È una rara notte di temporali, in Sardegna, quando arriva il mostro. La ragazza era riuscita a fuggire, ma lui, il suo rapitore e aguzzino, l'ha inseguita e l'ha uccisa, incurante del fatto che a pochi metri di distanza ci fosse una pattuglia della polizia. Per questo, subito arrestato, il mostro viene portato immediatamente in carcere. Lì, ad attenderlo, c'è un mondo chiuso fra mura spesse e sbarre di ferro alle finestre. Lì, soprattutto, c'è Sante. E l'arrivo di quell'assassino è forse l'occasione di redimersi che Sante attende da tutta la vita. Sante ha un segreto, una colpa da espiare, un passato da cui scappare. Eppure, Sante è in prigione per sua stessa volontà. Perché lui non è un carcerato, ma una guardia. La sua è una condanna autoinflitta. Ma quella notte tutto cambia. Può un peccato cancellarne un altro? Perché quel mostro è ricco e protetto. Ha agganci altolocati. Se la caverà, dice a Sante l'avvocato della madre della vittima. L'assassino ne uscirà, a meno che Sante non intervenga. E lo uccida. L'avvocato promette a Sante un alibi, una copertura, una via d'uscita e soprattutto tanti soldi. Uccidere è la cosa giusta? Si chiede Sante. Ma il giorno dopo, nulla di tutto ciò ha più importanza. Perché il mostro è stato ucciso e tutti i sospetti cadono proprio su di lui, su Sante. Che, da quel momento, non ha altra scelta che la fuga... E la ricerca della verità. Un conflitto morale che ci porta a chiederci: noi cosa faremmo? E una verità che emerge poco a poco in un quadro sempre più sconvolgente.
Nel 1966, Tiziano Terzani ha 27 anni e un lavoro per l'Olivetti che gli permette di girare il mondo e di scrivere i suoi primi articoli collaborando con l'Astrolabio, settimanale della sinistra indipendente diretto da Ferruccio Parri ed Ernesto Rossi. Ma è inquieto come sarebbe stato per tutta la sua vita: il suo principale obiettivo è imparare il cinese per potere andare a vivere in Cina. E nel 1967, dopo aver vinto una borsa di studio, Terzani si dimette dall'Olivetti e s'imbarca a Genova con la moglie Angela, per andare in America a seguire alla Columbia University i corsi di Storia Cinese Moderna, Lingua Cinese e Affari Internazionali. Saranno due anni molto intensi, prima a New York (dove farà uno stage nella redazione del «New York Times») e poi in California, alla Stanford University dove, finalmente, riesce a imparare il cinese. Quei due anni in cui Terzani scopre gli Stati Uniti sono anni cruciali, di fortissimi conflitti generazionali e politici e di un continuo alternarsi di entusiasmi e delusioni. Come racconterà in seguito nella «Fine è il mio inizio»: «Quando partii per l'America Parri mi disse "Ti prego, scrivi, ne sarò felicissimo". E io per due anni ogni settimana ho scritto sull'America, sulle elezioni, sui negri, sulla protesta contro la guerra in Vietnam, la marcia su Washington e gli assassinii di Robert Kennedy e Martin Luther King». E sono proprio questi i sorprendenti reportage che vengono qui raccolti da Àlen Loreti, corredati di fotografie inedite e contestualizzati da una prefazione di Angela Terzani Staude. Cronache da un mondo in rivolta, in cui Terzani dà prova ancora una volta del suo straordinario istinto da grande reporter, che gli permette di individuare, e raccontare, gli eventi più importanti sin dal primo momento in cui si affacciano sul palcoscenico della Storia.
Quella di Gianni Schuff è una vita senza increspature. Si è inventato un'attività di successo - recupera pezzi di modernariato tra il Veneto e la ex Jugoslavia e li rivende, restaurati, a prezzi altissimi -, ha una rete di collaboratori discreti e privi di scrupoli, una bella moglie, una serena capacità di galleggiare lontano dalle profondità della coscienza. Fino a che, per ampliare il proprio giro, non entra in contatto con un giro di insospettabili mafiosi del Nordest, e incontra Iriljana, giovane violoncellista dal passato segnato dagli orrori della storia jugoslava. Vent'anni li separano. Quei vent'anni saranno la misura di un amore talmente assoluto da esigere un'espiazione altrettanto radicale. Gianni Schuff, l'uomo che con eleganza sapeva reggere tra le mani tutti i fili dell'esistenza, percorrerà fino in fondo i gradini che conducono un uomo davanti ai propri fantasmi.
I "Nuovi racconti romani" di Alberto Moravia sono stati scritti tra il 1954 e il 1959 e costituiscono la naturale continuazione del discorso avviato con i precedenti "Racconti romani", considerati dalla critica centrali nella produzione moraviana. Anche nei "Nuovi racconti romani" il mito proletario influisce non soltanto sulla visione del mondo, ma anche sulla scrittura che è leggermente "romanesca" come appunto il linguaggio corrente di Roma che non è più affatto dialettale come ai tempi dei Belli, ma appena velato da un superstite accento locale. La vastissima compagine di questi racconti, una vera e propria commedia umana, può apparire anche come una puntigliosa verifica della disfatta che insidia i propositi della vita.
