La Targa Florio è nata nel 1906 e si disputa tutt'ora. Gli anni gloriosi della competizione, che si svolge in Sicilia, sulle Madonie, hanno visto la partecipazione dei più importanti campioni di ogni epoca: da Varzi a Nuvolari, da Fangio a Siffert. Ideata da un giovanissimo Vincenzo Florio, rampollo della grande famiglia di armatori e industriali, la gara ha consentito che un'area agricola e ancora dominata da un'economia feudale venisse alla ribalta internazionale delle cronache sportive e mondane. Sullo sfondo di una grande sfida della velocità, il libro ci permette di apprezzare un luogo che dal mare alla montagna custodisce straordinarie bellezze e tradizioni, nonché - chi lo avrebbe mai detto - il più alto tasso di biodiversità in Europa.
È fragile e crudele, questa città. È capace di trasformare un bacio in un morso, e sempre adoperando lo stesso paio di labbra.
«Ogni libro dovrebbe avere almeno l’aspirazione di essere eterno. Almeno, l’aspirazione: ossia sapendo che non potrà mai arrivarci, a essere eterno. Nemmeno avvicinarsi, a essere eterno. Tuttavia provarci è doveroso. E questo libro quella strada l’aveva imboccata. Ma il tempo passa, e la Città cambia e del resto sarebbe strano se così non fosse, visto che nell’arco dell’ultimo ventennio è cambiato il mondo. E siccome la parola cambiamento non è sinonimo puro e semplice di miglioramento, vale la pena di specificare: sì, in moltissime cose la Città è cambiata in meglio. Senza cedere al trionfalismo, opposto correlato del disfattismo, oggi siamo messi almeno un po’ meglio di come eravamo messi prima. Certo, c’è sempre da fare i conti con l’eterna propensione all’annacamento. Ogni due passi avanti corrisponde sempre un passo indietro, uno a destra e uno a sinistra, per cui il movimento solo in parte coincide col reale spostamento. Ma annacarsi è nella nostra natura. La storia stessa, e la storia siciliana in particolare, non è mai stata una superstrada a senso unico, ma semmai una trazzera tortuosa, dove spesso s’incontrano macchine che provengono dalla direzione opposta, allora bisogna fare marcia indietro, e si rischia in continuazione di finire in una scarpata. In certi momenti provi addirittura la sensazione di aver sbagliato strada, ma poi no: giusto, la direzione è quella. Stiamo parlando di una città dal carattere tutt’altro che stabile. Il suo fascino consiste anzi proprio nella sua natura irrequieta e irrisolta. Inutile chiederle di somigliare ad altre la cui bellezza è consolidata, composta e appagante. Nell’orditura delle sue trame ci sarà sempre un errore, nell’intonazione più calda si potrà riscontrare sempre almeno una sporcatura. Di questo non dobbiamo compiacerci ma nemmeno deprimerci oltre misura. Dobbiamo acquisire consapevolezza di essere come certi formaggi che si sottraggono alle norme igieniche dettate dall’Unione Europea, e il cui sapore deriva proprio dall’ingrediente innominabile, da utilizzare solo in minima quantità. Un ingrediente chiamato gràscia, che significa sporcizia nella variante untume. Inimitabile e indispensabile, se non si vuole snaturare la natura stessa del formaggio, trasformando in galbanino il sapore di ogni autentica tumazza.»
«Per i docenti precari nulla, dopo la compilazione del primo modulo, sarà come prima. Prove fisiche e mentali si succederanno giorno dopo giorno, sempre sopra i 38 gradi Celsius, sempre quando internet o la stampante non funzionano.»
«FIT, TFA, PAS, GAE, TIC, PTOF, PON, BES: l’iniziazione alla setta scolastica è innanzi tutto di tipo linguistico. Poi ci sono le circolari ministeriali e i bandi da decifrare. Le zie presidi connesse anche di notte a orizzontescuola.it. I gruppi di ansiogeni su Facebook informatissimi su tutte le mosse del ministero. Lo scritto e l’orale. Le infinite ore di tirocinio…».
Chiunque voglia fare dell’insegnamento il proprio mestiere deve prepararsi all’esercizio della resistenza. Per poter finalmente fare quello che, soprattutto grazie agli studenti, rimane il lavoro più bello del mondo.
"Pensa come doveva essere prima che scoppiasse", dice Camilla a mezza voce al fratello. Un po' di paura il vulcano gliela mette anche adesso. Hanno capito che un giorno di quasi duemila anni fa ha sputato fuoco, e fumo, e roccia per tre giorni, come un drago inferocito. A Pompei i bambini saltano da una pietra all'altra facendo finta di schivare gli escrementi dei cavalli antichi. Impazziscono di gioia all'idea dei grandi vasi messi a disposizione dei passanti per fare pipì che i lavandai usavano per smacchiare i vestiti. Scoprono il pane dell'ultimo giorno di Pompei, che ha le stesse forme di quello che vedono in tavola oggi. Di casa in casa, attraversiamo strade e vicoli e l'esplorazione di un passato comune diventa per adulti e bambini l'occasione per una profonda scoperta di sé e degli altri.
