Nato in un villaggio dell'Alta Sabina da una famiglia estranea alla vita politica romana, Vespasiano fu imperatore inaspettato. Riuscì a trarre vantaggio dalle competenze militari di cui diede prova nella guerra di Giudea e con un'attenta strategia si assicurò consensi nell'esercito e in politica. Agli eccessi dei Giulio-Claudi contrappose la modestia, chiave del successo del suo principato. Tra le pagine di questo libro riviviamo le tappe della sua ascesa e la determinazione con la quale elaborò il suo progetto dinastico.
Nella Germania, tra le poche opere etnografiche superstiti dell'antichità, composta probabilmente all'inizio del II sec. d.C., Tacito delinea a tutto tondo il ritratto degli antichi Germani: forti, coraggiosi, saldi moralmente, ma nonostante questo, ancora barbari e lontani dalla civiltà romana.
Questo scritto offre al suo autore anche l'opportunità per condannare la dilagante corruzione dei Romani e per far conoscere le istituzioni dei Germani che, a partire dal Medioevo, avranno un ruolo notevole nel quadro politico europeo. Il frequente confronto, più spesso lo scontro, tra mondo germanico e mondo latino nel corso dell'età moderna, a partire dalla riforma protestante fino al Novecento, farà della Germania uno dei testi classici più letti e discussi, anche se di frequente deformata da interpretazioni faziose, ideologiche e, come al tempo del nazismo, criminali.
Gli Epodi e le Odi di Orazio portano un soffio di novità nella tradizione poetica di Roma antica. Con i primi Orazio trapianta a Roma un nuovo genere d'invettiva letteraria: la sua indignazione verso personaggi ignoti o fittizi si fa più manierata rispetto all'aggressività dei giambi di Catullo, ma le forme metriche che egli elabora si fondano, per la prima volta, sull'originale adattamento dei più complessi metri usati da Archiloco di Paro.
Con le Odi il poeta si cimenta nel recupero delle forme della lirica greca arcaica (con particolare predilezione per Alceo), mai affrontato dai suoi predecessori, se si eccettuano gli eccentrici esperimenti di Levio e i pochi carmi prettamente lirici di Catullo. Un duplice rinnovamento letterario, riconosciuto, per il suo carattere epocale, dallo stesso Augusto, che ad Orazio affidò la composizione del solenne Carme secolare, a suggello dell'ammirazione per un poeta capace di esprimere in forme 'antiche' sentimenti moderni: dalla ricerca della vera felicità alla saggezza del modus, dalla malinconica consapevolezza della fuga del tempo alla gioia per i prudenti e pacati 'naufraghi' d'amore.
Le Consolationes senecane sono tre: Ad Marciam, Ad Helviam mater e Ad Polybium. Esse hanno l'obiettivo di consolare i tre personaggi, afflitti per la morte di qualcuno, attraverso argomentazioni filosofiche. La prima è rivolta a Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo, in seguito alla morte del figlio; l'opera vuole muovere una riflessione in particolare sul tema del suicidio, portando esempi di altre donne colpite dalla stessa disgrazia. La seconda consolati, la quale è addolorata per l'esilio in Corsica del figlio: egli però lo rassicura in quanto tale provvedimento non impedisce al saggio di dedicarsi all'otium. L'ultima consolazione è indirizzata a Polibio, il quale ha perso il fratello: Seneca, attraverso quest'opera, vuole in realtà tessere le lodi dell'imperatore Claudio per tornare dall'esilio a Roma.
Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) nasce a Cordoba, in Spagna, verso il 4 a.C., ma è a Roma che inizia gli studi retorici e filosofici. Prima sotto Caligola, poi anche sotto Claudio cade in disgrazia e viene esiliato in Corsica per otto anni. Richiamato a Roma da Agrippina, diviene precettore del figlio Nerone e poi nel 56 è nominato console: è ormai ai vertici della carriera politica. Nerone però intende seguire le sue ambizioni, eliminando tutti i possibili avversari. Seneca allora, fallito il sogno di un regno della filosofia, sceglie di ritirarsi a vita privata. Nel 65 si trova però coinvolto nella congiura dei Pisoni, per cui, rientrato dalla Campania, lo raggiunge la comunicazione della condanna capitale. Il filosofo allora decide di togliersi la vita; con quel gesto intendeva affermare che al saggio rimane ancora un'ultima libertà, cioè la morte.
