Dal libro di Giosuè al libro dei re dei Re la storia delle tribù di Israele segue un percorso lineare: si occupa una terra e poi si edifica uno Stato. Ma qual è la forma ideale del popolo di Dio? Può calarsi in una forma mondana? I libri storici dell'Antico Testamento mostrano una dimensione poco edificante dei capi del popolo e sollevano molte domande di attualità. La Bibbia ha fornito un repertorio di miti e di formule per la storia politica dell'Occidente, ma forse essi sono stati usati in senso opposto a quello del messaggio teologico biblico.
Nelle storie dell'Antico Testamento Dio si rivela come un maestro di vita che ci conduce ad una relazione più profonda con Lui. Il libro attraversa la Sacra Scrittura individuando alcuni tratti del Dio pedagogo. Il Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento raggiunge il suo popolo per condurlo verso la Terra promessa, ovvero a un'amicizia sempre più intima. La Bibbia registra alcune tappe di questa relazione tra un Dio maestro di vita e il suo popolo resistente ai percorsi di salvezza sempre nuovamente riproposti.
Una lettura nuova e spiazzante di alcune pagine della Bibbia sul giudizio di Dio. Alcune pagine della Bibbia non incontrano lo stesso favore di altre, eppure godono della stessa dignità: sono parola di Dio ispirata. In particolare, quelle che parlano dell'ira di Dio e del suo giudizio sono guardate con sospetto o più semplicemente ignorate. Per sottrarle a questa cultura dello scarto si è voluto passarle in rassegna, scoprendovi una gradita sorpresa: Dio che si arrabbia con l'uomo e lo sottopone al suo giudizio, in realtà, sta mostrando paradossalmente un amore appassionato ed estremo.
Nel cammino della vita il Signore mi aiuta davvero o resta indifferente di fronte alle mie scelte, ai fatti che mi capitano, alle mie gioie e alle mie sofferenze? L'interrogativo non può non scontrarsi con il mistero del male. E la domanda sul male torna a lambire la battigia del rapporto con Dio: cosa fa l'Onnipotente quando il male, nelle sue varie forme, mi colpisce?
L'Autore s'incammina sui due versanti opposti di questo Everest dello spirito umano, che, da che mondo è mondo, sfida chiunque tenti di scalarlo sia sulla pista della ragie che su quella apparentemente meno scoscesa della fede. In questo percorso egli non può non lasciarsi aiutare dalla parola di Dio, che rivela come lo Spirito Santo prenda ogni nostro gemito che anela al bene e lo unisca alla preghiera stessa che il Figlio risorto eleva al Padre.
Da alcuni anni una delle parole più in uso nella nostra società è quella di crisi. Viviamo infatti un momento nel quale siamo avvolti da una crisi generalizzata e permanente, così da poter quasi identificare la nostra epoca come il tempo della crisi. Anche la testimonianza biblica ci presenta ripetutamente delle crisi: crisi della persona, delle relazioni, della fede, della comunità, del mondo e della storia. In generale, per la Bibbia la crisi è, seppure con tutta la sua pesantezza, una possibilità. In tale esperienza è Dio stesso che agisce, mettendo al muro l’uomo che non intende né cambiare né crescere. La forza della parola divina invece lo pone a nudo e, ormai spogliato delle sue false sicurezze, egli è svelato con verità a se stesso. Ma, se le cose stanno come la Scrittura ce le presenta, non possiamo che attendere le nostre crisi con fiducia e speranza perché in ultima analisi, se accolte e rielaborate in profondità, recano a noi, già nello spazio dell’esistenza terrena, il dono di una nuova vita avvolta di bellezza che noi nemmeno siamo capaci di immaginare.
Oggi che valore ha il dono? È possibile il dialogo tra i popoli o l’unica via è il conflitto? La Bibbia offre diverse risposte a queste domande. Un’immagine felice di dialogo e di scambio di doni è offerto da Salomone e dalla Regina di Saba. In questo racconto e in altri passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, appare come l’incontro coinvolga ogni aspetto dell’esistenza, compresa la relazione con Dio. Le ombre e i conflitti non eliminano la speranza e la fiducia in uno scambio fecondo. Nel primo capitolo è illustrato, con diversi altri passi biblici, l’incontro tra Salomone e la Regina di Saba. Nel secondo capitolo si trovano tracce ed echi di quest’incontro in passi di tono apocalittico e messianico. Infine il terzo capitolo presenta altri incontri, tra cui quello tra Davide e Gionata e quello tra Elia e la vedova di Sarepta.
