Betlemme è un luogo del cuore che non ammette indifferenza. Lo è per gli ebrei, che la identificano con la città di David; lo è per cristiani e musulmani, che vi collocano il parto verginale di Maria. Raggiunta ogni anno da migliaia di pellegrini, la cittadina della Cisgiordania, situata a una decina di chilometri da Gerusalemme, è un luogo fisico e di emozioni. La sua storia, tuttavia, è generalmente sconosciuta. Che cosa sappiamo di Betlemme nel lungo millennio medievale? In che modo le tradizioni che oggi conosciamo sono andate formandosi? In questo libro, Antonio Musarra indaga il mito di Betlemme, ancorandolo alla vicenda storica d'una città apparentemente insignificante ma costantemente al centro delle attenzioni di re, principi e imperatori non meno che di semplici pellegrini, desiderosi d'incontrare il Mistero tra le pietre vive delle sue vie.
La storia è tornata e ha riportato la guerra. Dal momento in cui è stata immaginata come Stato nazionale fino all'atto della sua nascita, durante le campagne del Risorgimento, i conflitti mondiali e la lotta partigiana, la storia dell'Italia unita sembra un'unica narrazione di uomini in armi, sacrificio, guerre e combattimenti. Certo, a conti fatti a essere tramandate sono più sconfitte e ritirate che vittorie gloriose. Ma ciò non toglie che da oltre un secolo le memorie degli italiani siano state affollate soprattutto dall'esperienza della morte sul campo di battaglia. La morte temuta, la morte inferta, la morte per la collettività, la morte per poter immaginare un futuro democratico, la morte onorevole. Marco Mondini rilegge questo lungo racconto in un viaggio attraverso l'immaginario e il ricordo delle guerre. E oggi? Armi e morte sono tornate a occupare il nostro spazio quotidiano sfidando la tentazione di distogliere lo sguardo.
«Matteotti non voleva e non cercava la morte. Volle e cercò la lotta; volle e cercò i posti di responsabilità nelle ore più dure, seppe vincere tutti i giorni, e perdere tutti i giorni la sua piccola battaglia. Io ammiro in lui la fede di tutte le ore, la tenacia, la costanza, l'ottimismo contagioso, il volontarismo» Carlo Rosselli Frutto di anni di ricerche e di un'indagine quasi poliziesca, questo libro di Mauro Canali, aggiornato agli ultimi documenti, è il testo di riferimento sul delitto Matteotti, quello che, se non «risolve» il caso, certo porta la maggior quantità di informazioni e argomenti a favore della tesi di una responsabilità diretta di Mussolini. Inseguendo la pista «affaristica» - quella secondo cui Matteotti è stato eliminato perché stava per rivelare dei torbidi affari relativi a una concessione petrolifera -, ricostruendo le vicende del primo e del secondo processo e infine seguendo il destino dei protagonisti del delitto durante il Ventennio, Canali riesce a delineare un quadro vivido e convincente di un affaire che è all'origine del regime fascista e ne riassume emblematicamente le caratteristiche.
Un affresco inconsueto. Il linguaggio silenzioso di un gesto dell'anima. Abbracci di madri, amanti, bambini, amici, peccatori e santi; a persone, animali, cose, figure dipinte o evocate in sogno; intimi e sociali, umani e divini, metaforici e reali. Gesti che accolgono, congedano, proteggono, consolano, aggrediscono, sostengono il corpo e l'anima. Questo volume li indaga nell'arte e nella letteratura del Medioevo, dove sono eloquenti ed eclatanti poiché in tale epoca, e ancor più nel suo immaginario, il linguaggio corporeo integrava fortemente, e spesso sostituiva, le parole. Pur messi in scena entro contesti apparentemente lontani, gli abbracci medievali sono una sorta di specchio entro cui osservarci, scoprendo che ci appartengono e parlano di noi.
