Perché noi sentiamo Leonardo così vicino e così presente e vivo? È un artista che può determinare soggezione, perché nessuno dubita che Leonardo abbia un genio che lo rende diverso dagli altri uomini; però, quella di Leonardo è una diversità che non comporta lontananza e distacco. Questo accade, credo, perché Leonardo è un artista imperfetto. Leonardo assomiglia a noi uomini che non siamo geni assoluti. Ciò che caratterizza Leonardo è un continuo sforzo di capire il mondo, di sperimentare ma senza mai arrivare a compimento e senza mai scegliere una disciplina in cui manifestare o portare a compimento tutta la sua capacità. Il tentativo in lui è stato sempre più urgente che non la realizzazione. Il pensiero più forte e importante che non la realizzazione. Leonardo è il genio dell’imperfezione, un geniale dilettante. Forse è questo a rendercelo così vicino: sapere che in fondo ha sbagliato.” Vittorio Sgarbi
Nel cinquecentesimo della morte di Leonardo, sulla scia di uno spettacolo che ha registrato i teatri di tutta Italia, Vittorio Sgarbi compone un ritratto inedito di Leonardo, raccontandone le imprese e le opere, il contesto artistico in cui è cresciuto e la straordinaria risonanza che ha avuto lungo i secoli, fino a Duchamp, fino a Dalì, fino a noi. Leonardo. Il genio dell’imperfezione Vittorio Sgarbi
“Per Vittorio Sgarbi l’arte ubbidisce al suo fine se è poesia, e la poesia è qualcosa che una volta corteggiava il sublime e che oggi lui chiama anima.” – Angelo Guglielmi
“Sgarbi suggerisce e fa conoscere una congerie di pittori, scultori, architetti, designer, tutti magnifici, che rappresentano il telaio storico-culturale dell’arte del nostro tempo.” – Italo Zannier
Tratto dallo spettacolo teatrale che ha conquistato tutta l’Italia.
Da Puškin a Mandel’štam a Brodskij, la letteratura russa ha continuato a sognare, evocare, scoprire l’Italia. E nessuno meglio di Pavel Muratov – che vi giunge nel 1907, subito avvertendo un «turbamento dello spirito, dolce fino al malessere», e fra il 1911 e il 1912 pubblica, con enorme successo, Immagini del­l’Italia – può svelarci le ragioni di questa «italomania». A Venezia, spiega, «noi beviamo il vino dell’oblio ... Tutto quanto è rimasto alle nostre spalle, tutta la nostra vita precedente diviene un fardello leggero». E gli artefici del Rinascimento gli appaiono «semidei», «eroi del mito», un antidoto al­l’«accidia della vita russa», a Dostoevskij e Tolstoj. Non a caso nel 1923, invitato a Roma per una serie di conferenze, lascerà per sempre la Russia. «Apparteneva a quella schiera di scrittori come Ruskin e Walter Pater,» ricorda l’amico Sciltian «e aveva più sensibilità e talento di Berenson». Ma non è la sconfinata cultura che apprezzavano Savinio e De Chirico, De Pisis e Longhi a rendere, ancor oggi, la lettura di Muratov una rivelazione. Né l’influsso di Pater, Stendhal e Gogol’. Semmai, il suo procedere per folgorazioni lungo un pellegrinaggio che diventa «ricerca delle proprie radici spirituali» (Petrowskaja); la sua capacità di trasmetterci la vita delle opere d’arte; lo sfavillio delle ecfrasi e l’incanto di una lingua in virtù della quale una guida si trasforma in un «libro poema»; l’inclinazione a restituire atmosfere ed epoche attraverso la letteratura: da Casanova alla Divina Commedia, da Gozzi a Webster, miracolosamente prossimo alla «saggezza algida e scettica» del Cinquecento.
