L'"Antigone" andò in scena nel 442 a.C., l'anno precedente all'elezione del poeta a stratego, come collega di Pericle (441-440 a.C.). La tradizione testimonierebbe che Sofocle sia stato onorato della strategia a Samo in seguito alla fama riportata nella rappresentazione di questo dramma. La notizia, nella sua verosimiglianza, dimostra l'impatto sul pubblico che l'opera ebbe da subito, nonostante - e forse proprio perché - l'argomento ci risulti essere frutto dell'invenzione del poeta tragico ateniese. Gli epigoni del mito dei Labdacidi, infatti, erano già stati trattati da Eschilo nei "Sette a Tebe", ma solo Sofocle pone al centro del testo l'azione di Antigone. Anzi, egli costruisce il dramma proprio intorno all'insanabile conflitto tra l'eroina e il sovrano Creonte sulla liceità di attribuire la stessa dignità di sepoltura a chi abbia combattuto a favore (Eteocle) e a chi contro (il fratello Polinice) alla propria città. Prefazione di Anna Giordano Rampini e introduzione e note di Giorgio Sandrolini.
Con l'"Ars amatoria" Ovidio crea un'opera sotto molti aspetti rivoluzionaria per i suoi tempi. Essa è infatti un ibrido di generi letterari: manuale d'amore, repertorio di temi e movenze della poesia d'amore latina (elegiaca in special modo), spaccato della società galante dell'età augustea. In quest'opera si intrecciano spunti letterari e repertorio mitico, istruzioni su come sedurre qualcuno e consigli su come curare il proprio aspetto, ma anche i pregi e i difetti delle posizioni da tenere nel rapporto sessuale. Un'opera che è specchio dell'epoca ma è anche capace di delineare i meccanismi che regolano i rapporti tra uomo e donna. Il tutto amalgamato da una scrittura versatile e leggera. capace di modulare registri diversi e dominarli tutti con il medesimo controllo. Un archetipo della trattatistica d'amore della tradizione occidentale, un libro eterno e universale. Prefazione di Anna Giordano Rampioni.
Il "Libro dei prodigi" ci offre un'esposizione ampia (dal 190 a.C. all'11 a.C.) delle credenze religiose del popolo romano nei prodigi. L'enigma legato a un autore di cui non si hanno praticamente notizie, risulta essere un elemento di grande fascino e interesse che provocò le interpretazioni più varie da parte dei filologi sia per quanto concerne la sua collocazione storica sia per quanto riguarda la sua posizione religiosa. Ma c'è di più, perché in tempi più recenti l'operetta, segnalata come appartenente al genere fantascientifico, è stata inserita nella "Biblioteca dei Misteri", una collana di scienze occulte, in quanto Ossequente, parlando di oggetti non identificati o di armi e scudi celesti, farebbe riferimento a dischi volanti e UFO. Con un saggio di Silvana Rocca.
«Essendomi recentemente cimentato con l'arduo compito di tradurre la Metafisica di Aristotele, il libro forse più difficile dell'intera storia della filosofia, mi sono imbattuto in una serie di problemi, alcuni dei quali previsti e altri invece imprevisti, che hanno reso l'impresa, oltre che ardua, anche affascinante». Affrontando problemi inerenti alla trasmissione del testo, alla traduzione e alla interpretazione, Berti mostra - contro una lettura teologizzante, di origine neoplatonica - il tratto problematico della filosofia aristotelica: la metafisica non è né teologia, né ontologia, ma scienza delle cause prime.
Il ''Commento al Cratilo'' di Proclo è una raccolta di appunti o di estratti (probabilmente di un allievo) dalle lezioni che il filosofo neoplatonico tenne su questo articolato e complesso dialogo di Platone. Si tratta di un testo significativo per comprendere la concezione tardo-neoplatonica relativa alla natura dei nomi e del linguaggio nel suo insieme.
In esso s'intrecciano considerazioni di vario genere, di carattere non solo ''linguistico'' e ''etimologico'', ma anche e soprattutto concezioni teologiche desunte dall'interpretazione dei teonimi.
La riflessione sulla natura della realtà divina, nelle sue diverse articolazioni, è strettamente connessa in questo commentario a una ripresa e rielaborazione di arcaiche concezioni mitico-sacrali sulla natura dei nomi divini, cui fa eco un'ampia serie di riferimenti a quella particolare forma di ''magia filosofica'' nota come teurgia. In questo testo, la riflessione di natura logico-razionale sul linguaggio viene così a fondersi, in modo affascinante e suggestivo, con prospettive di matrice magica e mistica, anche attraverso una fitta serie di citazioni e rimandi agli oscuri versi degli ''Oracoli Caldaici'', considerati come il prodotto della diretta comunicazione divina.
Tutta l'Asia si muove per partecipare alla spedizione che il re di Persia, Serse, organizza contro Atene e la Grecia al fine di vendicare la sconfitta patita dal padre Dario. Del viaggio e dei popoli che lo compiono Erodoto fornisce una descrizione precisa e affascinante: dei luoghi, degli usi, dei costumi, dell'abbigliamento e degli armamenti delle diverse etnie. Per noi moderni, però, il centro del libro è la battaglia delle Termopili nell'estate del 480 a.C, che per primo Erodoto descrisse e che da più di due millenni è impressa nella memoria collettiva: quando, come recita un'iscrizione riportata proprio dallo storico, in quel passo tra i monti, «un giorno, contro tre milioni combatterono quattromila uomini dal Peloponneso»; resistenza, tradimento, aggiramento, ferocia e valore, vittoria e sacrificio sino all'ultimo istante: «Alla maggior parte di loro» scrive Erodoto dei momenti finali, quando i quattromila sono ridotti a trecento spartani, «le lance si erano ormai spezzate, ed essi uccidevano i Persiani con le spade. E in questo scontro cade Leonida, dopo essersi rivelato uomo valorosissimo e, intorno a lui, altri illustri Spartiati». I Greci indietreggiano verso la parte stretta della strada e vanno ad attestarsi su una collina: «Questa collina si trova all'ingresso del passo, dove ora è collocato il leone di pietra in onore di Leonida. E qui, i barbari li seppellirono con i dardi, mentre si difendevano con le spade - quelli che ancora le avevano -, con le mani e con i denti, alcuni, inseguendoli di fronte e demolendo il muro di difesa, altri, circondandoli tutto intorno da tutte le parti». Lo scontro tra Greci e Persiani deflagra in tutta la sua portata: è uno scontro tra civiltà, tra ideali opposti gli uni agli altri.