Vladimir Lenin, fondatore dell'Urss, per volontà di Stalin è stato esposto alla venerazione dei cittadini nel mausoleo della Piazza Rossa, e ha vegliato sui popoli del blocco sovietico attraverso migliaia di occhi di pietra o bronzo di altrettanti monumenti. Ma cosa è accaduto dopo il 1989? Il corpo, perduta l'aura della reliquia, è rimasto in mostra a Mosca, davanti al Cremlino, e le statue sono state in gran parte cancellate. Una vicenda esemplare per comprendere la complessità dei fenomeni iconoclastici. La pratica di tirare giù Lenin dal suo piedistallo ha riguardato tutto lo spazio post sovietico e, in Ucraina, ha assunto contorni talmente importanti da essere indicata con il termine Leninopad: il più grande movimento d'iconoclastia del Novecento, esploso prima ancora delle proteste che, più di recente, abbiamo visto in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. A un secolo dalla morte di Lenin, Antonella Salomoni ne racconta ascesa e declino attraverso la storia del suo corpo e delle sue immagini: innalzate, rispettate e poi rimosse, distrutte, vandalizzate, reinterpretate come simbolo di sottrazione al colonialismo russo, e persino ricollocate sui piedistalli dagli occupanti durante la guerra in Ucraina. Un libro sulla memoria imposta e poi sovvertita, che va al cuore delle inquietudini del mondo contemporaneo.
La Dc fu davvero il «partito della nazione»? Per tanti versi sì, a patto di non congelarla nell'immagine del grande agglomerato che tutto macinava e tutto cercava di omogeneizzare. Fu anche questo, certo, specie nella parte finale della sua vicenda. Ma fu prima di tutto un partito dalle anime plurali che perseguì la ricostruzione democratica e costituzionale del paese, proiettandolo in un inedito orizzonte europeo. A trent'anni dalla sua scomparsa, la definizione del ruolo della Dc nella storia d'Italia oscilla ancora tra la demonizzazione e il rimpianto, senza assestarsi in una equilibrata storicizzazione. A partire dalla nuova disponibilità di numerosi archivi privati e pubblici, questo libro prova, per la prima volta, a tracciarne la storia: dalle origini alla parabola finale. Quella che si apre davanti agli occhi del lettore è una storia dell'Italia attraverso le vicende di un partito che è stato tra il 1943 e il 1993 il perno principale del governo del paese e ne ha modellato la vita politica e culturale.
Piazze, campi, palazzi pubblici, fontane, chiese: alla scoperta dello splendore e della magnificenza delle nostre città. Tra l'XI secolo e la fine del Medioevo, le città italiane vivono una fase di straordinaria rinascita, soprattutto nell'Italia settentrionale e centrale, grazie alla crescita economica e all'affermarsi di un sistema politico, il comune, indipendente da qualsiasi autorità superiore. Nuovi palazzi pubblici, nuove chiese, cinte murarie, strade, ponti, piazze e fontane: ovunque l'utilità trova il proprio complemento nell'estetica. Il volto delle città ne emerge ridisegnato, secondo criteri architettonici e ornamentali tesi alla ricerca della bellezza, ormai individuata come strumento tra i più efficaci della propaganda del nuovo potere. Da Milano a Roma, da Venezia a Firenze, Pisa e Siena, da Spoleto a Perugia, da Parma a Ferrara e Modena, un itinerario storico denso, personale e a tratti affettivo, ci porta al cospetto dell'incredibile ricchezza dei centri comunali italiani, raccontando i circuiti politici, economici, religiosi, culturali da cui è scaturita un'esperienza unica nel panorama europeo.
Gli Stati non sono mai i primi a chiedere nuovi diritti. Sono costretti ad accettarli quando essi sono diventati patrimonio di gran parte della società, che chiede o pretende, con gli strumenti a disposizione, di adeguarsi a questi ripetuti passi - a volte grandi a volte piccoli - verso una modernità che coincide con più libertà, più uguaglianza, più solidarietà Sono trascorsi ormai 75 anni dal 10 dicembre 1948, giorno in cui l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamava a Parigi la Dichiarazione universale dei diritti umani. Per la prima volta si sancivano i diritti e le libertà che spettano a tutti gli esseri umani. Si trattava del punto di arrivo di un lungo percorso iniziato nel Settecento ma anche del punto di partenza di una sensibilità umanitaria in crescita. In questa nuova edizione aggiornata, dopo averne rintracciato le premesse nelle epoche precedenti, Marcello Flores ripercorre l'intera storia dei diritti umani, dall'Illuminismo a oggi: una storia non solo di teorie filosofiche, politiche e giuridiche, ma anche di organizzazioni, associazioni, battaglie, campagne, istituzioni, e persone come Cesare Beccaria ed Eleanor Roosevelt. Le conclusioni fanno il punto sui problemi attuali tra espansione e riduzione dei diritti umani.
