Lungo tutto il primo millennio dell'era cristiana, le immagini religiose erano state elevate a una dignità che le avvicinava al potere simbolico del sacramento Nei secoli moderni, questa gloria storica dell'icona perde progressivamente significato. Si inaugura, con l'Umanesimo, quella che Giuliano Zanchi chiama «l'epoca dell'Arte e della Ragione», in cui il pensiero scientifico diventa lo strumento di interfaccia col mondo e l'immagine viene codificata secondo i canoni squisitamente qualitativi della formalità artistica. La cultura religiosa si ritrova così in esilio nella sua stessa epoca, guardata con sospetto e spesso assimilata alle regioni occulte della magia e della credulità. Eppure, la materia simbolica continua a muoversi, nella 'clandestinità' della devozione popolare. Compaiono immagini sacre 'residuali' che però riescono ad aprire brecce a quanto era stato lasciato fuori da porte ormai chiuse. 'Immagini vive' come quella del Sacro Cuore (ma anche le immagini miracolose, le apparizioni mariane, la Sindone di Torino) che esprimono un disagio e veicolano un rimosso. Storie che possono illuminare anche spazi della nostra 'civiltà delle immagini'.
Soltanto un logoro luogo comune pretende che il discorso scientifico sia fondato esclusivamente su algide e impassibili deduzioni razionali. La dialettica delle idee combattuta da Galileo e dai non meno agguerriti ricercatori della Compagnia di Gesù mostra al contrario come, pur entro un universo della precisione, agiscano le suggestioni delle risorse fantastiche ed emozionali. Il loro impiego mira, infatti, a potenziare l'istinto esplorativo con un'interrogazione della natura sorretta da un forte senso dell'avventura, ma insieme a rafforzare retoricamente il valore delle argomentazioni, il cui impatto agisce anche fuori della giurisdizione degli addetti ai lavori, alimentando l'immaginario della letteratura e delle arti. Dietro la rivoluzione scientifica di Sei e Settecento si gioca una partita più ampia sul terreno di una riforma spirituale da cui si vorrebbe il rinnovamento dell'epistemologia e, insieme, dei costumi e dell'etica. Va configurandosi un nuovo profilo di scienziato, votato allo studio dei fenomeni naturali e, insieme, attraverso la loro comprensione, all'esaltazione della gloria del Creatore, celebrata sia nella grandezza infinita del cosmo, sia nelle sue manifestazioni più quotidiane. Risalta, in tale profilo, la cifra barocca di un atteggiamento contraddittorio, oscillante tra il senso di smarrimento e di inadeguatezza dell'uomo dinanzi alla ricchezza del reale e l'orgoglio per le sue scoperte e per il progresso prodigioso delle nuove acquisizioni.
I temi qui trattati riguardano l'influsso che il linguaggio religioso esercita sulla comunicazione umana. La questione viene esaminata nei tre ambiti della preghiera, orale o a stampa, in dialetto o in lingua; dell'oratoria sacra, dal Cinquecento all'Ottocento; e delle relazioni estatiche, sotto le forme dell'autobiografia, del diario e della trascrizione in diretta dalla dizione orale. Il confronto tra preghiera, predicazione e dettame mistico chiarifica le caratteristiche del discorso religioso cristiano. Esso trova fondamento e norma nell'incarnazione del Verbo di Dio dentro la caducità e molteplicità delle lingue umane; perciò, ogni enunciato che abbia Dio quale termine od oggetto deve conformarsi al discorso che Dio ha usato per comunicare se stesso all'uomo. In particolare, i saggi di Giovanni Pozzi scandagliano il singolare rapporto dialettico tra oralità e scrittura che connota i diversi modi in cui la lingua cristiana si esprime. Tale dinamismo pertiene alla natura stessa della nostra tradizione religiosa, a partire dal suo documento d'origine, la Bibbia, che è scrittura generata da parole e insieme generatrice di parole.