Henri Bergson concepiva l'insegnamento come un tutt'uno con l'elaborazione delle sue opere. Il corso tenuto al Collège de France nel 1902-1903, tradotto interamente in italiano, era dedicato al concetto di tempo nella storia della filosofia. In queste lezioni Bergson si confronta con Platone, Aristotele, Plotino, Galileo, Descartes, Spinoza, Leibniz, Newton e Kant. Nel cuore della metafisica occidentale il filosofo francese intravede una fondamentale negazione del tempo, impropriamente considerato come imitazione e riduzione di un'originaria eternità, inattingibile nell'immediato e esperibile solo per il tramite di un apparato simbolico. Alla luce di questa paradossale "falsa partenza" del pensiero occidentale, Bergson indica nella storia della metafisica la costante riproposizione dei suoi errori fondativi; ma vi intravede anche l'inesorabile cammino concettuale che, progressivamente, riconduce il tempo alla sua natura psicologica, quella della durata. Prefazione di Rocco Ronchi e postfazione di Camille Riquier.
Il comico in generale, il comico delle forme ed il comico dei movimenti, forza d'espansione del comico, il comico delle situazioni, il comico delle parole, il carattere comico. Henri Bergson uno dei più grandi filosofi contemporanei, ricevette nel 1928 per la sua produzione il premio Nobel.
«Mentre ho voluto determinare i procedimenti di produzione del comico, ho cercato anche quale sia l'intenzione della società quando ride. Perché stupisce troppo il fatto che si rida, e che il metodo di spiegazione di cui parlavo più sopra non chiarisca questo piccolo mistero. Non vedo, per esempio, per qual motivo la "disarmonia", in quanto tale, dovrebbe suscitare in chi ne è testimone una manifestazione così specifica come il riso, mentre tante altre proprietà, qualità o difetti lasciano impassibili i muscoli del viso dello spettatore. È quindi ancora necessario cercare quale sia la causa particolare della disarmonia che crea l'effetto comico; e l'avremo realmente trovata solo se riusciremo a spiegare perchè, in tal caso, la società si senta tenuta a manifestarsi. Nella causa del comico ci deve pur essere qualcosa che attenta leggermente (ma che attenta specificatamente) alla vita sociale, poichè la società vi risponde con un gesto che ha tutta l'aria di una reazione difensiva, con un gesto che fa lievemente paura. È di tutto questo che ho voluto render conto.» (Henri Bergson)
Vengono qui presentate per la prima volta tutte le lettere disponibili dello scambio epistolare intercorso fra Henri Bergson e William James fra il 1902 e il 1910, anno della morte di James, integrate dai testi (lettere ad altri corrispondenti, saggi, articoli) che documentano la storia di una straordinaria amicizia filosofica. L'incontro fra il filosofo francese e lo psicologo e filosofo americano non fu dettato soltanto dalle affinità concettuali ed esistenziali, ma soprattutto dall'esigenza di ripensare su basi rinnovate il programma di ricerca della filosofia. A unirli con un legame profondo erano il rifiuto dell'intellettualismo, la critica della metafisica di scuola come dello scientismo positivista, ma anche l'idea che per la filosofia fosse venuto il tempo di ritornare a parlare la lingua viva dell'esperienza. Solo così la filosofia si sarebbe potuta mostrare all'altezza del secolo che si stava aprendo e delle nuove esigenze teoretiche che proprio la nuova scienza aveva posto sul tappeto. Il dialogo Bergson-James è una pietra miliare nella storia intellettuale del Novecento, di cui solo oggi si comincia ad apprezzare la straordinaria portata.
Nel 1886, a Clermont-Ferrand, un giovane insegnante liceale di nome Henri Bergson viene a conoscenza degli esperimenti d'ipnosi di un bibliotecario locale. Incuriosito dai risultati apparentemente inspiegabili delle sedute, decide di assistervi e poi di sperimentare di persona. Ma è solo l'inizio di un interesse persistente per i fenomeni psichici, che ventisette anni più tardi porterà lo stesso Bergson alla direzione della "Society for Psychical Research". Nella lingua di uno dei maggiori scrittori di filosofia del '900, due saggi di parapsicologia, il cui vero tema sono l'inconscio come regolatore ultimo della vita psichica e una serrata critica all'assunto di fondo delle moderne scienze della natura, ovvero l'idea che il non misurabile neppure esista.
