Il libro del Levitico è dedicato al culto comunitario di Israele. Perché, prima ancora di essere un'etica, la religione è una celebrazione. Si tratta di un libro misterioso, poco letto, a prima vista difficile, in cui Mosè dopo aver appreso le leggi di Dio codifica nei minimi dettagli riti, sacrifici, parole e gesti di supplica o di offerta. Più che un semplice repertorio di norme da osservare (che sembrano elencate apposta per sconcertare e urtare il lettore del XXI secolo, più che edificarlo), il Levitico offre tuttavia una profonda riflessione teologica sulla liturgia. La manifestazione ieratica del divino davanti al popolo di Dio riunito in assemblea è brillantemente analizzata in questo commentario di Vogels. L'esegeta guida il lettore attraverso le sottigliezze di un libro che è parte indivisibile dalla Torah - anzi, il suo libro centrale, quello in cui troviamo l'affermazione: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Dietro tutte le complessità, le precauzioni, gli avvertimenti, che sono deliberatamente presentati in maniera ridondante al fine di raddoppiarne la solennità, nel Levitico viene annunciata la rivelazione che divamperà nel vangelo: Dio si lascia avvicinare dall'uomo, fino a farsi toccare. Una rilettura potente di alcune pagine fondamentali dell'Antico Testamento, pagine nelle quali Dio incontra coloro che egli ha scelto e che l'hanno scelto. «Il Levitico, un libro a prima vista poco attraente, "dona solo a chi ha già": a chi ha un certo gusto per la celebrazione liturgica e un desiderio di santità. Nulla di nuovo: uno che non ha il minimo interesse per lo sport non apprezzerebbe mai una partita della Nazionale o il Giro d'Italia» Walter Vogels.
L'obiettivo dell'evangelista Luca è presentare Gesù in modo che ognuno si senta coinvolto e trasformato dall'incontro con lui, nel proprio quotidiano. A servizio di questo incontro si pongono i commenti ai testi evangelici dell'Anno C, offerti in questo volume. L'autore, tenendo conto dei risultati di uno studio scientifico delle Scritture, conduce il lettore ad accogliere la Parola con cuore docile e sincero, incontrando così l'oggi della salvezza.
I vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono quattro resoconti della vita e degli insegnamenti di Gesù du Nazaret.
Il dottor Peter Williams esamina le prove contenute in fonti non cristiane, valuta quanto accuratamente i quattro resoconti biblici riflettano il contesto culturale del loro tempo, confronta i diversi resoconti degli stessi eventi e analizza come questi test siano stati tramandati attraverso i secoli.
Luca a più riprese propone il Dio di Gesù con il volto di colui che va incontro all'uomo, che lo accoglie, che lo perdona. Nel suo racconto si affaccia un vocabolo sconosciuto a Marco, la misericordia. Il legame tra questa narrazione e le vicende che caratterizzano la nostra società, le sue sofferenze, le sue domande, i suoi sogni, costituisce l'intreccio e la sfida più genuina del testo. Come i cristiani di ogni tempo, anche noi siamo invitati a tenere alto lo sguardo sul significato della tolleranza, della misericordia e del perdono per andare "oltre", oltre la rassegnazione e la paura, nel coraggio di porre gesti di solidarietà e fraternità per il superamento del male e il rinnovamento della vita in tutte le sue dimensioni. Questo è l'invito che scorre nella trama di queste pagine, rivolte in particolare a chi intende riscoprire alcuni inviti significativi del vangelo di Luca e riappropriarsi del significato del suo annuncio.
Prefazione di Ernesto Olivero.
Il racconto della Torah si apre con la narrazione di un omicidio, segno della violenza ontologica radicata nell'uomo. Caino e Abele hanno il compito di rappresentare ciò che vi è di più universale nella natura umana. L'Autore mostra come alcune tradizioni interpretative abbiano favorito una lettura tipologica e ideologica in cui i due fratelli sarebbero la prefigurazione di un antagonismo eterno tra ebraismo e cristianesimo. Ma un'attenta analisi di altre tradizioni esegetiche rivela come il racconto della Genesi sia più complesso di quanto sembri e sia imperniato su un dialogo tra i due fratelli abbozzato dal primo, neppure tentato dal secondo. Abele, che tutti aspiriamo a incarnare, è anche colui che non si è mai interessato di suo fratello. La domanda del dialogo deve essere posta all'Abele che è in noi, perché è lui che, nonostante le sue presunte virtù, non rivolge uno sguardo a suo fratello. L'impellente interrogativo «Dov'è Caino, tuo fratello?» può, quindi, riassumere lo spirito del percorso che qui si propone, provando a far dialogare due tradizioni esegetiche, ognuna delle quali ambisce ad essere la discendenza di Abele.
Quali sono i legami dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli con l'ambiente ebraico d'origine? È possibile rintracciare, attraverso il greco della koiné, le parole e le espressioni che consentono di risalire al contesto culturale e spirituale dell'ebraismo in cui viveva Yeshua ben Yosef (Gesù)? Yeshua, infatti, non parlava né in greco né in latino, ma in ebraico e in aramaico. Questo libro affronta con estremo rigore la sfida di rispondere a tali interrogativi, permettendoci così di scoprire - grazie a una nuova traduzione dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli - l'universo religioso e culturale in cui si è formato Yeshua. Poiché l'antigiudaismo ha avuto, e continua ad avere, un ruolo rilevante nella storia degli ebrei, abbiamo un motivo essenziale per studiare i testi cristiani: come è possibile che esso tragga origine e si alimenti dell'insegnamento di un giudeo come Yeshua? Piuttosto che declamare solenni e retoriche condanne dell'antisemitismo, i curatori del volume sono convinti che occorra un paziente lavoro di studio dei testi per scoprire le modalità attraverso le quali l'antigiudaismo si è inserito in scritti originariamente giudaici.
