Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.
Nell'ultimo quarto del XX secolo per descrivere e regolamentare il funzionamento delle organizzazioni e delle strutture aziendali i teorici delle imprese ricorrono a un termine che, sin dal lontano XVI secolo, era un semplice sinonimo di governo: «governance». All'inizio degli anni Ottanta il termine viene introdotto nella vita pubblica col pretesto di affermare la necessità di una sana gestione delle istituzioni dello Stato e diventa il «grazioso nome» di una gestione neoliberale dello Stato, caratterizzata da deregulation e privatizzazione dei servizi pubblici. Negli anni successivi attraverso questo sintagma si fa strada quello che qualcuno ha definito un vero e proprio «colpo di stato concettuale». La governance infatti non è soltanto un termine che indica la necessità di adattare le istituzioni alle necessità e ai desiderata dell'impresa, ma qualcosa di molto più rilevante. È un'espressione volutamente indeterminata che esprime la nuova arte della politica «senza governo», senza quella pratica, cioè, che presuppone una politica dibattuta pubblicamente. Strappato il vecchio contratto sociale alla base di ogni «governo», la governance inaugura «l'età felice» - per tecnocrati, finanzieri e imprese - della contrattazione plurale, una mutazione che promuove «il management d'impresa e la teoria della tecnica aziendale al rango di pensiero politico». Nelle pagine di questo libro Alain Deneault mostra le conseguenze di questa radicale trasformazione della gestione governativa: la politica muore e si muta in «un'arte della gestione» in quanto tale, priva di ogni registro discorsivo. «Nessuna agorà è richiesta per discutere del bene comune». E questo fenomeno è «tristemente corroborato dalla monotonia del discorso politico e dalla mediocrità dei partiti politici di governo». La «mediocrazia» diventa l'orizzonte stesso del ceto politico.
Già deputato popolare, perseguitato e incarcerato dal regime fascista, senza un impiego stabile, nel 1929 De Gasperi fu assunto come bibliotecario nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Lì, in una sorta di esilio interno, trascorse gli anni della dittatura, durante i quali tenne in un suo quaderno segreto il diario che vede oggi la luce. Non un diario intimo ma, dall'osservatorio privilegiato del Vaticano, riflessioni e note sulle relazioni fra la Chiesa e lo Stato fascista, la situazione dei cattolici in Italia e nella Germania nazista, più tardi sugli albori della Democrazia cristiana. Si tratta di pagine assai rilevanti per il loro valore storico e documentale, che gettano luce sul percorso intellettuale di De Gasperi ma anche sull'evoluzione della politica cattolica durante il pontificato di Pio XI e Pio XII.
«La sconfitta non è uno scalino sceso male. Né si risolve con la semplice scelta di un nuovo capo. Bisogna decidere cosa saremo e quale lingua ci distinguerà. Bisogna farlo adesso, perchè nei vent’anni passati siamo usciti troppe volte con l’abito sbagliato. Per riuscirci avremo sete di nuovi termini e azioni. Per me, per tanti, questa è la battaglia di una vita».
4 marzo 2018. Per la sinistra italiana la sconfitta più bruciante della storia repubblicana. Prima però, il 24 settembre dell’anno passato, c’era stato il deludente voto tedesco. E ancora prima la débâcle socialista in Francia. Col caso unico nella Quinta Repubblica di un presidente in carica neppure ricandidato e una percentuale umiliante nelle urne. Se il millennio compie diciott’anni e diventa maggiorenne, la sinistra sembra immersa nella sua quarta età, dirottata verso un binario morto. Ma è davvero così? Quella dei riformisti e del Pd è una parabola definitivamente segnata? Oppure è proprio quando il vento soffia contrario che l’alternativa di pensiero, presenza e senso di una comunità riscopre la sua matrice? In un pamphlet leale e al tempo stesso impietoso, scritto a ritmo serrato e non privo di provocazioni, la famosa traversata da compiere viene raccontata dall’interno, come un percorso faticoso, duro. Forse carico di nuova passione. Con la coscienza che questa volta serviranno idee radicali e qualche appiglio nell’utopia. Ma è quando tutto pare irrimediabilmente compromesso che la sinistra trova motivo per rinascere. A patto di...
