
Nella sua Nuova Pianta di Roma del 1748 Giovanni Battista Nolli presentò per la prima volta la Città Eterna come un organismo compiuto: suddivisa in dodici tavole, la pianta riproduce Roma in tutti i suoi meccanismi, facendo emergere i “vuoti”, esterni e interni, ottenuti per sottrazione dalle aree edificate.
A quasi duecentocinquant’anni di distanza, nel 1978, il progetto “Roma interrotta” fu concepito da Piero Sartogo e promosso dagli Incontri Internazionali d’Arte per sottolineare come a Roma si fosse fermato ogni impulso di progettazione e come la Pianta del Nolli rappresentasse la prova di un’interruzione che trovava nella politica e nella cultura le motivazioni di tale stasi. Dodici architetti di fama internazionale furono invitati a riflettere sulla possibilità di qualcosa di grande e duraturo che desse un’effettiva modernità e attualità alla città; un modo per annullare secoli di inerzia e speculazione edilizia e ripartire riferendosi al Nolli come “ultimo esercizio di progettazione coerente”.
Il valore storico di questa iniziativa, il cui successo fu coronato da numerose esposizioni nel mondo, fu ribadito nel 2008 da Aaron Betsky, direttore della 11. Biennale Architettura di Venezia, che decise di esporre “Roma interrotta” alle Artiglierie dell’Arsenale. Nel 2013 i progetti originali di “Roma interrotta”, testimonianza di rilievo della cultura architettonica del Novecento, sono entrati nelle collezioni del MAXXI Architettura che li ripropone al pubblico e agli studiosi.
Il mondo di Tony Pagoda è grande, non si lascia contenere da un solo libro. E così eccolo di nuovo, presentato dall'ex cognato Ughetto De Nardis. Ughetto parla di "nuove esperienze" che a lui non sono piaciute per niente. Noi possiamo, con Pagoda, parlare di vecchi e nuovi amici, di tutti gli incontri che Tony ha continuato ad avere nel mondo che più gli piace, quello compreso fra lo spettacolo di chi fa spettacolo e lo spettacolo delle vite pubbliche. Fabietto e Carmen Russo, il mago Silvan e Tonino Paziente, Maurizio Costanzo e Jacqueline O'Rourke. Ogni occasione è buona per far mostra di una copiosa morale dell'assurdo che è diventata cifra stilistica, segno inconfondibile. Tony Pagoda non teme la risata, non teme la lacrima, non teme la sprezzatura, o lo sfottò. Con lui ci facciamo portare dentro un'umanità che mai avremmo visto così, con cui mai avremmo pensato di compatire. Ma questa volta è come se la voce di Tony raddoppiasse in quella del suo creatore, che infatti sentiamo arrivare, più si avvicina il congedo, ad aprirsi un varco, a lasciare un'impronta. Interprete del nostro tempo, Tony Pagoda è pur sempre il protagonista, lui e le sue tirate, come Falstaff: "L'umanità, dunque, è miserabile. Non si discute su questo. Eppure, non è stato inventato ancora niente di meglio. Perché, quando si palpita, si palpita. Tutte le emozioni della vita non hanno senso. Si addizionano tra loro, incongrue, per accumulo. Compongono la vita, come una lista della spesa. E questo, infine, è il senso".
Carlo Verdone si racconta per la prima volta in un flusso di ricordi ricco, sorprendente, tenero ed esilarante. Si parte dalla giovinezza e dal vissuto nella mitica casa paterna, grande protagonista del libro: l'incontro con Vittorio De Sica, il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi famigliari. E poi il cinema: i primi passi al Centro Sperimentale sotto la guida di Roberto Rossellini, la genesi dei film, i retroscena, gli aneddoti più inediti e divertenti, il rapporto con gli attori. Quindi le amicizie che hanno segnato la sua vita: Sergio Leone, Federico Fellini e Massimo Troisi. E senza tralasciare il grande amore di Carlo per la musica: i primi concerti di Beatles e Who, gli incontri con David Bowie, David Gilmour e Led Zeppelin. Un libro per scoprire un "privato" inedito e i molteplici aspetti di un regista, attore, autore che ha ammaliato, divertito, fatto riflettere generazioni di italiani. Un artista che - attraverso la sua trentennale carriera - ha tracciato un formidabile, lucido, disincantato e talvolta spietato ritratto del nostro paese.
