Avevano fatto entrambi la Grande Guerra da alpini, lo scrittore Paolo Monelli e il pittore Giuseppe Novello; anni dopo vollero raccontarla insieme in questo libro, uscito nel 1929 "sotto gli auspici dell'Associazione Nazionale Alpini". Monelli era un giornalista affermato e aveva alle spalle il grande successo del suo diario di guerra "Le scarpe al sole"; Novello aveva invece cominciato da poco, proprio sulla rivista dell'ANA "L'Alpino", quell'attività di disegnatore esercitata poi per decenni sui giornali, che lo ha rivelato come uno dei maggiori umoristi italiani del Novecento. Il piatto forte del libro sono appunto le 46 spassosissime tavole in cui Novello affila la sua ironia a un tempo feroce e affettuosa; il testo di Monelli che le accompagna è anch'esso a suo modo una galleria di vignette, di aneddoti di guerra alpina un po' malinconici e un po' ridanciani. Insieme, parole e immagini compongono un libro unico, che celebra gli alpini e il loro mito ma insieme ne sorride, che racconta senza retorica la guerra ma non sa evitare, ricordandone l'esperienza umana, una misura di nostalgia.
Nelle sue tavole, Giuseppe Novello, accompagnò per mezzo secolo la vita quotidiana di una borghesia di cui conosceva i difetti e i limiti, ma li "cantò" con un segno sferzante e tuttavia privo di livore o di astio. In esso non c'era nulla di corrosivo, ma, anzi, una solidarietà umana quasi affettuosa per un mondo di cui anch'egli si sentiva, ed era, espressione. Al punto di rappresentarsi spesso, piccolo e anonimo, nelle avventure minime della sua epopea minima. Un mondo, comune a molte famiglie, fatto di piccole gioie, dolori ridicoli e modesti eroismi, di parenti poveri, bambini brutti e zitelle rinsecchite.
Con le sue tavole, che darebbe un po' irriguardoso definire vignette, Giuseppe Novello ha accompagnato per mezzo secolo, lungo almeno un paio di generazioni fino agli anni '60, la vita quotidiana di una borghesia che da allora, nonostante i cambiamenti del costume, è rimasta nel profondo uguale a se stessa. Con la passione di un entomologo e l'ironia di un poeta crepuscolare, colse le debolezze, i vizi e le ipocrisie che, in modo più o meno consapevole, definiscono il ridicolo della vita. Per tutti i suoi personaggi ebbe uno sguardo benevolo, talora amaro, in cui, alla fine, lo sberleffo si muta non di rado in buffetto.