Il poeta Pananti, in odore di giacobinismo e quindi inviso alle autorità del Granducato di Toscana, agli inizi dell'Ottocento aveva abbandonato la madrepatria e aveva soggiornato dapprima in Francia e poi in Inghilterra. A Londra era diventato membro del rinomato Teatro Italiano. Una volta deciso a far ritorno nello Stivale, era stato raggirato da due lestofanti suoi connazionali, i quali dopo avergli sottratto i risparmi lo avevano imbarcato su un malandato brigantino. Quasi in vista della Sardegna, la nave era stata assalita dai pirati barbareschi e ciurma e passeggeri erano stati tradotti ad Algeri. Dopo un tormentoso periodò di schiavitù Pananti e i suoi compagni erano stati liberati per intercessione del console inglese. In questa seconda parte l'autore riferisce appunto di come, una volta affrancato, si dedicasse all'esplorazione della terra dei Berberi. Nell'esposizione dello scrittore toscano si succedono cammelli, fiere, serpenti e aracnidi, usi e costumi beduini, mauri e di minoranze più o meno integrate o sottomesse. Le osservazioni a carattere naturalistico ed etnologico fanno di Pananti il rappresentante di una memorialistica stilisticamente dinamica e raffinata.
Nel 1886, a Clermont-Ferrand, un giovane insegnante liceale di nome Henri Bergson viene a conoscenza degli esperimenti d'ipnosi di un bibliotecario locale. Incuriosito dai risultati apparentemente inspiegabili delle sedute, decide di assistervi e poi di sperimentare di persona. Ma è solo l'inizio di un interesse persistente per i fenomeni psichici, che ventisette anni più tardi porterà lo stesso Bergson alla direzione della "Society for Psychical Research". Nella lingua di uno dei maggiori scrittori di filosofia del '900, due saggi di parapsicologia, il cui vero tema sono l'inconscio come regolatore ultimo della vita psichica e una serrata critica all'assunto di fondo delle moderne scienze della natura, ovvero l'idea che il non misurabile neppure esista.