Tutto quello che la gente sa sul cosiddetto caso Moro, cioè sulla strage efferata della sua scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, si basa in gran parte su una ricostruzione dei fatti frutto di un compromesso volto a formulare una «verità accettabile» sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti. Tutto questo provocò un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l'«Operazione Fritz», il nome in codice dell'«operazione Moro». E ancora oggi, a ben guardare, noi non sappiamo tutta la verità sulla morte di Aldo Moro. Le verità emerse dalla nuova Commissione d'inchiesta Moro 2 sono sconcertanti. Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi, sorprendenti elementi. Qualche esempio. Moro guardò negli occhi chi gli sparava, non morì sul colpo, ma in modo atroce, dopo una lenta agonia. Il suo carceriere trovò rifugio da latitante in una palazzina dello IOR, la banca vaticana. L'omicidio ben difficilmente è potuto avvenire nel box di via Montalcini 8, così com'era nel 1978. Almeno 2 terroristi della Rote Armee Fraktion potevano essere in via Fani. Fu un imprenditore israeliano che fornì i 10 miliardi del riscatto consegnati a Paolo VI. Le fazioni palestinesi giocarono un pesante ruolo nella trattativa. Durante il sequestro passarono alle BR documenti top secret della NATO. Infine emerge uno scenario internazionale del delitto che i brigatisti hanno sempre negato. Purtroppo anche in molte rievocazioni in occasione dei quarant'anni del rapimento è stata riproposta la vecchia narrativa, messa a punto come un abito su misura. Allora, la sola «verità» dicibile, ma oggi del tutto insoddisfacente.
Esistono due tipi di elezioni: quelle «ordinarie», che registrano il presente, e quelle «straordinarie», che segnano una frattura tra il mondo di ieri e il mondo di domani. Il voto del 4 marzo si inserisce pienamente nella seconda categoria. Per cogliere la portata «radicale» del cambiamento innescato da questo voto non giovano però interpretazioni affrettate né reazioni «a caldo». Mettendo a frutto una pluridecennale esperienza maturata nel campo degli studi politico-elettorali, l’Istituto Carlo Cattaneo offre con questo volume un’analisi del voto ancora una volta rigorosa e articolata. Sono così approfonditi temi quali l’offerta politica, le risposte degli elettori e il ruolo del sistema elettorale. Ad arricchire la disamina, sono proposte alcune riflessioni che si interrogano sulle cause che hanno condotto la politica italiana nel «vicolo cieco» in cui è precipitata e sulle possibili vie d’uscita.
Il volume raccoglie tre ampi saggi di Eric Voegelin pubblicati in diverse fasi della sua ricerca filosofica e della sua carriera accademica americana e inediti nella nostra lingua. I titoli sono: Il liberalismo e la sua storia, Genesi intellettuale de Il principe di Machiavelli e Note su tempo e memoria in sant'Agostino, tre temi apparentemente assai distanti ma ai quali è sottesa la medesima prospettiva critica della modernità del grande filosofo della storia e della politica tedesco-americano. Prefazione di Daniele Fazio.
Non si può pensare al recupero della politica senza il recupero della dignità della persona umana e della sua centralità rispetto al mondo ed alla storia. Fare politica coincide con lo stare nella vita, nel mondo, nella società, nelle istituzioni. Con tutte le preoccupazioni, disagi, interessi, bisogni. Nobilitare la politica non è impresa disperata; piuttosto, è una navigare in acque agitate che richiede passione e rispetto. Anche speranza, che è in fondo, desiderio di andare oltre, di aspirare ad altro, di tendere a qualcosa di meglio. L'Autore non teme di aprire i confini della politica alla trascendenza. Trova, invece, le motivazioni più profonde per l'impegno e l'azione politica nella missione ad essere pienamente cittadini, presenti qui, oggi, nella storia, guardando ad una vita altra.