In una mattina di febbraio del 2004 un uomo fa irruzione in un ospedale di Imola. Il suo nome è Jean Lautrec. Incurante di sorveglianti e infermieri si precipita nella stanza in cui è sdraiato un uomo sedato e intubato. È un sacerdote, padre Marco Giraldi, che è riuscito a sfuggire ai sicari assoldati dalle multinazionali contro cui si è messo per fermare la distruzione della foresta amazzonica e dei suoi popoli. Ma la sua fuga ha avuto un prezzo. Ora giace nel letto, avvelenato e tenuto in vita dalle macchine. Ha continuato a combattere la causa dei deboli, a dare speranza a chi non ne ha. Jean Lautrec a denti stretti ringhia: "Cosa ti hanno fatto, comandante?". Padre Marco e Jean si erano conosciuti tanti anni prima, in un altro continente, in un altro tempo. In Congo, proprio mentre il Paese stava per ottenere l'indipendenza dal Belgio. Ma gli eventi erano precipitati. Il discorso di un giovane rivoluzionario, Patrice Lumumba, aveva incendiato gli animi e il Congo aveva preso fuoco. Era scoppiata la guerra civile, gli scontri tra le etnie, la caccia ai colonizzatori. Padre Marco però decide di non scappare. Resterà in Congo a difendere i confratelli innocenti in quel Paese in preda al caos, le vittime di un odio e di una violenza feroce che non risparmia né vecchi, né donne, né bambini. Ma non può riuscirci da solo. Ha bisogno di una squadra, composta da quello che in quel momento può trovare. E sotto le parvenze di professionisti in disarmo, di giovani ansiosi di avventura, di relitti umani, troverà degli eroi. Nasce così il Quinto Commando: guerrieri, mercenari, tra cui Kazianoff, un medico russo alcolizzato ex Spetsnaz, Louis, un prete vallone rinnegato per amore, Rugenge, il leopardo nero, giovane cacciatore congolese dalla mira micidiale, lo stesso Jean Lautrec imbattibile con il mitra, tutti agli ordini di padre Marco, il Templare di fine millennio...
Alle volte non è facile stabilire il confine tra colpa e innocenza. Che cosa succede quando il male ci viene inferto da chi dovrebbe difenderci? Chi è colpevole: colui che produce il male coscientemente oppure chi, in buona fede, crea danni e dolore anche maggiori? Il male è tanto più brutale quando si presenta dietro l'alibi del bene, tanto più violento quando è inconsapevole. È l'estate più torrida del secolo. Matteo, un ragazzino di dodici anni orfano di padre e grande appassionato di musica, è seduto in auto al fianco della mamma nel breve viaggio da un paese di campagna alla città vicina, dove sarà interrogato dal Giudice per un presunto abuso subito due anni prima. Un viaggio di formazione, un crescendo emotivo fino all'incontro fondamentale in quella che lui chiama la "Stanza delle parole". Giudice e Psicologa svolgono il loro necessario compito, ma proprio questo forse è alla radice del male che infliggeranno al "minore", come lo chiamano. Minore, appunto. Quasi fosse un dettaglio marginale di una storia tra adulti, in cui lui non è che una voce. Il viaggio di ritorno sarà breve, e segnerà per Matteo il vero spartiacque tra il mondo dell'infanzia e il suo trovarsi troppo presto "grande". Con questo strappo il ragazzo troverà dentro di sé la capacità di reagire e di riconoscere finalmente l'ambivalenza delle parole, come della vita. Scritta in una lingua discreta, in ascolto del vivido mondo interiore di Matteo, "L'innocente" è una storia portatrice di una delicatezza senza pelle, che pone domande, più che azzardare risposte. Un romanzo che tocca uno tra i temi più dolorosi e attuali della contemporaneità, raccontato dal punto di vista di un bambino. Un viaggio che accompagna il lettore dietro al velo fumoso delle parole, con lo stesso stupore con cui l'infanzia scopre il volto della realtà adulta dietro le apparenze.
Perché possiamo dirci italiani? A dispetto delle tante divisioni, storiche e attuali, c'è qualcosa che ci accomuna. Una serie di tratti che ci rendono immediatamente riconoscibili in qualsiasi luogo del mondo; nel male ma anche nel bene. Corrado Augias ci accompagna in un viaggio alla scoperta di ciò che definisce il nostro carattere nazionale. Un viaggio nei luoghi della nostra memoria collettiva e in quelli del suo cuore: dalla Milano del teatro alla Trieste di confine, transitando per Bologna dove il Nord incontra il Sud, poi Roma e Napoli per arrivare a Palermo, alle porte di un'altra civiltà con cui da sempre abbiamo dialogato. Un'opera civile e insieme intima, che scava alla ricerca di un'identità le cui radici affondano nei mille diversi volti di un paese grande, bellissimo e tormentato.