Apparire significa non essere, l'essere invece è e non ha bisogno di apparire. Di conseguenza chi non è, ostenta. Dio, però, non guarda ciò che guarda l'uomo, Dio scruta i cuori. A Lui non interessano le apparenze vane, ma le verità profonde che si muovono nell'animo umano. Diversamente dall'attenzione che troppo spesso l'uomo rivolge alla sola esteriorità, il discorso pervasivo che attraversa la Scrittura è molto più interessato a ciò che esso ritiene intimo e autentico.
Si può leggere la Bibbia nella prospettiva del dialogo interculturale e interreligioso? Come si è confrontata Israele con le altre culture che ha incontrato nella sua storia? Affacciarsi ad alcune storie collocate nei momenti epocali della storia biblica potrà aiutare a superare i pregiudizi che molti nutrono su questioni come la violenza nella Bibbia o la giustizia di Dio, e offrire spunti rilevanti anche ai nostri giorni per comprendere il cammino del dialogo interculturale e interreligioso. L'avventura dell'esodo dall'Egitto, la conquista della Terra, la sedentarizzazione in Canaan, l'esperienza della diaspora esilica, la ricostruzione del Tempio al ritorno da Babilonia, l'impatto con la cultura ellenistica hanno offerto al popolo d'Israele occasioni infatti di confronto con persone e culture diverse, che hanno lasciato una traccia viva nella sua storia, a volte segnando in profondità la maniera stessa con cui viene espressa la relazione con JHWH. Gli stranieri in Israele, gli ebrei in terra straniera, e infine i Maccabei a Gerusalemme, sfidano i cristiani a superare le discriminazioni ed affermare la libertà religiosa e di coscienza, con la consapevolezza ecclesiale e la fiducia che tutte le differenze sono ordinate all'unico popolo di Dio (cf. Lumen Gentium n. 1).
Le parole, le azioni, le scelte e perfino gli errori dei primi cristiani possono oggi illuminare il cammino dei credenti e della Chiesa? Gli Atti degli Apostoli raccontano la vita quotidiana di alcune tra le prime comunità cristiane; le azioni, le parole, le scelte di persone che costruiscono la Chiesa, che le danno un volto attraverso i loro volti. Non è un'immagine preconfezionata, una copia perfetta dell'idea che sta nella mente di Dio; Gesù all'inizio degli Atti dice a grandi linee qual è il progetto, ma come poi si è realizzato è dipeso dalle scelte di gente come Barnaba e Saulo, Pietro e Giovanni, Filippo e tanti altri di cui non conosciamo neppure il nome. Oggi come Chiesa ci troviamo a vivere in una realtà che cambia molto rapidamente e di fronte alla quale non è facile avere punti di riferimento; per questo continuiamo a leggere il libro degli Atti: perché le opere dei primi credenti sono per noi parola di Dio, una lampada che illumina, un punto di riferimento a cui guardare.
Come evitare che la preghiera per eccellenza, quella che Gesù ci ha insegnato, rimanga una semplice formula stereotipata? È possibile vivere un rapporto profondo, fecondo, significante con Dio semplicemente ripetendo delle parole apprese nell'infanzia? Siamo cresciuti, maturati, abbiamo studiato, ci siamo sposati, abbiamo generato e cresciuto dei figli, ma la nostra preghiera si è fermata lì, non è cambiata seguendo il procedere del nostro percorso umano. Il significato del Padre Nostro infatti non è immediatamente chiaro. A che cosa si pensa quando si ripete per l'ennesima volta la petizione "sia santificato il tuo nome"? Si possono desumere significati più o meno pertinenti, ma quasi sempre non vanno al cuore di questa petizione. Anche la richiesta "venga il tuo regno", che riprende una parola così importante per Gesù risulta di difficile comprensione. Basti pensare che alla domanda che cosa è il regno di Dio è difficile dare una risposta. Attraverso un autorevole approfondimento biblico l'autore restituisce pienezza alla madre di tutte le preghiere dei Cristiani, aprendo le porte ad una preghiera in grado di favorire un incontro personale, intimo e vitale con Dio. Il Padre Nostro, ridiventa così lo strumento migliore per ricevere questa comunicazione di vita, non più semplici parole da recitare, ma come un programma da interiorizzare e vivere.