Le Isole Fortunate, l'Ultima Thule, l'isola di San Brendano, Antilia, Hy-Brasil, e con esse molte altre, non sono unicamente elementi geografici: sono luoghi simbolici e fantastici che per secoli hanno attratto gli uomini del Mediterraneo animati dal desiderio di dare forma alla propria immaginazione Semplici scogli, atolli, ampi agglomerati, veri e propri continenti: la vicenda delle isole e del loro ritrovamento ha animato i viaggiatori e affascinato i letterati. Cristoforo Colombo afferma d'averne incontrate 1.400, secondo una lettera di papa Alessandro VI; 1.700, stando, invece, a un messaggio inviato ai reali iberici. Numeri, questi, assai inferiori rispetto a quelli contemplati per l'Oceano indiano da Marco Polo - ben 12.700 - o dal domenicano Guglielmo Adam - 20.000. Questo libro ricostruisce la storia avventurosa e fantastica della ricerca delle isole in età medievale, in un Oceano che era il luogo del possibile e dell'impossibile. Ne emerge un grande racconto sospeso tra immaginario e conoscenze che si ampliano, tra «scoperte», «conquiste» - spesso devastanti - e reiterate delusioni, legate al desiderio, utopico e mai sopito, di vedere mutata in realtà la sostanza dei propri sogni.
«La guerra, ultima fase del fascismo trionfante, ha agito su di noi più profondamente di quanto risulti a prima vista. La guerra ha distolto materialmente gli uomini dalle loro abitudini, li ha costretti a prendere atto con le mani e con gli occhi dei pericoli che minacciano i presupposti di ogni vita individuale, li ha persuasi che non c'è possibilità di salvezza nella neutralità e nell'isolamento» Giaime Pintor Il 1943 è un anno drammatico, fra i più difficili da interpretare nella storia d'Italia. Luca Baldissara ripercorre lo svolgersi e il rapido e caotico susseguirsi degli eventi politici e militari, ricostruendo le tappe della crisi di regime e dell'implosione dello Stato, indagando il lento organizzarsi dell'antifascismo e restituendo la varietà delle esperienze di guerra degli italiani di allora. Nel fare ciò dà voce ai protagonisti e agli attori dell'epoca e così ricostruisce le dinamiche della vita in un paese alle prese con una guerra che pareva infinita. Andare a quell'anno significa fare un passo decisivo nella comprensione della storia dell'Italia contemporanea e di cosa significhi e produca l'esperienza della guerra tanto sui governi e le istituzioni, quanto sulla società e gli individui.
Quel 24 luglio 1923 fu il giorno in cui scoppiò la pace? Sì e no. La pace è una condizione temporanea, non un'entità permanente: è instabile. Un trattato di pace annuncia, da un punto di vista normativo, la fine delle ostilità fra gli Stati, ma non la fine delle violenze o dei risentimenti. Quel giorno terminò il decennio della Grande Guerra, ma ciò che subentrò fu un ordine internazionale precario e pur sempre caratterizzato dalla violenza. A Losanna si disinnescarono alcuni conflitti, ma si innescarono nuove ostilità. Marx aveva ragione: noi tutti creiamo la nostra storia, ma non nella maniera in cui crediamo di farlo. Il 24 luglio 1923 venne firmato a Losanna l'ultimo trattato che poneva fine alle ostilità della Grande Guerra. Jay Winter racconta ciò che accadde quel giorno e come milioni di civili si trasformarono in ostaggi, scambiati per il raggiungimento della pace: la maggioranza dei cittadini greco-ortodossi della Turchia perdette il diritto di cittadinanza e di soggiorno in quello Stato, lo stesso accadde alla maggior parte dei cittadini musulmani della Grecia. Di fatto venne introdotta nel diritto internazionale una definizione di cittadinanza basata sulla religione. Il secondo prezzo della pace fu pagato dal popolo armeno al quale non venne riconosciuta una patria nelle terre da cui era stato espulso. E così il 24 luglio 1923 la pace venne prima della giustizia e aprì la strada alle forze che porteranno nel 1939 alla guerra globale.