Come la vita della coscienza, la vita biologica non è una macchina che si ripete sempre identica, ma è continuo e incessante mutamento, è vita sempre nuova che, conservando l'intero passato, cresce su se stessa. Così la nozione fondamentale di evoluzione creatrice permette a Bergson, e a tutto il pensiero del Novecento, di oltrepassare l'opposizione tra meccanicismo e finalismo, tra materia e vita, tra animale e umano. Pubblicata nel 1907, "L'evoluzione creatrice" costituisce un momento di svolta i cui effetti ricadranno ben oltre i limiti della sua disciplina e varranno a Bergson, primo tra i filosofi, il premio Nobel per la Letteratura. La profondità di cui è gravida la sua opera principale - cui si deve il merito, tra gli altri, di rompere i confini fra filosofia, scienza, letteratura e teologia - rende queste pagine, ancora oggi, un punto di partenza ineludibile per immaginare il futuro del pensiero occidentale.
"Mentre ho voluto determinare i procedimenti di produzione del comico, ho cercato anche quale sia l'intenzione della società quando ride. Perché stupisce troppo il fatto che si rida, e che il metodo di spiegazione di cui parlavo più sopra non chiarisca questo piccolo mistero. Non vedo, per esempio, per qual motivo la "disarmonia", in quanto tale, dovrebbe suscitare in chi ne è testimone una manifestazione così specifica come il riso, mentre tante altre proprietà, qualità o difetti lasciano impassibili i muscoli del viso dello spettatore. È quindi ancora necessario cercare quale sia la causa particolare della disarmonia che crea l'effetto comico; e l'avremo realmente trovata solo se riusciremo a spiegare perchè, in tal caso, la società si senta tenuta a manifestarsi. Nella causa del comico ci deve pur essere qualcosa che attenta leggermente (ma che attenta specificatamente) alla vita sociale, poichè la società vi risponde con un gesto che ha tutta l'aria di una reazione difensiva, con un gesto che fa lievemente paura. È di tutto questo che ho voluto render conto." (Henri Bergson)
L'energia spirituale raccoglie i più importanti saggi bergsoniani riguardanti "problemi di filosofia e di psicologia". Benché il titolo possa trarre in inganno, gli scritti riuniti in questo libro, tutti piccoli capolavori di lucidità, testimoniano il serrato confronto con le scienze caratteristico del gesto filosofico di Bergson. Le riflessioni sviluppate qui gravitano attorno al tema del rapporto mente-corpo, evidenziando il filo rosso che lega la filosofia della mente di Materia e memoria alla metafisica della vita dell'Evoluzione creatrice,e anticipando i problemi che saranno trattati nelle Due fonti della morale e della religione. Ma in queste pagine Bergson mette soprattutto alla prova il suo arsenale di invenzioni concettuali (durata, slancio vitale) nello studio di particolari fenomeni psichici, parte dei quali era stata oggetto delle ricerche di Freud in quegli stessi anni, e sviluppa una teoria della memoria e del cervello, basata sull'idea di "attenzione alla vita", che costituisce ancora una sfida per le scienze cognitive. Nelle folgoranti pagine sul sogno, il déjà-vu, l'oblio e il sonnambulismo, ritroviamo inoltre l'asse portante dei celebri studi di Deleuze sul tempo nell'immagine cinematografica.
"Durata e simultaneità" è l'opera in cui Henri Bergson discute i presupposti e gli esiti della teoria della relatività. La questione riguarda il tempo, che dopo la grande rivoluzione teorica formulata da Einstein, sembra dover rinunciare alla propria unità e indivisibilità. Ma per il filosofo le cose devono essere affrontate nella loro concretezza. E la concretezza del tempo, per Bergson, non sta affatto nella sua misura, ma nella sua durata. Ancora oggi attualissimo, questo testo è una delle testimonianze fondamentali del modo in cui scienza e filosofia possono confrontarsi e scontrarsi su un terreno comune e rivelare così la natura dei propri metodi e il senso del proprio lavoro.