Con la propensione all'ascolto, originariamente determinata da un difetto visivo, don Marzio è il prototipo di quei frequentatori di caffè che sanno di questo e di quello, che raccolgono notizie dalla voce degli altri e dalle gazzette per farsene portavoce, senza la cura di controllarle e di verificarne la fondatezza, mescolando verità e invenzione. Nella bottega del caffè si nasconde una vena scientifico-filosofica caratteristica del diciottesimo secolo e non manca quel doppio livello di lettura, quell'aspetto metateatrale che più volte si ritrova nel Goldoni.
Una raccolta di scritti che ha la ricchezza di un repertorio di immagini, dove convivono i quadri di Rubens e di Alma-Tadema, gli affreschi pompeiani e le mostre fotografiche più provocatorie, l'esotismo delle giapponeserie e la ritrattistica russa: questi "incontri", così variegati e policromi, non rappresentano una mera giustapposizione di temi, ma confermano un gusto polivalente e una cultura onnivora, che sa tradursi in forma di saggio. Rinnovando una tradizione che ha nobili precedenti nelle lettere italiane, ma i cui esempi di valore si fanno sempre più rari, "Mai di traverso" è un susseguirsi di illuminanti 'aperçus' in cui sarebbe vano cercare un filo conduttore puramente contenutistico. L'origine occasionale di gran parte di questi scritti non deve far pensare a essi come a semplici cronache o a resoconti, sia pure eruditi. Le ricognizioni di aspetti nuovi della cultura figurativa contemporanea (si pensi al saggio su quei "templi moderni" che sono i cinema o a quello sulla grafica dei dischi jazz e pop) e le ricostruzioni storiche, condotte con attenzione alla storia delle idee e del costume, sono sempre sorrette da un giudizio critico.