L'interesse eccezionale delle Institutiones di Gaio è giustificato da diverse ragioni; tra le principali si possono citare l'enigma concernente la figura dell'autore, la straordinaria preservazione del testo pressoché integrale dell'opera di un giurista dell'epoca classica (caso praticamente unico), le circostanze del ritrovamento del palinsesto. Tuttavia il punto centrale resta il fatto che le Institutiones Gaiane ci trasmettono l'unica visione di insieme delle forme del diritto romano classico e repubblicano, delle genuine radici, cioè, del formante giuridico, che costituisce senza dubbio il contributo più significativo e rappresentativo della civiltà romana alla costituzione della cultura occidentale.
Il libro raccoglie oltre 1000 citazioni in latino, con la traduzione, l'indicazione della fonte da cui sono tratte e un commento che le spiega. Conoscere non solo il motto, ma anche il significato di frasi, detti e proverbi latini è indispensabile per poterle utilizzare nelle circostanze più appropriate e nella maniera più corretta, come anche per comprendere pienamente chi sta parlando quando le usa. Le frasi in latino sono proposte ripartite per argomenti (per es. Amore e amicizia, Arte e cultura, Gioia e dolore, Apparenza e inganno, Legge e giustizia, Povertà e ricchezza, Religione, Vizi e virtù, Perle di saggezza, Proverbi e modi di dire e così via) ed elencate in ordine alfabetico. Una seconda sezione del libro raccoglie un glossario di oltre 500 locuzioni, tra cui tutte quelle ancora in uso nel linguaggio comune e quelle invece tipiche dei diversi linguaggi tecnici (giuridico, medico ecc.).
Le "Epistulae morales ad Lucilium" rappresentano l'espressione più matura della riflessione filosofica di Seneca. Si tratta di una raccolta di 124 lettere indirizzate all'amico e discepolo Lucilio, composte durante gli anni di ritiro dalla vita pubblica tra il 62 e il 65 d.C. Con una scrittura raffinata e uno stile decisamente nuovo rispetto a quello più ampolloso di Cicerone, le Lettere rappresentano uno straordinario documento del sentimento drammatico dell'esistenza. Partendo da problematiche di vita quotidiane, egli affronta argomenti di diversa natura, mettendo in luce le incertezze e le contraddizioni che lacerano ogni uomo e indicando, lettera dopo lettera, il cammino verso la libertà interiore e la virtù.
Da sempre gli esseri umani aspirano alla felicità, ma molti non sanno dove risieda. Spesso si lasciano sedurre dai piaceri dei sensi, che ingannano con le loro carezze, e trascurano la salute dell'animo. Ma la vera felicità non si trova nei beni apparenti. Non ai piaceri del corpo, «delle cucine e dei bordelli», bisogna abbandonarsi e neppure a quelli della ricchezza, perché labili, deperibili e dannosi per la mente. Ma allora dove cercare? E che mezzi ha la filosofia per aiutarci? A partire da queste domande Seneca, con tono acceso e partecipato, pagina dopo pagina, ci svela il segreto per vivere felici. Perché la felicità, per quanto sembri irraggiungibile, è alla portata di tutti.
Poema in dodici libri, composto fra il 29 e il 19 a.C, anno della morte di Virgilio. Nella prima parte Enea e i superstiti Troiani, sfuggiti all'incendio di Troia e al massacro inferto dagli Achei, vanno peregrinando sul mare. Nella seconda parte del poema, approdati nel Lazio, sono costretti a lottare contro le genti locali riportando una faticosa vittoria, ma per volere degli dei, il nome e la lingua troiana scompaiono. Iulo Ascanio, figlio di Enea, edificherà Alba Longa, da cui, dopo diverse generazioni, Romolo fonderà Roma. Dall'unione dei Troiani con i Latini nasce la civiltà romana.
"Se non avete mai letto Orazio (65-8 a. C.), la sbalorditiva modernità di Roma e della civiltà classica non vi è stata ancora rivelata per quanto merita. I suoi versi raccontano le opere e i pensieri di una febbrile e raffinata società metropolitana di duemila anni fa, smascherandone satiricamente le vanità, le goffaggini e i vizi. A cominciare da quello stato d'animo di trafelata ansia che noi contemporanei definiamo 'stress': quell'accumulare obblighi mondani e inutili impegni, quel dannarsi per avere sempre di più che distolgono dalla virtù anziana per eccellenza, la giusta misura. Orazio sembra scrivere per gli 'emergenti' dei giorni nostri, per gli ammalati di potere, per le vittime delle mode. Non gli sfugge un solo vezzo, una sola debolezza: ma ha il pregio (rarissimo per un moralista) di non dispensare severi precetti, né ammaestramenti infallibili. Preferisce, sorridendo, descrivere i romani (incluso se stesso), e accompagnarli lunga i loro errori, piuttosto che maledirli da qualche pulpito presunto. A dimostrazione che la buona satira è il miglior antidoto conosciuto della cattiva retorica." (Michele Serra)