Uno splendido libro fotografico, per ripercorrere il primo anno di pontificato di Papa Bergoglio. Dall'attesa dell'"habemus Papam" in quella piovosa serata di marzo 2013, alla GMG di Rio de Janeiro, ai tanti incontri con i bambini, gli anziani, gli ammalati, le famiglie...: la cronaca di un anno che ha cambiato il volto della Chiesa. Le splendide foto sono corredate da agili testi che permettono di delineare la personalità e i gesti "rivoluzionari" del Papa venuto dalla "fine del mondo".
Il volume mette a fuoco, da diverse angolature, la qualità e lo spessore dell'estetica di Maritain quale parte fondativa del suo pensiero filosofico sia in specifici approfondimenti, sia nella dimensione trasversale di sintesi e di relazione con la contemporaneità, evidenziandone l'riginalità. Se da una parte, infatti, si ha modo di ripercorrere la costruzione estetica che Maritain muove sulle poderose tracce di san Tommaso, dall'altra ci si rende subito conto quanto, in tale costruzione, sia a tema non una pura teoria ma piuttosto la vitalità di quel pensiero e il modo per raggiungerlo, in un continuo confronto con il contemporaneo, con il presente, ma soprattutto con l'esperienza degli artisti.
Viktor Lazarev ha consegnato alla storia dell'arte un'opera di riferimento sulla pittura bizantina, contribuendo sostanzialmente a definirne un quadro complessivo e coerente. Il termine "bizantino", applicato talvolta come etichetta alle opere di altri contesti, era stato spesso sminuito e alterato nel suo valore storico-artistico. Lazarev ha cercato di restituire all'arte di Bisanzio e delle province bizantine i loro caratteri essenziali, ricostruendo le fasi del loro sviluppo: dai monumenti del VI secolo alla dissoluzione di un impero e di una cultura sopravvissuti alle ragioni che ne avevano reso possibile la nascita. L'opera non è la semplice traduzione dell'originale russo apparso nel 1947-1948: essa venne radicalmente riveduta e ampliata dall'autore in vista della prima edizione einaudiana apparsa nel 1967, divenendo cosi uno dei punti di riferimento classici per la storia dell'arte e della bizantinistica. Per queste ragioni, dopo la seconda edizione nel 1981 (BSA), l'opera viene ora riproposta.
Nel 1956 Palazzo Strozzi ospitò la "Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino". Si trattava della prima importante rassegna dedicata al protagonista di un movimento che aveva da poco avuto una piena rivalutazione critica. Quasi sessant'anni dopo Palazzo Strozzi ripropone una mostra dedicata al Pontormo insieme all'altro principale protagonista di quel movimento, Rosso Fiorentino. Entrambi nacquero nel 1494, in un momento storico in cui Firenze e l'Italia assistevano alla rottura dell'equilibrio politico che aveva garantito loro prosperità e sicurezza, sul principio di una travagliata età di scontri religiosi e politici che avrebbero portato a un mutamento definitivo degli equilibri fra gli Stati. I due artisti, con attitudini e vicende che, a partire dal comune apprendistato alla bottega di Andrea del Sarto, si sarebbero sempre più distinte e allontanate, furono in egual misura artefici della trasformazione dei concetti di armonia ed equilibrio che avevano caratterizzato l'arte rinascimentale. Attraverso le opere dei due massimi protagonisti fiorentini della pittura che la critica novecentesca ha definito "manierista", il catalogo intende seguire lo svolgimento cronologico di quel movimento che Giorgio Vasari colloca agli inizi della "maniera moderna".
