Nelle sue tavole, Giuseppe Novello, accompagnò per mezzo secolo la vita quotidiana di una borghesia di cui conosceva i difetti e i limiti, ma li "cantò" con un segno sferzante e tuttavia privo di livore o di astio. In esso non c'era nulla di corrosivo, ma, anzi, una solidarietà umana quasi affettuosa per un mondo di cui anch'egli si sentiva, ed era, espressione. Al punto di rappresentarsi spesso, piccolo e anonimo, nelle avventure minime della sua epopea minima. Un mondo, comune a molte famiglie, fatto di piccole gioie, dolori ridicoli e modesti eroismi, di parenti poveri, bambini brutti e zitelle rinsecchite.
Con le sue tavole, che darebbe un po' irriguardoso definire vignette, Giuseppe Novello ha accompagnato per mezzo secolo, lungo almeno un paio di generazioni fino agli anni '60, la vita quotidiana di una borghesia che da allora, nonostante i cambiamenti del costume, è rimasta nel profondo uguale a se stessa. Con la passione di un entomologo e l'ironia di un poeta crepuscolare, colse le debolezze, i vizi e le ipocrisie che, in modo più o meno consapevole, definiscono il ridicolo della vita. Per tutti i suoi personaggi ebbe uno sguardo benevolo, talora amaro, in cui, alla fine, lo sberleffo si muta non di rado in buffetto.