L'intensità espressiva delle "Epistole" poggia su un tono dimesso e colloquiale, quasi familiare. Orazio avverte che la "stagione bella", comunque la si sia vissuta, non ha più forza di essere protratta, con le sue impennate, le sue istanze sovvertitrici, con i suoi incanti e innamoramenti. Il futuro, anche se mai aveva voluto affrontarlo, è la morte, che non concede punti di fuga, non contempla alternative. Il contraltare a questa coscienza dell'ineluttabile, come spesso accade, è una strana serenità; se deve pagare un prezzo alla malinconia di una vicenda che troppo brevemente si esaurisce, la maturità ha in sé la saggezza di una minore intransigenza, di un più pacato impatto con le cose.
L'opera di Orazio si distende tra gli ultimi anni del torbido periodo delle guerre civili e l'età dell'assestamento del regime di Augusto. Se gli "Epodi" testimoniano delle tempeste contemporaneee trascrivono il disorientamento del poeta alla ricerca di un so ideale di misura che lo salvi dalle tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita, le "Odi", la sua opera più complessa e alta, sono una profonda meditazione sulla precarietà della vita, sull'amore e la morte, sulla bellezza. Motivo centrale è il "carpe diem", un invito a superare la immanente precerietà delle cose per godere dell'attimo, di cui si può, per un momento balugiante, essere padroni.