Per la prima volta escono in lingua italiana "Tutti i racconti" di Irene Némirovsky, di cui questo primo volume contiene le prose di esordio e dei primi anni della maturità (1921-1934). Si tratta di testi che nella loro intelaiatura rivelano la ricchezza e la complessità della scrittura di un'artista che non ha esitato a ricorrere a originali contaminazioni di codici tra il genere letterario propriamente detto, il diario, il cinema, il teatro ecc. Sotto l'apparente leggerezza dello stile narrativo prendono corpo le vicende di uomini e donne che si succedono nelle generazioni, incastonando, ciascuno a modo proprio, uno squarcio di verità, ora tenera e ironica, ora drammatica, così com'è la vita. La delicatezza del tratto e la minuzia dell'osservazione con cui pagina dopo pagina si snodano le storie dei vari protagonisti non devono farci dimenticare la lucidità di osservazione e la singolare forza espressiva di una possente scrittrice che viene meritatamente oggi annoverata fra i grandi interpreti del Novecento. La crudezza e il nichilismo che abitano i suoi anti-eroi diventano icona della disfatta e della morte che investono gli anni fra le due guerre. Eppure Némirovsky riesce a insinuare in questo male di vivere il soffio della vita. Come scrive Roberto Deidier nell'Introduzione, "sotto il velo della Storia la vita continua a battere. E pulsa proprio di quel mistero, di quell'élan per cui è ancora capace di trasformare la sofferenza in amore".
"Il titolo in inglese di questo libro 'News front Nowhere' ha un significato esplicito, 'Notizie da nessun dove', ed uno nascosto che emerge spezzando la parola nowhere in now here, che significa 'ora qui'. Due tipi di realtà si confrontano e si mescolano: un domani utopico e un oggi che contiene tutte le potenzialità e i conflitti necessari per trasformarsi in un domani migliore [...] Il gioco di parole potrebbe quindi voler dire che quell'ambiente pacificato che egli descrive (il sottotitolo è 'An epoch of rest', 'un'epoca di riposo') è a nostra disposizione solo che lo si voglia conquistare, che si voglia iniziare quel ciclo di eventi difficile e doloroso che ha fatto nascere una nuova società senza concorrenza, senza strutture gerarchiche, senza classi contrapposte [...] La descrizione di Morris calza perfettamente al mondo in cui viviamo e ce ne illustra le capacità autodistruttive, è un ritratto fedele e profetico della società del consumismo e della crescita illimitata in cui l'economia è diventata la disciplina dominante che sopprime ogni fine o confonde i fini con i mezzi e propone una assurda omogeneizzazione del mondo." (dall'introduzione di Paolo Portoghesi)
Il ritratto di un mondo al tracollo e dell'intimo fallimento di un'intera generazione. Il mondo descritto ne "La preda" è la Francia degli anni '30, stretta nella morsa della Grande Depressione, e il compito di rappresentare una generazione di giovani spogliati di ogni ideale, di ogni sogno, di ogni aspirazione è affidato a Jean-Luc Daguerne che decide di sfuggire alla minaccia di un destino segnato. La sua famiglia è in rovina, la disoccupazione è alle stelle, la società scricchiola e fosche nubi si addensano all'orizzonte storico. L'unica salvezza è il potere, che resiste a ogni crisi. E Jean-Luc farà di tutto pur di ottener-lo. Sacrificherà gli affetti, soffocherà gli scrupoli, accetterà compromessi e tradimenti, manovrerà la vita propria e altrui come uno stratega seduto dietro una scacchiera. E perderà tutto nel breve spazio di un incontro. Tra le braccia di Marie le sue ombre si dissipano, rischiarate da una luce ardente, sconosciuta sino ad allora: la sorda ambizione cede il passo a un profondo senso di abbandono e sotto la scorza del cinismo riemergono passione e tenerezza. E a questo punto che, con un rovescio di prospettiva, vincitori e vinti, vittime e carnefici, prede e predatori invertono i loro ruoli, il male cambia volto e gli opposti destini si predispongono a un medesimo epilogo. Il talento lucido, affilato, vigoroso di Irene Némirovsky sa restituire le dolenti contraddizioni che abitano l'animo umano.
Scrive Alessandro Portelli nell'Introduzione a questi ventisei racconti inediti di Mark Twain: "Si dice spesso che Mark Twain è uno di quegli scrittori che possono essere citati sia pro sia contro su qualunque argomento". Vero è che si trova pressoché di tutto, in questa multiforme e affascinante raccolta di storie, articoli e aneddoti, pubblicati nel 2009 per festeggiare il centenario della morte di uno dei più grandi scrittori della letteratura statunitense. Questioni universali più che mai attuali e ricordi personali si fondono e si intersecano, sempre affrontati con sottile ironia e acume brillante. L'autore cerca e ottiene la complicità del lettore, che insieme a lui ride (spesso amaramente), riflette, s'indigna e reagisce di fronte alle assurdità del nostro mondo. Lo stile tagliente non risparmia sferzate polemiche al sistema politico e sociale americano, a volte con attacchi diretti - come nel racconto autobiografico "Sulle spese di spedizione di un manoscritto d'autore", in cui il Congresso degli Stati Uniti è definito "Manicomio Nazionale" - a volte con fini e non troppo velate metafore - come nella favola esopica "La giungla discute dell'uomo", o nell'immaginaria discussione tra monete raccontata ne "La lite nel forziere". Eppure, in Twain, le satire e le parodie del suo presente (così spesso simile al nostro!) non eliminano l'orgoglio di sentirsi parte attiva di un paese libero. Un contrasto solo apparente - o forse, una contraddizione insolubile.