"Recita dell'attore Vecchiatto" comprende la risistemazione di larghe parti di due opere che celebrano la figura di Attilio Vecchiatto, grande attore shakespeariano, ma al contempo amara metafora della situazione attuale del nostro paese: "Recita dell'attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto" e "Sonetti del Badalucco nell'Italia odierna". L'intervento di Celati è molto profondo e riunifica autenticamente le due opere in un nuovo testo compatto e toccante. "Attilio Vecchiatto (1910-1993) è stato un attore italiano di fama internazionale, ammirato da Laurence Olivier, Jeanne Moreau e molti altri. Dopo trent'anni di tournée in Sud America, sbarcato nel 1965 a New York, aveva creato il suo piccolo teatro shakespeariano, in un quartiere italiano del Bronx. Invitato in Francia nel 1976, aveva portato in giro i suoi adattamenti shakespeariani in molti paesi europei, ottenendo notevoli successi. Nonostante la notorietà all'estero, in Italia, al suo ritorno assieme alla moglie Carlotta, nel 1988, non è riuscito a trovare lavoro da nessuna parte, tranne che nel piccolo teatro di Rio Saliceto." (Gianni Celati)
In Cimbelino Shakespeare compie un tentativo consapevole di unire la storia romana con l'inizio di quella inglese nei suoi primordi celtici. Quando, appoggiato se non spinto dalla regina e dal figlio di lei Cloten, Cimbelino rifiuta di pagare il tributo a Roma, il suo gesto afferma con forza una prima identità nazionale britannica. Per provarsi tale, essa ha bisogno di combattere e vincere la guerra contro la spedizione punitiva romana. La pace che segue ha però un esito sorprendente: Cimbelino decide autonomamente di riprendere a versare il tributo e di sottomettersi a Cesare Augusto, e soprattutto fa marciare assieme in trionfo, verso Londra, bandiere unite nel vento, le truppe britanniche e quelle romane, che ratificheranno l'unione nel tempio di Giove.
Il volume è in larga parte centrato sull'opera del cardinale Gabriele Paleotti, che con un suo celebre trattato pose con forza il problema dell'aderenza dell'arte alla nuova spiritualità tridentina. La Roma papale, già avviata agli splendori della propria autocelebrazione, respinse tuttavia la rigorosa precettistica di Paleotti. Due posizioni inconciliabili che nell'arte figurativa conducono da una parte alla quotidianità sofferta di Caravaggio e dall'altra all'esaltazione atemporale del divino e delle sue manifestazioni nel barocco trionfante.
Nella loro vita non breve Schönberg e Stravinsky si incontrarono una sola volta, nel 1912, alla Krolloper di Berlino: fu uno scambio cordiale e pieno di stima, perché da una parte c'era "Petruska" e dall'altra il "Pierrot lunaire", che qualche giorno dopo Igor avrebbe ascoltato alla Choralion Saal. Passarono gli anni e i due divennero, sia pure con caratteristiche diverse, celebrità, ma non si incontrarono mai più. Si sfiorarono spesso, si intravidero da lontano, ma i contatti si ridussero a qualche dichiarazione un po' maliziosa, amplificata dai giornali e trasformata in opposizione radicale da seguaci ed esegeti. Oggi la storia di questi due geniali musicisti, che in fondo si sono sempre apprezzati, merita di essere raccontata in maniera più oggettiva. Le loro vicende si svolsero prima a Vienna, San Pietroburgo, Berlino, Parigi, poi a New York, Los Angeles, nel mondo intero. Su questi scenari antichi e moderni risuonano, come voci di un coro, le testimonianze di Richard Strauss, Busoni, Hofmannsthal, Kandinskij, Zweig, Rilke, Werfel, Thomas Mann, Rimskij-Korsakov, Diaghilev, Debussy, Picasso, Gide, Valéry, Auden... Musica, pittura, architettura, poesia e meditazioni religiose si propagano fra queste pagine come echi profondi degli scenari dell'esilio, dell'impatto con nuove realtà sociali, delle persecuzioni razziali, della guerra.
L'Inghilterra del Settecento è un paese in cui si concentrano grandi trasformazioni sociali, economiche e culturali che si riflettono, in primo luogo, in campo artistico. Mentre una parte dell'aristocrazia continua a guardare a modelli culturali importati dal continente, emerge un ceto borghese che incoraggia, con maggiore determinazione rispetto alla committenza tradizionale, la crescita di un'iconografia propriamente britannica. Nel volume studiosi inglesi e italiani si confrontano intorno a tale argomento aprendo il dibattito critico al contributo offerto dall'Italia del Settecento. Agli inquadramenti storici e culturali dell'Inghilterra, e di Londra in particolare, si unisce la disamina dello sviluppo di un linguaggio figurativo autoctono in relazione alla tradizione continentale. Da tale confronto derivano le esigenze opposte di ripresa e declinazione della cultura classicista e di distacco da essa, un dibattito che ha condizionato la maturazione dei diversi generi artistici nei quali, dalla pittura di storia, al ritratto e al paesaggio, la scuola britannica ha espresso una propria identità artistica, riconosciuta nell'Ottocento, soprattutto nell'ambito delle ricerche sul paesaggio, immagine della modernità.