Negli ultimi anni sembra che la politica abbia subito un'inquietante accelerazione. Nei paesi in cui l'adesione di tutti i cittadini al sistema di valori della democrazia era considerata un'ovvietà, il consenso per i partiti di estrema destra e per i populismi aumenta a ogni tornata elettorale. Per di più, la degenerazione del discorso politico è sopravvissuta alla fine della crisi economica. In Europa e negli Stati Uniti, infatti, sono chiari i segni della ripresa eppure la richiesta di costruire muri, di respingere i flussi migratori, di ripristinare misure protezionistiche è sempre più forte da parte dei cittadini. Il legame tra liberalismo e democrazia, spiega Yascha Mounk, non è più così indissolubile come credevamo. Siamo entrati in una nuova era politica, con la quale chi ancora crede nella sovranità del popolo in democrazia dovrà fare i conti. Come dimostra l'elezione di Donald Trump, la divaricazione della cultura dei diritti dal sistema della partecipazione democratica è possibile. Mentre le istituzioni si riempiono di milionari e tecnocrati, i cittadini conservano i propri diritti civili e le proprie libertà economiche, ma vengono esclusi dalla vita politica. D'altra parte, il successo di Orbán in Ungheria, di Erdo?an in Turchia e di Kurz in Austria è il segno di una democrazia che si priva sempre più della capacità di garantire diritti ai propri cittadini e si trasforma in una tirannia della maggioranza.
La «via italiana al socialismo» inaugurata da Togliatti è stato uno degli esperimenti politicamente più ambiziosi del dopoguerra europeo. In questo ampio studio Giuseppe Vacca, il maggiore studioso della storia politica comunista italiana, ne ripercorre la parabola teorica e di azione, tenendo sempre a mente il rapporto conflittuale ma vitale con l'unica altra forza popolare dell'Italia repubblicana, la Dc, e il resto del mondo cattolico. Dalla responsabilità democratica, costituzionale e antifascista della ricostruzione postbellica e la necessità da parte di Togliatti di fondare una tradizione di pensiero sull'opera di Gramsci, al complesso rapporto con il mito di Stalin e il lascito politico di De Gasperi, attraverso la stagione dei governi di centro-sinistra fino all'eurocomunismo di Berlinguer e al tentativo, tragicamente interrotto dalla morte di Moro, di un compromesso storico tra i due grandi partiti di massa italiani, quello di Vacca è il ritratto più completo di un periodo fondamentale della storia d'Italia.
L'ipotesi di Latour è che non si possono comprendere le posizioni politiche degli ultimi cinquant'anni se non si attribuisce un posto centrale alla questione del clima e della sua negazione, di cui Donald Trump non è che il simbolo più conosciuto. È questo che spiega l'esplosione delle ineguaglianze, l'ampiezza della deregulation, la crescita del populismo. Siamo entrati nell'epoca di un profondo disorientamento, che vede la terra sottrarsi a noi umani come terreno di vita, reagendo alle nostre azioni con sconvolgimenti climatici globali. Per contrastare tale politica, occorre tracciare una nuova rotta e dunque disegnare una mappa delle posizioni imposte da questo nuovo paesaggio, avendo come obiettivo un mondo diversamente abitabile per sé e per i propri figli.
«"Supernova" è un noir politico. È la storia di come nasce, cresce e viene ammazzata la pazza idea di Gianroberto Casaleggio di costruire il primo movimento politico che utilizzi Internet come strumento di propaganda e organizzazione. È una storia raccontata da un osservatorio unico e privilegiato: abbiamo fatto parte, in momenti diversi e decisivi, della macchina organizzativa del Movimento 5 stelle. L'abbiamo vista nascere, l'abbiamo fatta crescere, ce ne siamo allontanati...»