Pantelleria è bellezza. Esuberante di venti, di mare, di odori. Di vulcano. La sua natura estrema, nei millenni, ha costretto a trovare soluzioni, a contendere, pietra dopo pietra, terra alla lava, a opporre intelligenza alla ferocia dello scirocco e del maestrale. Isola di approdi perenni: è stata fenicia, romana, bizantina, araba, normanna, spagnola. Pantelleria è un confine non solo geografico, è una frontiera che accoglie, è un luogo che ci ricorda quanto sia fragile e al tempo stesso eccezionale la condizione umana.
"Non sono neanche a metà del guado, mi chiedo, a dispetto della fulgida retorica sul ritorno alla sana vita di campagna, se ne uscirò mai vivo". Il diario sentimentale di un agricoltore alle prese con la vita quotidiana in una valle. Che è senza nome perché è tutte le valli d'Italia.
"Mi è venuto in mente che sarebbe stato bellino scrivere un libriccino su tutto quello che c'è, di significativo e di godibile, a Pisa. Non, intendiamoci, una vera e propria guida turistica. Piuttosto, un pot-pourri di aneddoti, descrizioni, impressioni. Qualcosa che possa colpire tutti, pisani e forestieri, esperti e novellini, gente colta e livornesi. Qualcosa che non spieghi, ma piuttosto incuriosisca. 'Ti garberebbe?' gli ho chiesto io (che, d'altronde, sono pisano). "Dio Bono!" mi ha risposto lui. Ed eccoci qua."
"Il vero abitante dell'Oceano Padano non ama il mare salato, non lo capisce, se ne tiene alla larga. "Cosa me ne faccio?", pensa davanti a quella spaventosa massa dal colore estraneo, dall'odore sospetto, che al posto di scorrere, rifluisce, ripiega lamentosamente su sé stessa, innaturalmente fa avanti e indietro senza costrutto sulla riva. "Cosa ci adacquo? Ci irrighi mica i campi, con questa...", torna a ripetersi l'uomo agricolo, l'archetipo eterno della Bassa: e si allontana da sabbia e alghe e conchiglie - elementi oscenamente sterili - come covando nel cuore un segreto sgomento. Lui ama solo le rogge, i pesci di fosso, le polle d'acqua sorgiva, gli infidi canali ombreggiati dai filari di ontani, le increspature dei fili d'erba delle verdissime distese: e nella sua mente - mentre riposa al tramonto con uno stelo di fiore in bocca - vede tutto ciò tramutarsi in foraggio, concime, latte, formaggio. Lavoro. Ricchezza."
Mi sono messo in testa di percorrere la via Francigena a piedi con un gruppo di amici: quarantacinque giorni tra boschi secolari, valli disabitate e borghi suggestivi. Nella repentina decisione di attraversare l'Italia lungo le strade che vanno dal Gran San Bernardo a Roma e da Roma alla Puglia non ho fatto che richiamarmi al principio secondo il quale "camminando ci penserò". A cosa? A tutto più o meno: lavoro, costumi, pochissima politica e piaceri. Mentre mi chiedo se davvero camminare apra la mente e vivifichi lo spirito, non mancano appuntamenti pianificati e incontri "accidentali come in ogni on the road che si rispetti: contadini centenari e giovani che hanno scelto di vivere da eremiti, rockstar e artisti, ecclesiasti intransigenti e loschi malavitosi. Lungo la strada germogliano storie antichissime e struggenti che ci parlano da vicino, troppo conosciute da ognuno di noi per essere declinate al singolare.
Abbracciando suo nipote Guido Carlotto o Ignacio Hurban, tanto che importa più adesso che il sangue ha trovato una direzione, Estela potrà finalmente toccare el nieto recuperado numero 114, e sfiorare con la fantasia il 115, 116, 126, 150, fino al numero preciso di nipoti che altre abuelas come lei stanno cercando. Siamo qui a Buenos Aires per parlare con Javier Cossettini, figlio di una desaparecida, vogliamo sapere la sua storia, qual è la sua vera identità, quella naturale o quella che si è costruito in trent'anni di vita. Vogliamo saperlo, perché noi trent'anni ancora non li abbiamo. È lui, Javier, il filo conduttore di questa esplorazione attraverso i barrios di Buenos Aires. Attraverso il tango, l'economia instabile e la vita notturna, Maradona, il Boca, la passione sfrenata per il calcio. Attraverso la letteratura e gli orrori della dittatura. Attraverso l'identità di un popolo magico che ha saputo trasformare una resa in una reazione.