"In un certo periodo della mia vita sono stato cristiano" scrive Emmanuel Carrère nella quarta di copertina dell'edizione francese del Regno. "Lo sono stato per tre anni. Non lo sono più". Due decenni dopo, tuttavia, prova il bisogno di "tornarci su", di ripercorrere i sentieri del Nuovo Testamento: non da credente, questa volta, bensì "da investigatore". Senza mai dimenticarsi di essere prima di tutto un romanziere. Così, conducendo la sua inchiesta su "quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo", Carrère fa rivivere davanti ai nostri occhi gli uomini e gli eventi del I secolo dopo Cristo quasi fossero a noi contemporanei: in primo luogo l'ebreo Saulo, persecutore dei cristiani, e il medico macedone Luca (quelli che oggi conosciamo come l'apostolo Paolo e l'evangelista Luca); ma anche il giovane Timoteo, Filippo di Cesarea, Giacomo, Pietro, Nerone e il suo precettore Seneca, lo storico Flavio Giuseppe e l'imperatore Costantino - e l'incendio di Roma, la guerra giudaica, la persecuzione dei cristiani; riuscendo a trasformare tutto ciò, è stato scritto, "in un'avventura erudita ed esaltante, un'avventura screziata di autoderisione e di un sense of humour che per certi versi ricorda Brian di Nazareth dei Monty Python". Al tempo stesso, come già in "Limonov", Carrère ci racconta di sé, e di sua moglie, della sua madrina, di uno psicoanalista sagace, del suo amico buddhista, di una baby-sitter squinternata, di un video porno trovato in rete, di Philip K. Dick...
Sono riuniti in un unico volume articoli che, nel corso degli anni, hanno arricchito la ricerca sulle lettere paoline di Stefano Romanello. «Il frutto più evidente di questa pubblicazione è quello di mostrare come la riflessione teologica dell'apostolo Paolo sia inseparabile dai mezzi retorici con cui si esprime. Come egli stesso dice nella sua introduzione, "La retorica non è un metodo da assolutizzare, ma è una tappa del processo esegetico su lettere paoline. Al contempo ne è la tappa decisiva, in quanto permette di illustrarne l'intento comunicativo che ne ha governato la scrittura"» (dalla prefazione).
Il tema del vanto in Paolo è un tema generalmente disatteso dagli studi recenti. Esso ha goduto di singolare interesse fino al secolo scorso quale cifra sintetica dell'atteggiamento caratteristico del Giudeo ma anche di chiunque ostenti le proprie opere davanti a Dio per guadagnarne merito. A partire dall'indagine delle strategie intratestuali di Rm 1-5, la ricerca individua la funzionalità del lessico del vanto nel quale Paolo inscrive il profilo fondativo dell'identità credente. Il vanto giudaico è criticato non perché automeritorio o etnico, ma perché la giustizia di Dio rivelata nell'evento-Cristo implica uno statuto soteriologico dell'identità equiparato tra Giudei e Gentili, unicamente fondato sulla partecipazione alla fede di Gesù Cristo che nel vanto il credente dichiara.
Immersi come siamo in una vita frenetica, investiti da un flusso incontenibile di conoscenze, nozioni, pratiche sociali, prospettive di senso, diventa fondamentale avere un sismografo in grado di cogliere gli andamenti del nostro vissuto e una bussola per orientarci. Tutto questo è possibile attraverso la cura del mondo interiore. Tutto questo è possibile a partire da chi rappresenta un modello di riferimento, indicato come tale da diverse tradizioni religiose e culturali: Abramo. Una figura capace di inserirsi nel nostro cammino, attraverso un percorso quotidiano di meditazione semplice ma esigente, perché il protagonista non è più “l’altro” sconosciuto, distante da noi, ma siamo noi stessi, chiamati ad agire in prima persona. Questa proposta, adoperabile da tutti, si articola in 190 tracce di meditazione e 720 domande, secondo l’approccio di Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti e autore degli Esercizi spirituali.
Abramo ha avuto un’indiscussa centralità nella tradizione ebraica e in quella cristiana. Proprio per questo ognuna delle due tradizioni ne ha evidenziato quegli aspetti che considerava più congeniali e significativi. Momenti salienti della vita del patriarca, come la vocazione, la benedizione, la circoncisione e l’aqedah di Isacco, nonché tematiche come l’osservanza della Torah, sono stati interpretati secondo istanze teologiche e prospettive religiose diverse. Tuttavia, uno sguardo più attento ai testi permette di rinvenire fili comuni e di scovare prestiti da una tradizione all’altra. Se ne deduce che la realtà delle relazioni tra ebrei e cristiani nei primi secoli, anche e forse soprattutto dal punto di vista esegetico, era molto più aperta a contatti reciproci di quanto lasci credere l’applicazione rigida e precoce del modello della separazione tra le due strade. Anche in questo senso Abramo si dimostra «padre di molti».