La storia e l'eredità della scuola fondata nel 1919 da Walter Gropius sono inseparabili dalla vicenda della Repubblica di Weimar. "Ma il Bauhaus non si limitò a riflettere gli alti e bassi della realtà: cercò anche di mutarla. Quando si voleva eternare il caos, il Bauhaus rivendicò, con Gropius, l'ordine. Quando più tardi si cercò di eternare l'ordine vacillante e oppressivo della razionalizzazione industriale, il Bauhaus, con Meyer, si adoperò per dare a questa razionalizzazione un contenuto sociale". Nel dopoguerra Tomás Maldonado dovette fare i conti con l'esperienza del Bauhaus quando, con altri, avviò a Ulm la Hochschule für Gestaltung, la nuova scuola di progettazione che ha segnato in modo indelebile la storia del design nel secondo Novecento. E in diverse circostanze prese posizione nei confronti della "tradizione Bauhaus", con un atteggiamento critico e controcorrente che voleva riportarne il lascito culturale dal piano del mito a quello della realtà. La collezione di scritti, lettere e interventi risalenti al lungo periodo tra il 1955 e il 2009 si confronta con uno snodo storiografico decisivo per il design e solleva una serie di questioni ancora attuali: il rapporto tra arte e design, la formazione dei progettisti, l'importanza della scienza per l'attività progettuale e, non per ultimo, il ruolo politico e la responsabilità del designer nei confronti dei grandi problemi sociali e ambientali del nostro tempo. Ogni critica al Bauhaus è in realtà per Maldonado un'occasione per discutere questioni contemporanee e questa raccolta, esplorando la discontinuità fra il passato e la nuova visione pedagogica e sociale di Ulm, ne rivela la straordinaria modernità.
Berlino è famosa per essersi sempre radicalmente reinventata. Vi è tuttavia una forte tradizione che ha caratterizzato lo sviluppo architettonico di Berlino in ogni epoca: lo sguardo rivolto all’arte dei Paesi mediterranei.
Basta una passeggiata per scoprire molti, sorprendenti parallelismi, dal castello barocco di Schlüter (l’antica Roma!) passando per il Forum Fridericianum e il teatro anatomico della scuola veterinaria (Palladio! Vicenza!), fino alla ricostruzione della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche dopo il 1945 e all’ala progettata da Franco Stella per il castello, recentemente ricostruito.
Horst Bredekamp mette in luce inedite analogie e scrive la storia di una passione mediterranea capace di plasmare uno scenario urbano inconfondibile, legato a doppio filo non solo col potere e le sue rappresentazioni, ma anche con struggimenti e recondite speranze.
Roma, XVII secolo: l'inquieto artista conosciuto come Caravaggio conduce una vita turbolenta. È spesso coinvolto in risse, cede volentieri alla seduzione del vino. Nessuno, però, osa mettere in discussione il suo talento artistico. Eppure, quando la rivalità con il brutale Giovanni Roero, cavaliere dell'Ordine di Malta, gli fa commettere un errore fatale, sarà impossibile proteggerlo. Giorni nostri. Nel villaggio di Monte Piccolo, un sacerdote afferma di aver scoperto un quadro del famoso artista nel magazzino di un orfanotrofio. A.R. Richman, professore in pensione, studioso di Caravaggio, crede che sia una fantasia delirante. Ma Lucia, una studentessa d'arte, lo convince a indagare sul ritrovamento. Il quadro rappresenta il bacio di Giuda e mentre Richman e Lucia cercano di risalire alla sua provenienza scoprono una scia di sangue che arriva fino al ventunesimo secolo. Omicidi, tradimenti e vendette: e qualcuno è disposto a uccidere purché quella storia rimanga sepolta...
Agli occhi dei moderni, quel che distingue Vermeer dai suoi contemporanei è l'aura enigmatica che promana dai suoi dipinti. Questa originalissima qualità poetica è esattamente il tema di questo libro, ma non è vista come una dimensione misteriosa e ineffabile, bensì come il risultato di una deliberata scelta dell'artista. Attraverso un'analisi puntuale delle opere del pittore olandese, della loro struttura e del loro contenuto, Daniel Arasse mostra quindi come la scena d'interno diventi in Vermeer pittura dell'intimità, di una sfera privata e inaccessibile. Ed è proprio questa intimità, nella sua impenetrabile visibilità, il soggetto dei dipinti della "sfinge di Delft".
La Marilyn Orange di Andy Warhol è un quadro semplice: un viso apparentemente statico e popolare diventa mobile, pulsante e raffinato, pienamente inserito nella storia della pittura e teso a parlarci del desiderio. Non soltanto del desiderio erotico, ma più generalmente del desiderio dell'altro. Una tensione che si traduce in azione e reazione, attrazione e paura, impulso alla tenerezza ma anche all'aggressività. Quasi una voglia di divorare e divenire l'altro, destinata, proprio per i suoi lati complessi e pericolosi, a rimanere sempre incompiuta. Ma proprio questa mancata soddisfazione spinge al fare, al pensare, al volersi perfezionare. Come accadde ai due protagonisti di questa icona, Marylin Monroe e il suo autore, e come anche ci insegnano secoli di letteratura sul percorso amoroso.