C'è una distesa di luce aperta e diffusa, la brezza è mite, lo sguardo si dilata nello spazio sull'ampia curva tirrenica. Ci capitarono in molti, forse per caso, forse ospiti occasionali che dovevano restare una sera e si fermavano un'estate intera: dal tempo in cui gli artisti si accorsero che per essere bello un paesaggio doveva mostrare anche l'anima, dalle Cinque Terre a Bocca di Magra sono passati centinaia e centinaia di pittori, scrittori, viaggiatori. Questa è la storia del più incredibile 'buen retiro' intellettuale italiano. Del suo splendore e del suo declino.
Le cronache di quartiere e i cliché sul carattere dei romani. La costante oscillazione tra lo stupore 'dell'anvedi' e il ruvido disincanto del 'che tte frega'. L'indolenza contagiosa e l'ironia su ogni pretesa di grandezza, il quieto disincanto e la dolce sbracatezza. I ricordi, dalla scuola con Carlo Verdone al concerto del '68 di Jimi Hendrix, dalla inflessibile 'militanza' politica in periferia a un'istantanea del centro storico nell'ultimo momento in cui è stato bello. Da Fellini a Nanni Moretti e a Sorrentino, da Carlo Levi a Pasolini e ai nuovi narratori della città. Tutto questo è Roma, raccontata da Filippo La Porta: un'ambigua, barocca miscela di disfacimento e di vitalità.
Santo Stefano è un geco sollevato sulle zampe posteriori, una piccola iguana, Barretti e Barrettini due mosche di pietra, Spargi un ragno e le tre isole più lontane, Santa Maria, Razzoli e Budelli, una stella marina con tre punte sfrangiate che potrebbero anche ricordare un anemone. Un arcipelago d'insetti. Le luci si riaccendono, stiamo per attraccare. Chi ha la macchina accende il motore. La Maddalena scintilla, si fa sempre più reale. Sulla mappa ha la forma di una fiamma pietrificata con le lingue del fuoco diramate verso l'alto.
Un salmone cinico e malinconico di nome Crodo si trasferisce nella casa di una ragazza e inizia a occuparle la stanza: le regala sagome di cartoncino che si animano da sole, la prende in giro per ogni cosa che dice, fa di tutto per impedirle la stesura del romanzo "Rotoli di seta". Salmone detesta le persone, ama la quarta fila dei cinema, non riesce a trovare lavoro, si innamora sempre ed è contraccambiato mai. Sta spesso immobile davanti alla finestra a osservare con stupore la complessità del mondo. Questa è la sua storia struggente.
Facendo base in una mansarda che divide con un amico e, occasionalmente, con qualche blatta invadente, un giovane intellettuale italiano si muove per Parigi e - fra imprevisti e probabilità - disegna sul tabellone del monopoli intricati percorsi che lo portano ad attraversare tutti i quartieri della città ("Ci incontriamo alla Galerie Hélène de Roquefeuil, in Rue Amelot, la via dei libertari tra Republique e Bastille. Quarto arrondissement. Azzurra secondo il Monopoli"), I passaggi importanti ci sono tutti: dal Musée d'Orsay al cimitero di Pére Lachaise, da Montparnasse al quartiere latino, da Beaubourg alla sfilata del 14 luglio. Ma sono visti da dentro alla cartolina, dal punto di vista di quelle piccole sagome umane che ogni tanto finiscono per caso nelle foto. Persone che passavano di là, magari per andare a fare una lezione di italiano o a parlare di riviste letterarie davanti a un bicchiere di vino; per raggiungere l'inaugurazione di una mostra o correre a un appuntamento galante. I luoghi si trasformano, così, in incontri, rivelando un'atmosfera allo stesso tempo inconfondibilmente parigina e irresistibilmente multietnica. "Perché il segreto di questa città è che davvero ti fanno felice cose apparentemente senza importanza. E penso che sarà pur vero che un francese da solo è pesante, e io lo so bene, ma presi tutti insieme, tanti francesi che vuol dire poi italiani, argentini, polacchi, algerini, diventano di colpo più leggeri dell'aria".
Ne ho visti di ulivi strani in vita mia, ma quelli di queste parti hanno forme fuori da qualsiasi logica progettuale, come se la natura li avesse affidati a un artista strambo che con le sue sculture vuole esprimere solo stupore. Gli ulivi sembrano l'istantanea di un movimento convulsivo. Alberi autolesionisti che si squarciano il ventre per creare caverne in cui vivono animali, insetti e folletti dai cappelli rossi. Alberi che annodano i propri rami per ingannare le simmetrie, e che anche quando il vento è assente e sono immobili appaiono fluidi e impetuosi come dervisci roteanti. Gli ulivi di queste brulle e arse pianure posano come divi esibizionisti che ostentano le proprie forme sicuri di essere unici.