Yaroslav Hrytsak ricostruisce la storia dell'Ucraina a partire dal medioevo fino all'età contemporanea, individuando le divergenze con la storia russa. Differentemente da quanto una scelta di lungo periodo potrebbe far pensare, la ricostruzione non si basa su una concezione deterministica: lo snodo di cosa sia la nazione viene affrontato nella sua problematicità e l'obiettivo è quello di far comprendere come sia difficile individuare un percorso lineare e univoco nei processi che hanno portato all'emersione dell'Ucraina come soggetto storico negli ultimi due secoli. È una storia che potremmo definire «globale» perché è influenzata da sviluppi sociali e culturali che a prima vista possono sembrare molto lontani e perché comprendere il nazionalismo ucraino significa andare al cuore di uno dei nodi dell'Europa attuale. Il capitolo finale è stato aggiornato dall'autore per l'edizione italiana. «Se questo libro non provocherà dibattiti più seri sul passato e sul presente dell'Ucraina, questa sarà la peggiore punizione per me e per le mie debolezze intellettuali»
Il conte di Cagliostro - identificato dalle autorità con il lestofante siciliano Giuseppe Balsamo - raggiunse la celebrità negli ultimi decenni del Settecento grazie a presunte doti divinatorie, abilità alchimistiche e militanze massoniche. Le sue imprese stimolarono cronache giornalistiche, libelli, satire, ritratti, caricature, romanzi, componimenti poetici. Viaggiò senza sosta da un paese all'altro e divenne prototipo del «divo» moderno. Appariva abbastanza stravagante da suscitare stupore, ma possedeva anche la tipicità necessaria per risultare credibile. Pasquale Palmieri lo racconta a partire da alcuni momenti decisivi della sua vita, segnati da procedimenti giudiziari che attirarono un'attenzione senza precedenti da parte dei media di tutta Europa. Cagliostro assunse pose anticonformiste, ma perseguì con determinazione lo scopo di conformarsi ai valori dei ceti dominanti. Fu un autentico fenomeno mediatico, protagonista di uno spettacolo ricco di colpi di scena. La sua vicenda toccò argomenti cruciali come il funzionamento della giustizia, l'esercizio del potere, l'organizzazione del sapere e il rapporto con la natura. Alimentò dubbi ed enigmi, suggerendo solo risposte frammentarie e incomplete, sospese tra fede e razionalità, virtù e misfatto, redenzione e dannazione.
«Volevo scriverti già da qualche giorno per comunicarti una notizia che mi riguarda. Io mi sono risoluto a prendere moglie. Sposerò una buona e brava ragazza piemontese, che conosco già da qualche anno, della quale ho invigilato gli studi per la laurea (è laureata in lettere), e che mi aveva sempre ispirato una grandissima stima per la finezza d'animo e per la serietà di carattere». La figura di Croce ha dominato la cultura italiana per l'intera prima metà del Novecento. Autore di oltre settanta volumi, ha dato un contributo incalcolabile come organizzatore di cultura, anche attraverso le riviste e le collane editoriali. Generazioni di critici letterari, storici e filosofi sono stati influenzati dalla sua opera. Non meno ragguardevole è stata la sua attività politica: attento in gioventù al socialismo e a Marx, fu poi su posizioni neutraliste allo scoppio della Grande Guerra e infine antifascista. Questo primo volume ne ricostruisce la biografia dalla tragica perdita dei genitori nel terremoto di Casamicciola del 1883 ai viaggi, alle amicizie e agli amori, alle abitudini domestiche, alle mille discussioni e polemiche con i protagonisti della cultura del tempo, per arrestarsi al 1918: la fine della Prima guerra mondiale, uno spartiacque non solo nella vita del Paese ma anche in quella del grande studioso.
