Il 17 settembre del 1915 Leo Spitzer prende servizio a Vienna presso l'Ufficio centrale della censura postale dell'esercito imperialregio, preposto al vaglio della corrispondenza dei prigionieri italiani. Dire «Ho fame» era proibito: era una minaccia per il prestigio dell'impero asburgico. Il censore Spitzer deve dunque intercettare e cassare ogni riferimento alla fame patita dai prigionieri, ma il linguista Spitzer non può lasciare che quel patrimonio di testimonianze vada perduto. Si ferma allora in ufficio oltre l'orario e copia centinaia di brani dalle lettere prima di coprire con l'inchiostro i passi incriminati. A guerra conclusa - è il 1920 - Spitzer pubblica "Perifrasi del concetto di fame": uno studio delle varianti, spesso geniali, inventate dagli italiani per non dire «Ho fame» e far comunque sapere ai propri cari che la soffrono, chiedendo l'invio di pacchi alimentari. Le lettere sono popolate da personaggi quali lo Zio Magno, Ugolino, la Signorina Uchefem, la Signora Bruttavecchia, i tenenti Spazzola, Magrini e Stecchetti. Quelle che Spitzer raccoglie sono voci di persone semplici, poco abituate alla scrittura; eppure le soluzioni, le espressioni in codice e i giochi linguistici escogitati dai prigionieri per descrivere la propria condizione sono degni di professionisti della parola. Dopo "Lingua italiana del dialogo" e "Lettere di prigionieri di guerra italiani", il Saggiatore pubblica "Perifrasi del concetto di fame", il volume che completa il trittico dedicato alla nostra lingua da Leo Spitzer. Un'opera in cui il linguista fa un grande dono all'umanità: salva le testimonianze di persone che hanno sofferto in uno dei periodi più duri della nostra storia e che senza la sua fatica la storia stessa avrebbe dimenticato, mentre ora possono sopravvivere nella memoria di tutti noi.
"Ho cercato di spiegare la maggior parte dei fenomeni propri dell'italiano parlato sulla base degli elementi costitutivi del dialogo tra due o più interlocutori" scrive Leo Spitzer nella prefazione. Basandosi su un metodo psicologico-descrittivo e fermamente convinto della peculiarità "intraducibile" e specifica di ogni lingua, per indagare sul "discorso orale 'corretto' di un generico parlante medio italiano" Spitzer cita numerosi esempi attingendo alla letteratura teatrale, Fogazzaro e De Amicis, a poeti dialettali come Porta, Belli, Trilussa e ai racconti popolari del siciliano Pitrè. Tra gli elementi linguistici considerati le forme di apertura e di chiusura del discorso. Alle porte della Prima guerra mondiale Spitzer si augura che "l'impero della pacifica parola" possa trionfare sull'imperialismo della baionetta e dei blocchi militari", confermando la propria vocazione umanista e il senso profondo del suo lavoro, che va ben oltre i freddi parametri accademici.