organica problemi ed eventi imprescindibili per la comprensione del mondo contemporaneo, a cominciare da quelli relativi alla realizzazione dell’unità italiana. Questa nuova edizione si presenta ora in una forma decisamente rinnovata e accresciuta. La parte sul Novecento, in particolare, è stata ampliata e articolata in un maggior numero di capitoli di taglio essenzialmente tematico, per meglio dar conto delle trasformazioni degli ultimi decenni.
La nuova edizione aggiornata di un manuale che ha avuto ottima accoglienza nelle università e nelle scuole. Il Novecento, un secolo che si apre col trauma originario della Grande Guerra e si chiude con le grandi trasformazioni seguite alla caduta del muro di Berlino: è la periodizzazione di questo manuale, che si spinge ad analizzare gli ultimi eventi dei nostri giorni senza rinunciare a una struttura agile, maneggevole e rigorosa, a una scrittura piana e comprensibile, a una strumentazione didattica particolarmente efficace, dalle numerose cartine alle bibliografie ragionate che guidano l'approfondimento dei temi toccati. In questa nuova edizione, fortemente accresciuta e rivista, sono state inserite numerose nuove parole chiave, indispensabili per focalizzare le principali categorie tematico-concettuali del periodo.
Raphaël Esrail nasce in Turchia nel 1925. A 18 anni inizia a combattere con la Resistenza francese, ma nel 1944 viene arrestato, torturato e deportato dai nazisti a Drancy. Al campo conosce una giovane donna, Liliane Badour: basta uno sguardo per farli innamorare. Ma il destino li divide: lui viene deportato ad Auschwitz e assegnato alla Union-Werke, lei è trasferita a Birkenau. Pur consapevole della spaventosa efficienza della macchina dello sterminio, nell'orrore del campo Raphaël non perde mai la speranza di poterla rivedere. Durante la sua prigionia, scampa per miracolo alle camere a gas, all'impiccagione dopo un tentativo di evasione, alle marce della morte. Fino a quando, liberato dagli americani, può finalmente mettersi a cercare Liliane, che ritroverà a Lione. Innamorati più di prima, Liliane e Raphaël si sposano stringendo un legame che durerà per tutta la vita. Ma solo a distanza di quarant'anni, incoraggiato dalla nipote, lui ha trovato la forza di raccontare la loro storia. Perché nulla di simile possa mai ripetersi.
Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia.
Apparso per la prima volta nel 1997 sulle pagine del “New Yorker”, questo impetuoso, lucidissimo saggio di Cynthia Ozick strappa il velo di dissimulazione e retorica che negli anni ha ovattato e mistificato la limpida voce di Anne Frank e del suo Diario. Troppo spesso e troppo a lungo oggetto di interpretazioni semplificate e fuorvianti, di appropriazioni indebite, tradimenti e comode “santificazioni”, il Diario è servito da lasciapassare per un’amnesia collettiva – storica e culturale – sulle cause e le circostanze della morte della sua autrice e di milioni di altre vittime dell’Olocausto. La depravazione e la ferocia dei nazisti, il male che ha consumato la protagonista, sono stati attenuati e sorpassati nel tempo dal solo battere della critica, dell’editoria, dei lettori e persino del padre – Otto Frank – sul tema della bontà e della forza umana, utilizzando strumentalmente la voce di Anne per costruire un discorso sul passato tanto rassicurante quanto sterile. Cynthia Ozick, ripercorrendo con il ritmo e la forza che le sono propri, le vicissitudini storiche, editoriali e teatrali del libro universalmente considerato il simbolo della Shoah, ci mette in guardia dalle conseguenze di questa tendenza: ammorbidire la Storia, nel tentativo di renderla più sopportabile, equivale a tradirla; tradirla equivale a negare – in una discesa inarrestabile verso il buio della ragione – ciò che è stato, gettando le basi perché possa avvenire ancora.
Lo scopo di questo volume è di ampliare le conoscenze sull’attività di governo svolta da Aldo Moro e di rinnovare l’immagine pubblica che di lui si è, spesso in modo incompleto, costruita. In queste pagine vengono quindi ricomposti i molteplici impegni politici della sua vita, tragicamente spezzata dalla follia terrorista, rivolgendo la giusta attenzione anche alla sua ricca spiritualità. Moro è stato l’«uomo della possibilità», colui che ha esplorato con intelligenza la direzione delle correnti profonde della società, non solo italiana, e, per quanto possibile, ha cercato di canalizzarle all’interno dell’evoluzione democratica del Paese. Il complesso dei saggi qui proposti rappresenta quindi uno strumento prezioso, con la consapevolezza che non è affatto facile, per la densità della sua riflessione culturale e politica e per le diverse esperienze che ne costituiscono la vita, esaminare l’opera di un politico del calibro di Aldo Moro, la cui identità, tra l’altro, è difficilmente omologabile a quella del ceto dirigente della sua epoca.