Il 21 agosto 1939, qualche minuto prima di mezzanotte (ora tedesca), la radio di Berlino interruppe un programma musicale per diffondere il seguente comunicato del Deutsches Nachrichtenbüro: «Il governo del Reich e il governo sovietico hanno stretto un accordo per stringere un patto di non aggressione. Il ministro degli Esteri arriverà mercoledì 23 agosto a Mosca per la conclusione dei negoziati». [...] L'annuncio produsse clamore: «Una bomba è scoppiata ieri sera, verso le 23.00, a Berlino» - scrisse l'ambasciatore francese in Germania Robert Coulondre al ministro Bonnet. Il 23 agosto 1939, la Germania e l'Unione Sovietica stringono un patto di non aggressione conosciuto come Molotov-Ribbentrop, che suscita scalpore internazionale, e firmano un «protocollo aggiuntivo» segreto sulla spartizione dell'Europa orientale. Evocato durante il processo di Norimberga e pubblicato negli Stati Uniti in base a copie non certificate, il protocollo scatenò una controversia che prese nome dall'opuscolo I falsificatori della storia. Da quel momento le interpretazioni in Occidente e in Urss si sono divaricate: per il campo occidentale il protocollo era «vero»; per quello sovietico era «falso». Il ritrovamento, nel 1992, del «plico» che lo conteneva, invece di ricongiungere la storiografia russa a quella occidentale, ha dato inizio ad un processo di restaurazione delle tesi dei Falsificatori della storia che arriva, con Putin, fino ai nostri giorni.
«Chi ha visto le interminabili sfilate in parata delle camicie nere, dei giovani, dei contadini, degli operai, degli atleti, dei preti, delle monache, delle madri prolifiche, chi ha assistito alle cerimonie nelle quali le più alte cariche dello Stato facevano atto di devozione al regime, ed alle dimostrazioni oceaniche nelle maggiori piazze d'Italia, alle folle deliranti per il duce, può intendere quali sentimenti dovesse vincere chi continuava la lotta anche dopo superata la crisi per l'assassinio Matteotti: aveva veramente l'impressione di muovere all'assalto del Monte Bianco armato solo di uno stuzzicadenti» Ernesto Rossi Stretti nella morsa fra repressione e consenso, i reduci dei partiti messi al bando e gli oppositori militanti del fascismo, ma anche coloro che erano semplicemente scettici, poco allineati o scontenti furono emarginati, incarcerati, inviati al confino, costretti all'emigrazione e sottoposti al controllo occhiuto della famigerata Ovra. Gli spazi per esprimere dissenso - con scioperi, proteste o in forme non organizzate e in ambito privato - erano limitati ed era rischiosissimo lasciarsi sfuggire anche solo una battuta di spirito, a causa delle spie e delle delazioni. A partire dai rapporti delle prefetture, delle questure e dei carabinieri, le relazioni della censura, del Pnf e dell'Ovra, i giornali, i diari e le lettere dell'epoca, gli autori ricostruiscono le storie di una minoranza di italiani che, all'indomani del delitto Matteotti e fino alla caduta del regime, continuò a esercitare il dissenso.
«I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d'accordo con loro. [...] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L'ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all'interno di un quadro più vasto, quello di un'Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell'odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure - almeno formalmente - la guerra l'avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un'Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
Intrighi, amori, gelosie, rivalità, e soprattutto potere: chi lo deteneva come chi lo desiderava era pronto - nelle corti del Rinascimento - a sacrificare qualsiasi affetto, amicizia, sentimento. Una delle maggiori signorie d'Italia, quella degli Este; una delle corti più brillanti ed eleganti del Rinascimento, quella di Ferrara; una coppia molto unita, quella di Ercole d'Este e Isabella d'Aragona; sei figli legittimi e due illegittimi, cresciuti tutti insieme ed educati secondo i principi dell'umanesimo più raffinato. E tuttavia, nel 1505, uno di loro, Giulio, amante della bella Angela Borgia, viene accecato su ordine di uno dei suoi fratelli, il cardinale Ippolito, invaghito della stessa donna. E l'anno successivo lo stesso Giulio viene condannato alla prigione a vita insieme a Ferrante - un altro dei fratelli estensi - per aver tentato di assassinare Alfonso, il loro fratello maggiore e titolare del ducato con il cardinale Ippolito. Uno dei drammi familiari e politici più emblematici del Rinascimento italiano, analizzato con il rigore dello storico e narrato con l'estro dello scrittore.