Lo sguardo di Daniel Arasse ha fatto innamorare generazioni a quell'avvenimento unico che chiamiamo "Rinascimento italiano", la sua nascita e le sue figure. Tra queste, l'irripetibile itinerario di Leonardo Da Vinci, finalmente in edizione italiana.
Stefan Klein, sulla base delle testimonianze più autorevoli e di una lettura attenta dei suoi scritti, entra con prosa avvincente nei dettagli della sua vita di uomo e di scienziato infiammato dal desiderio di conoscenza. Se c'è un personaggio storico che merita di essere definito «genio universale», nessun dubbio che esso sia Leonardo da Vinci, semplicemente un gigante. Leonardo è stato a tutti gli effetti il primo visionario della storia, ha inventato un nuovo modo di pensare e ha rivoluzionato ogni campo della conoscenza a cui si è applicato. Progettò i primi automi funzionanti, immaginò i computer digitali, affrontò i primi studi accurati di anatomia, inventò le prime macchine volanti, rivoluzionò l'ingegneria militare. Noi celebriamo giustamente Leonardo come il pittore che ha rivoluzionato l'arte del Rinascimento, l'artista del Cenacolo e della Gioconda, ma in realtà i suoi contemporanei lodavano e corteggiavano in lui più l'ingegnere, l'architetto, l'inventore di marchingegni terribili e portentosi, colui che impersonava una nuova era grazie alle sue scoperte meravigliose.
Michel Pastoureau ripercorre la storia sociale e artistica degli stemmi medievali, ne presenta le principali regole e mostra come l'immagine araldica non sia affatto come le altre, soffermandosi sul significato di figure e colori. Un'opportunità per correggere una serie di equivoci e sottolineare l'influenza che i blasoni hanno esercitato nelle diverse epoche: la maggior parte delle bandiere, dei loghi aziendali, delle insegne militari, degli emblemi sportivi e persino dei cartelli stradali è infatti erede contemporanea dello stemma medievale. Il libro è illustrato da oltre 130 capolavori araldici, scelti tra arazzi, sculture, dipinti e smalti, per catturare la portata estetica di un'arte spesso sconosciuta.
ALESSANDRO CARRERA
Il colore del buio
Una cripta ultraterrena dalla quale si esce più vivificati che mai, una camera oscura dove la luce si fa oscurità e l’oscurità si fa luce: la Rothko Chapel è dedicata a nessuna religione, a tutte le religioni, ma soprattutto celebra il credo dell’artista che l’ha concepita, la religione della luce in ogni suo apparire, inclusa la sua assenza, incluso il nero. Nel percorso interiore tracciato dalla geometria ottagonale del luogo essa insegna a riconoscere il colore del buio, cogliendo quella che è l’altra faccia dell’ossessione occidentale per lo splendore del sole: il mistero potente dell’ombra.
Alessandro Carrera è professore di Italian Studies e di World Cultures and Literatures alla University of Houston, in Texas. Tra i suoi libri ricordiamo «La consistenza della luce» (Feltrinelli, 2010) e «Fellini’s Eternal Rome: Paganism and Christianity in Federico Fellini’s Films» (Bloomsbury, 2019). Ha tradotto le canzoni e le prose di Bob Dylan (Feltrinelli, 2016-17).
Il volume raccoglie per la prima volta sei saggi scritti da Ernst H. Gombrich nell’arco di quasi mezzo secolo. Ciò che li lega è il rapporto tra immagini e parole: parole che generano immagini, le accompagnano e vengono poi usate per descriverle; parole che designano movimenti artistici, parole scritte nei documenti che rivelano quello che l’immagine non potrebbe mai dire e così via. Facendo reagire fra loro lettere e linee, frasi e colori, Gombrich ci porta al cuore del rapporto ambiguo tra produzione linguistica e artistica attraverso gustosi e imprevedibili esperimenti di lavoro su singoli testi, scritti e figurati, nella convinzione che «tutto ciò che si scrive sull’arte, a conti fatti, consiste in parole e immagini». Un libro che chiarisce ciò che sembra oscuro e complica ciò che appare semplice, e così facendo ci insegna ad aprire gli occhi su quello che ci sta intorno, parole o immagini che siano.