La pace di Versailles ha segnato, per giudizio ormai unanime della storiografia, la fine della centralità dell'Europa nella storia mondiale. L'Europa che ne uscì, pur indebolita, continuò a interpretarsi come un «concerto delle potenze». E nell'estremo tentativo di stabilire quali di queste potenze dovessero assumere l'egemonia si giunse al loro collasso: per quanto non fosse allora evidente, si sarebbe trattato di un fenomeno che avrebbe coinvolto tanto i vinti quanto i vincitori della Grande guerra. Il tentativo di non accettare questo dato di fatto costò una nuova guerra mondiale, che lo sanzionò fuor di ogni dubbio. Nacque però una nuova e parzialmente diversa storia d'Europa, non più incentrata sul ripristino impossibile della sua centralità come «potenza» nel senso classico del termine, ma ancora percorsa dall'orgoglio di ricostruirsi almeno come «potenza civile». Questo volume offre una serie di riflessioni sulla complessità della vicenda che si è snodata fra due date simboliche: la conferenza di Versailles e la caduta del muro di Berlino. A cent'anni dal primo e a trent'anni dal secondo, in queste pagine si ragiona su una storia che ha visto mutare la geografia, i sistemi politici e sociali, la cultura, le relazioni internazionali, fino a giungere alle radici della crisi che attualmente coinvolge il nostro continente.
Lo scopo di questo volume è di ampliare le conoscenze sull’attività di governo svolta da Aldo Moro e di rinnovare l’immagine pubblica che di lui si è, spesso in modo incompleto, costruita. In queste pagine vengono quindi ricomposti i molteplici impegni politici della sua vita, tragicamente spezzata dalla follia terrorista, rivolgendo la giusta attenzione anche alla sua ricca spiritualità. Moro è stato l’«uomo della possibilità», colui che ha esplorato con intelligenza la direzione delle correnti profonde della società, non solo italiana, e, per quanto possibile, ha cercato di canalizzarle all’interno dell’evoluzione democratica del Paese. Il complesso dei saggi qui proposti rappresenta quindi uno strumento prezioso, con la consapevolezza che non è affatto facile, per la densità della sua riflessione culturale e politica e per le diverse esperienze che ne costituiscono la vita, esaminare l’opera di un politico del calibro di Aldo Moro, la cui identità, tra l’altro, è difficilmente omologabile a quella del ceto dirigente della sua epoca.
Luigi Sturzo non è stato un “costituzionalista di professione” bensì un uomo politico con vasti interessi culturali che ha avuto la ventura di vivere in una posizione pubblica preminente non solo come Segretario nazionale del Partito Popolare negli anni della crisi dello Stato liberale, ma anche, come senatore a vita, nella stagione della affermazione della democrazia costituzionale. La ricognizione critica delle sue posizioni sulla Costituzione repubblicana è stata affrontata da Nicola Antonetti richiamando la profonda concezione sturziana dei nessi tra etica e politica e le ragioni specifiche della lunga polemica contro la «partitocrazia», riprendendo, infine, le sue prospettive per le riforme costituzionali da quella del sistema bicamerale a quella per lo sviluppo di un modello politico degli assetti regionali. Diviene possibile, rivisitando tali posizioni, risalire al costituzionalismo di Sturzo e comprendere l’innovazione apportata alla tradizione del cattolicesimo politico anche attraverso la ripresa di modelli istituzionali propri della cultura anglo-americana.
È viva la convinzione che ancora oggi, a poco meno di settant'anni dall'adozione della Costituzione Repubblicana, sia utile per il lettore rivisitare il travaglio culturale e politico vissuto, in modi diversi, dall'intera cattolicità italiana nella stagione della Costituente. Già nelle idee ricostruttive della democrazia cristiana del luglio del 1943 De Gasperi aveva posto la difesa della libertà delle persone e delle comunità organizzate come "premessa indispensabile" per arginare i totalitarismi; in seguito, nel documento conosciuto come Codice di Camaldoli, scritto tra l'estate del 1943 e il 1945, e negli interventi della XIX Settimana Sociale dei cattolici italiani, dell'ottobre 1945, furono discussi i temi dello stato e dei suoi rapporti con la società, nella prospettiva di un assetto politico istituzionale socialmente avanzato e pluralista retto dal nuovo sistema dei partiti di massa. Durante i lavori della Costituente, specie i costituenti democristiani più giovani, come Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati, Moro e altri, senza interrompere le forme di dialogo avviate nella stagione della Resistenza con uomini e forze di altra ispirazione, si adoperarono per affermare una concezione dello stato democratico e della stessa democrazia intesi non semplicemente come insieme di procedure, bensì come realtà che traggono la loro ragion d'essere da profonde ispirazioni culturali e si esprimono in indirizzi sociali solidali e pacifici. Introduzione di Gabriele De Rosa.