Una storia di scelte strategiche, scommesse vinte, battaglie perdute, ambizioni e illusioni persistenti Avvalendosi di un'ampia gamma di fonti, Antonio Varsori ricostruisce l'intera vicenda della posizione italiana sullo scenario internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Più di settant'anni di storia scorrono davanti ai nostri occhi: l'uscita dal dopoguerra, la scelta occidentale, la vocazione europeista, il difficile formarsi di nuovi equilibri all'indomani del crollo del muro di Berlino e la nuova drammatica cesura rappresentata dall'11 settembre; e poi la globalizzazione economica, le trasformazioni tecnologiche, fino all'emergere di nuovi attori globali. Con mille sforzi e non senza alcuni significativi risultati l'Italia repubblicana ha risalito la china del riconoscimento internazionale, ma oggi sembra ancora più faticoso definire una coerente strategia di proiezione su scala mondiale.
Il clima di quegli anni era venato da una certa tendenza a immaginare che il mutamento culturale e politico in atto portasse a una svolta quasi apocalittica Il 22 febbraio 1962 entra in carica il IV governo Fanfani sostenuto da una coalizione fra DC, PSDI e PRI con l'astensione socialista. Era la premessa del centrosinistra «organico» che sarebbe stato realizzato nel dicembre 1963 dal governo presieduto da Aldo Moro con Pietro Nenni suo vice. Ma fu il governo Fanfani a varare quelle che sarebbero state considerate le grandi riforme del centrosinistra - la nazionalizzazione dell'energia elettrica e la scuola media unificata - dopo un dibattito lungo un decennio sulla necessità o meno di «aprire a sinistra» per affrontare i problemi che poneva la modernizzazione del paese. Avvalendosi delle testimonianze e delle riflessioni dei protagonisti, e approfondendo il comportamento delle gerarchie cattoliche, Paolo Pombeni ricostruisce un'epoca di grandi passioni politiche, di coraggio e di timori nell'affrontare un passaggio storico che avrebbe portato l'Italia fuori dal dopoguerra.
La storia dell'umanità è scandita da movimenti continui di genti e popoli, sospinti da una pluralità di motivazioni e circostanze, e con esiti che vanno dal pieno successo al totale disastro. L'autore racconta quindici vicende di migrazione che riguardano il mondo occidentale, Europa e America. Le storie si succedono secondo il diverso grado di libertà individuale che ha determinato la migrazione: dalla sua assoluta mancanza, propria degli spostamenti forzati - come nell'Unione Sovietica della Seconda guerra mondiale - al caso opposto degli spostamenti liberi, dovuti a decisioni individuali o familiari, come avvenne per la grande migrazione che fra Otto e Novecento portò milioni di persone oltre l'Atlantico verso le Americhe. Muoversi e cambiare dimora, terra, patria è una prerogativa umana, che le circostanze storiche non possono sopprimere.
«Tutti correvano incontro alla speranza della fame finita, della paura finita, della guerra finita, incontro alla miserabile e meravigliosa speranza della guerra perduta. Tutti fuggivano l'Italia, andavano incontro all'Italia» Curzio Malaparte. È stato chiamato «l'altro dopoguerra» il periodo vissuto dall'Italia meridionale e Roma tra il luglio del 1943, quando gli alleati sbarcano in Sicilia, e il maggio del 1945, quando la guerra finisce. Un lungo periodo, segnato dal procedere lento della linea del fronte verso nord, con combattimenti accaniti, violenze, atti di resistenza. Ma anche un vitale, caotico, difficile ritorno alla pace e alla libertà. La presenza ingombrante degli alleati, il ritorno dei partiti, delle radio, della stampa libera, la voglia di normalità e di divertimento, e poi la fame, la prostituzione, il banditismo, le marocchinate, la criminalità. Attingendo a lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, film, il libro compone un racconto corale, colorato, curioso e in tanti dettagli inedito di quell'Italia che per prima si affacciava al dopoguerra.