"Alla lunga il dolore si consuma: anche il più ostinato, quello che insorge quotidianamente e si ribella alle cure, è spossato dal tempo, efficacissimo mitigatore delle violenze."
Nel rivalutare il ruolo di Cicerone nella storia del pensiero antico, i critici hanno recentemente sottolineato e apprezzato la passione con la quale egli rivendica un proprio spazio nel dibattito su uno dei principali motivi della filosofia ellenistica: la contraddizione tra le necessità del fato stoico il libero arbitrio. Composto nel 44 a.C., all'indomani della morte di Cesare, come ultimo momento di una riflessione teologica già avviata dall'Arpinate con i dialoghi De natura decorum e De divinazione, il trattato De fato segna inoltre il ritorno alla tecnica delle Tusculanae disputationes, con l'abulia fatalistica dei boni viri contrastata in un discorso continuo aperto alle soluzioni delle varie scuole di pensiero.
Saggio introduttivo, nuova traduzione e note a cura di:
Andrea Filippetti è dottore di ricerca in Filologia e Letteratura greca e latina e insegna Discipline Letterarie e Latino negli Istituti Scolastici di Istruzione Superiore della provincia fiorentina. Si è occupato soprattutto di medicina e poesia didascalica, di ritrattistica e fisionomica in Grecia e Roma antiche, seguendo anche la fortuna di concezioni scientifiche forme letterarie classiche fino al Rinascimento e al Barocco. Per i tipi di Rusconi Libri ha curato la traduzione commentata dei Remedia amori ovidiani (Santarcangelo di Romagna 2014), mentre per la Pisa University Press ha pubblicato Il remedium amori da Ovidio a Shakespeare (Pisa 2014), raccolta di tre suoi saggi - di cui uno inedito - sulla ricezione shakespeariana delle "cure per il mal d'amore".
Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.)
Nato ad Arpino, da famiglia agiata ma non nobile, nel 106 a.C., Marco Tullio Cicerone si forma, a Roma e in Grecia, presso grandi giuristi, retori e filosofi, percorrendo tutti i gradi del cursus honorum fino al consolato (ricoperto nel 63). Convinto assertore del conservatorismo repubblicano, ci lascerà una cospicua messe di orazioni e di opere retoriche, politiche e filosofiche (mentre delle sue prove poetiche ci giungeranno soltanto frammenti). Grazie al suo ricco e articolato epistolario, l'epoca dell'Arpinate è quella che meglio conosciamo di tutta l'Antichità. Sopravvissuto a Cesare, Cicerone è raggiunto e ucciso dai sicari di Antonio sulla spiaggia di Formia nel 43 a.C.
Riscoperta nel 1333 da Francesco Petrarca, l'orazione in difesa di Archia rappresenta un appassionato elogio della poesia e dell'humanitas, e pertanto divenne subito un testo chiave per la genesi del concetto stesso di umanesimo. Ma la Pro Archia è anche un'orazione profondamente politica, in cui Cicerone riflette, sullo sfondo della crisi della repubblica, sulla funzione sociale e civile della poesia.
Saggio introduttivo, nuova traduzione e note a cura di:
Daniele Pellacani è ricercatore on Lingua e letteratura Latina presso l'Università di Bologna. Si occupa prevalentemente di letteratura scientifica, e in particolare astronomica, e della ricezione dei testi antichi nella letteratura moderna e contemporanea.
MARCO TULLIO CICERONE (106-43 a.C.)