Una dichiarazione d'amore al nostro Paese, nonostante i suoi difetti.
Mafalda ha nove anni, indossa un paio di spessi occhiali gialli e conosce a memoria "II barone rampante" di Italo Calvino. Scappa dai professori arrampicandosi sul ciliegio all'entrata della scuola insieme a Ottimo Turcaret, il fedele gatto che la segue ovunque. Su quel ciliegio, sogna perfino di andarci a vivere, ma tra pochi mesi non lo potrà più vedere perché i suoi occhi si stanno spegnendo e un po' alla volta, giorno dopo giorno, diventerà cieca. È una bambina curiosa e l'idea di rimanere al buio la spaventa: per questo tiene un diario in cui annota le cose che non potrà più fare, come contare le stelle e giocare a calcio con Filippo, il bullo della classe che parla solo con lei. Grazie all'aiuto della sua famiglia e dei suoi amici, Mafalda capisce che un altro modo di vedere è possibile. Impara a misurare la distanza dal ciliegio accompagnata dal profumo dei fiori e comincia a scrivere un nuovo elenco: quello delle cose a cui tiene e che riesce ancora a fare. Questa è la storia di Mafalda, ma è anche quella di Paola Peretti, una scrittrice dalla forza contagiosa, che ha voluto scrivere il suo primo romanzo quando ha saputo di avere una grave malattia agli occhi. Un libro che ci insegna a vedere ciò che ancora non esiste, a lottare per i propri sogni.
Che cosa rimarrà di noi nella memoria di chi ci ha voluto bene? Come verrà raccontata la nostra vita ai nipoti che verranno? Andrea Camilleri sta scrivendo quando la pronipote Matilda si intrufola a giocare sotto il tavolo, e lui pensa che non vuole che siano altri - quando lei sarà grande - a raccontarle di lui. Così nasce questa lettera, che ripercorre una vita intera con l'intelligenza del cuore: illuminando i momenti in base al peso che hanno avuto nel rendere Camilleri l'uomo che tutti amiamo. Uno spettacolo teatrale alla presenza del gerarca Pavolini e una strage di mafia a Porto Empedocle, una straordinaria lezione di regia all'Accademia Silvio D'Amico e le parole di un vecchio attore dopo le prove, l'incontro con la moglie Rosetta e quello con Elvira Sellerio... Ogni episodio è un modo per parlare di ciò che rende la vita degna di essere vissuta: le radici, l'amore, gli amici, la politica, la letteratura. Con il coraggio di raccontare gli errori e le disillusioni, con la commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare alla nipote la lanterna preziosa del dubbio.
"È notte, ci sono due sposi." Inizia così, dalla notte, il racconto della giornata di uno sposo, che in ventiquattr'ore ripercorre i suoi amori, tenendo però sempre fermo - come punto di partenza e di arrivo - l'ultimo, quello incontrato in età matura. È alla sua sposa che la sera racconta un "fatterello", e a lei piace che quel fatterello riguardi uno dei suoi amori passati, la "delicata materia di ciò che è già stato". Quando si fa mattino, la sposa esce di casa per andare a insegnare e lui, rimasto solo - il suo mestiere è scrivere articoli di giornale e comprare minerale di zinco sui mercati mondiali -, non smette di ricordare e di chiedersi: "Dove ho imparato a dire ti amo?". Mentre lavora, si occupa dell'orto, cucina, inforca la bicicletta, le ore della giornata scorrono, viene il pomeriggio e cala la sera, torna la notte, riemergono dal passato, con struggimento, con dolore, con dolcezza, la "Mari marina marosa figlia del pesciaiolo", la Padoan con la sua coda di cavallo, la Patri e la luxemburghiana Chiaretta, i cui fatterelli tanto piacciono alla sposa, e poi Ida la Bislunga. È attraverso di loro che lo sposo ripercorre il suo lungo "allenamento a dire ti amo ti amo ti amo" in questa giornata che sembra qualunque, e si scopre invece particolare.
Quanto somiglia Cabras, Sardegna, paese natale di Michela Murgia, ad Avalon, Britannia, luogo mitico di Re Artù e della spada nella roccia? Se Morgana, Igraine e Viviana, le "Signore del Lago", hanno il potere di sollevare le nebbie con le parole e influenzare le vite dei cavalieri della Tavola Rotonda, Michela Murgia, nata in mezzo alle acque di Cabras, ha il potere di sollevare le nebbie intorno alle storie e alle idee che ci circondano, raccontandoci la versione delle donne, nel solco ideale di Ave Mary. In un viaggio che comincia in mezzo al mare e in mezzo al mare ritorna, una delle maggiori scrittrici italiane racconta come e perché è diventata femminista, come e perché ha cominciato a temere le gerarchie religiose, come e perché non ha mai smesso di giocare di ruolo nel mondo magico di Lot, come e perché certi libri che ci hanno fatto crescere, in effetti, li abbiamo mangiati più che letti, e soprattutto come e perché creare ogni giorno il mondo che ci circonda è un gesto politico.