Barbara Sanseverino Sanvitale, contessa di Sala, signora di Colorno (1550-1612), fu per bellezza e spirito fra le donne più ammirate del suo tempo. «Donna, per cui Amor trionfa e regna», come la celebrò Torquato Tasso, fu cantata dai poeti e ricercata dalle corti dove era «il condimento di ogni passatempo» grazie alla sua inclinazione al divertimento. Fu organizzatrice instancabile di feste che sconfinavano spesso in incontri licenziosi, da lei stessa favoriti. In pari tempo fu lungamente impegnata in complesse controversie soprattutto circa l'amato feudo di Colorno, per il quale si scontrò con l'ambizione di incamerarlo del duca di Parma Ranuccio Farnese. Nel 1612 finì per rimanere implicata in una congiura di altri nobili parmensi avversi alle mire del duca, e come loro arrestata, processata e infine giustiziata.
All'inizio del Novecento l'Europa comandava il mondo. Il suo impero coloniale era vastissimo, in Asia, Africa, Oceania. La popolazione cresceva a ritmo sostenuto e la guerra aveva cessato da tempo di decimare le giovani generazioni.Scoperte e innovazioni producevano il miglioramento delle condizioni di vita anche delle masse rimaste in povertà. La natura, che nei secoli aveva disseminato epidemie e carestie, sembrava sotto controllo. Ma nel volgere di trent'anni si succedono due catastrofi immani. La forza distruttrice delle decisioni e delle azioni determinate dalla politica sovrasta la potenza rovinosa degli eventi naturali. I due conflitti mondiali con decine di milioni di morti, le guerre civili, le carestie, le migrazioni forzate, la pulizia etnica e il genocidio sono il frutto avvelenato di azioni politiche e mietono vittime assai più numerose di quelle provocate dai microbi, dal clima o da altri eventi naturali.
Indispensabile nella vita contemporanea, strumento di svago e di lavoro, simbolo di libertà: la bicicletta ha 150 anni e non li dimostra. Ci ha accompagnato dentro la prima modernità industriale, ha cambiato lo stile di vita di uomini e donne. Una marcia vincente ma non priva di ostacoli: ai suoi inizi essa infatti parve un attentato alla pudicizia femminile, una minaccia alla dignità dei sacerdoti cui ne fu proibito l'utilizzo, persino un incentivo alla criminalità, dando luogo a dibattiti accaniti e grotteschi. Una storia straordinaria, che attraversa tutte le vicende del Novecento, dalle guerre alla Resistenza, alla ricostruzione che s'incarnò nei trionfi di Coppi e Bartali, per giungere ai giorni nostri che vedono ormai nella bicicletta il mezzo d'elezione della nuova sensibilità ambientalista.
Si può trovare una cura per la disuguaglianza che non sia peggio della malattia? Da quando gli esseri umani hanno iniziato a coltivare la terra, ad allevare bestiame e a trasmettere i loro beni ai figli, si è realizzata una ripartizione squilibrata delle risorse: in altri termini, la concentrazione del reddito ha proceduto di pari passo con la civilizzazione. Nel corso di migliaia di anni, solo quattro «forze» - come i cavalieri dell'apocalisse - si sono mostrate efficaci nel ridurre la disuguaglianza: le grandi guerre, il fallimento degli stati, le rivoluzioni e le epidemie. Tutti eventi traumatici. Oggi la violenza che ha limitato la disuguaglianza nel passato sembra essere diminuita, ma che ne è delle prospettive per un futuro più equo? Le politiche attuate negli ultimi cinquant'anni per combattere il fenomeno non hanno dato risultati concreti: al contrario, le disparità di reddito sono aumentate quasi ovunque nei paesi occidentali. Un certo grado di disuguaglianza, che la stabilità e l'economia di mercato comportano, è forse il prezzo da pagare per vivere pacificamente?