E' senza dubbio una delle figure più importanti della letteratura latina. Oratore straordinario, fu anche protagonista dellamvita politica del suo tempo, percorrendo da homo novus tutti i gradini del cursus honorem, fino al consolato del 63 a.C., durante il quale sventò la congiura di Catilina guadagnandosi il titolo di pater patriae. Dopo aver conosciuto l'amarezza dell'esilio (58 a.C.), fu confinato ai margini della scena politica, ma continuò, attraverso le opere retoriche e filosofiche, a portare avanti il suo progetto culturale, finalizzato alla formazione di una nuova classe dirigente, capace di affrontare la crisi in cui versava lo stato. Un progetto che Cicerone perseguì fino all'ultimo, quando, dopo le Filippiche, venne ucciso dai sicari di Antonio.
"Tutte le arti che formano la cultura hanno come un legame che le accomuna, e sono unite tra loro da una specie di parentela."
Le Storie Filippiche rappresentano uno dei perduti Graal della letteratura di Roma antica: una storia universale scritta in latino. Loro autore è un uomo di origine gallica, Pompeo Troppo: proprio mentre Tito Livio componeva la sua monumentale Storia di Roma, scelse invece di narrare ke vicende dei popoli più lontani, nel tempo e nello spazio. Al centro doveva spiccare la formidabile ascesa e caduta del regno macedone, da qui il titolo. Sfortunatamente, però, le Storie Filippiche sono andate perdute: tutto quello che ci resta è un Florilegio, composto qualche secolo dopo da un certo Giustino. La perdita è quindi parzialmente sanata? No: Giustino, pur limitandosi ad un'operazione apparentemente innocua come la selezione di brani, in realtà modifica nel profondo gli equilibri e le prospettive dell'originale. Il suo Florilegio, quindi, più che raccontarci la storia del mondo, rappresenta il biglietto di accesso a una camera delle meraviglie, in cui da ogni scaffale fa capolino qualcosa di stravagante: regine malvagie, sovrani obesi, bambini prodigio, fughe rocambolesche, passioni e enigmi.
Due fratelli gemelli, una moglie ricca e una giovane amante, un servo fedele e un parassita inaffidabile, un banchetto segreto e un mantello rubato: sono questi gli ingredienti che danno vita alla commedia dei Menecmi, che si struttura attorno allo schema dell'equivoco. I due Menecmi del titolo, identici per uno strano gioco del destino perfino nel nome, sono sulla scena - quasi paradossalmente - l'uno ignaro dell'altro e , in tal modo, generano confusione tra i vari personaggi della pièce, alimentando, con malintesi e ambiguità, una divertente serie di gag in una straordinaria comedy of errors.
"Questa del Dovere è una materia comune a tutte le scuole filosofiche: e infatti chi può mai avere l'audacia di chiamarsi filosofo, se nulla medita e insegna che riguardi il dovere?"
Le Tusculane si possono considerare sicuramente una delle più importanti opere filosofiche di Cicerone: esse raccolgono cinque dialoghi immaginari ambientati nella villa ciceroniana di Tuscolo e sostenuti da due anonimi interlocutori, conosciuti generalmente come A (Auditor) e M (Magister).
Queste disputationes, i cui singoli titoli evidenziano con chiarezza il contenuto dell'opera (come disprezzare la morte; come sopportare il dolore; come lenire le afflizioni; le altre perturbazioni dell'animo; a vivere in beatitudine la virtù è paga di se stessa), consentono al lettore di indagare la figura del retore e di comprendere che la retorica non è solamente un artificio precettistico, ma una macchina intellettuale piuttosto complessa.
"Questo africano gli richiamava in volto il sorriso. Nelle sue Metamorfosi il latino raggiungeva la pienezza: travolgeva seco limi, acque diverse, affluite da tutte le provincie; e tutte si mescevano, si confondevano in una tinta bizzarra, esotica, quasi nuova. Vezzi, particolari nuovi della società latina trovavano la loro piena espressione in neologismi scaturiti, in quell'angolo d'Africa romano, dalle necessità della conversazione. Inoltre 1o divertiva quella sua esuberanza di uomo evidentemente pingue, quella sua esuberanza meridionale. Apuleio gli appariva cosi come un gaio e salace mattacchione vicino agli apologisti cristiani che fiorivano nello stesso suo secolo: il soporifero Minucio Felice..." (J.-K. Huysmans, Controcorrente).