Un mare chiuso, un mare di passaggio, una frontiera tra Oriente e Occidente; un mare che ad un tempo unisce e divide; nell’Adriatico si sono intrecciate e sovrapposte molteplici vicende di natura politica, culturale, religiosa, nazionale. Anche i mari hanno una storia, come ci ha insegnato Braudel con il suo grande Mediterraneo. Questo libro ci racconta la storia dell’Adriatico dall’antichità a oggi: storia dei popoli che vi si sono affacciati, che da sponda a sponda hanno commerciato e navigato, hanno imposto il loro dominio, come Bisanzio e poi Venezia e gli Ottomani; e volta a volta hanno convissuto o si sono scontrati, come l’Impero asburgico e l’Italia, il mondo occidentale e il mondo comunista, i paesi generati dalla ex Jugoslavia. Una storia millenaria di rotte e traffici, guerre e convivenze, che compone il ritratto di una civiltà che si è fatta sul mare, grazie al mare.
Con l'avvento delle armi da fuoco, l'organizzazione degli eserciti permanenti, il ricorso a condottieri, mercenari e militari che fanno della guerra una professione, la costruzione degli stati si accompagna a un periodo di bellicosità nuovo. Le forze armate costano sempre di più, condizionano l'economia, la società e la cultura, lasciando tracce di devastazione, ma creando anche notevoli trasformazioni nei ruoli e nel coinvolgimento delle popolazioni. Nell'Italia moderna c'era tutto questo e altro: italiani in armi che si affrontavano non solo nei vari stati regionali o al servizio di eserciti stranieri, ma erano impiegati in pace nel controllo dell'ordine pubblico, o nel presidio di cittadelle e fortezze. L'accumulazione e dilapidazione di risorse per alimentare gli eserciti non era che uno degli aspetti legati alla complessità del «militare», come è possibile verificare anche attraverso i dibattiti sul concetto di guerra giusta o legittima.
Le guerre medievali sono spesso rappresentate come scontri fra cavalieri, di norma risolti tramite eroiche singoiar tenzoni. In realtà, come ai giorni nostri, anche a quell'epoca, mettere in campo e approvvigionare un esercito era un'operazione complessa, che coinvolgeva truppe a cavallo e appiedate, tiratori e artiglierie, genieri e salmerie. Le battaglie e gli assedi, preparati con grande cura, potevano vedere in campo decine di migliaia di uomini. Eccezionali saperi, tramandati nel tempo e rodati in lunghi tornei, facevano di un aristocratico un vero cavaliere; le tecnologie incessantemente affinate mettevano a disposizione dei comandanti armi ed equipaggiamenti sempre più avanzati; mercenari e professionisti della guerra integravano sul terreno le milizie civiche e quelle contadine, in un multiforme quanto affascinante panorama.
Dopo la cronaca degli anni trascorsi al Quirinale nel settennato di Pertini, prosegue in questo volume il resoconto dell'esperienza istituzionale di Antonio Maccanico. Trascorso circa un anno e mezzo con Cossiga al Quirinale, all'inizio del 1987 Maccanico è eletto presidente di Mediobanca e in tale veste ne conduce in porto la sofferta privatizzazione. Nell'aprile 1988 assume il primo diretto incarico politico come ministro per gli Affari regionali e problemi istituzionali. Avvia il faticoso percorso delle riforme che sostarizia il tentativo del governo di Ciriaco De Mita, segretario della De e presidente del Consiglio. Nel 1989, alla vigilia del disfacimento dei regimi dell'Est europeo, lo sostituiscono rispettivamente Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti, che occupavano quei ruoli già 16 anni prima: Maccanico rimane al governo. I diari restituiscono la luce crepuscolare del quinquennio 1985-1989, caratterizzati da scelte che annunciano l'indirizzo dell'economia nella nuova realtà globalizzata e da resistenze che preludono all'esaurimento dei soggetti costituenti. Prefazione di Sabino Cassese.