"Non avrei mai potuto scrivere questo racconto della mia Romagna senza gli anni di studio forsennato ai tavolini del Bar di Sopra, a Casola Valsenio (Paese dei Matti, di Alfredo Oriani, delle Erbe Aromatiche e dei Frutti Dimenticati). Mi sono ammollato nell'avventura di questo libro anche per dare un po' di pace alla folla di voci che mi fanno compagnia da una vita intera, e che non stanno mai zitte. In una terra di chiacchieroni come la nostra, popolata da gente che bacaglia da mattina a sera, il passato e il presente si mischiano in continuazione e niente ha mai davvero un principio e una fine. E come unità di misura, ho usato la mia dolcissima e sgangheratissima famiglia. Mi è stata donata una infanzia selvatica e ingavagnata, dignitosamente povera e felice, trascorsa in un minuscolo appartamento delle Case Popolari insieme a mia mamma e i miei nonni materni, gli unici nonni che abbia mai avuto; non avevo nemmeno bisogno di andare al cinema per godere di un qualche spettacolo, mi bastava aspettare l'ora di pranzo, e qualcosa di mirabolante sarebbe sicuramente accaduto. Sono uno degli ultimi della mia generazione a essere nato in dialetto, tra persone che parlavano solo quello, e sono cresciuto in una lingua meticcia italiano romagnola in cui le cose accadevano diversamente."
Massa, Carrara. Due borghi selvaggi, refrattari. L'Apuania è una terra di confine, marcata dalle Alpi Apuane. Tra cave e mare, ma ritratta verso l'interno: è nella resistenza delle montagne l'anima di questa terra ribelle. Da sempre le storie degli anarchici - sono le bandiere nerorosse a identificare prima di tutto questa terra - e dei partigiani qui hanno proliferato, così come la gioventù ribelle degli anni Settanta. È terra visionaria, questa (fin dalla geografia: basta salire al biancore abbacinante delle cave per accorgersene). E attorno ai tavoli di marmo delle osterie si coglie ciò che, nel rumore delle città, non si riesce più a percepire.
"Quando una persona si aggira per Bolzano, sia un bighellone perdigiorno o un iperattivo pieno di appuntamenti fissi, presto o tardi, voglia o non voglia, finisce regolarmente per imbattersi in uno degli svariati palazzi della Provincia. Non so quanti siano. Ma sono tanti. Sono imponenti. Sono onnipresenti. La Provincia, a Bolzano, non è irrilevante, non è indifferente, ossia, fuor di litote e fuori dai denti: è pressoché onnipotente. E come quelli che hanno già molto, o moltissimo, anche la Provincia vorrebbe sempre di più, cioè ancora più competenze, oltre a quelle che le spettano in base allo Statuto di Autonomia e relative Norme d'Attuazione. Vai in Provincia, chiedi alla Provincia, fai domanda in Provincia, sono tutte espressioni correntemente in uso presso i bolzanini, i meranesi, i brissiniesi, i brunicensi, i venostani, i pusteresi, i gardenesi e badioti e tutti gli altri indigeni, oltre che presso i forestieri avventizi o stabili o stabilizzandi": ma cosa vuol dire vivere da provinciale a Bolzano o dintorni? Lo racconta Alessandro Banda, trattando diffusamente della biografia dell'unico altoatesino (o sudtirolese) che egli conosca davvero bene, e cioè se stesso. Un'insolita guida agli aspetti, noti e meno noti, che caratterizzano Bolzano, Merano, Bressanone e le altre località dell'Alto Adige, scritta con l'occhio di un perenne outsider che registra i paradossi delle invasioni turistiche, delle passeggiate panoramiche, dei luoghi comuni delle guide.
Crescendo in Versilia, un bambino impara subito che al mondo esistono differenze clamorose. Differenze tra le stagioni - in un paese che d'estate è Las Vegas e nel resto dell'anno ricorda Bucarest - e differenze sociali, sbattute in faccia senza pietà dalle sfarzose vite dei bambini villeggianti, biondi e viziati e senza dubbio migliori di noi. Una cosa deve essere chiara da subito, sennò di questo posto non si capisce nulla. Perché uno dice Versilia e pensa al lusso sfrenato, alle ville con la pista per gli elicotteri, ai furgoni con scritto "caviale", agli hotel cinque stelle per cani e al citofono per ordinare lo champagne senza doversi alzare dalla sdraio. Ma non è sempre stato così. Mio babbo faceva l'idraulico, e andava a lavorare a casa di Mina. Cioè, il mio babbo era l'idraulico di Mina. E certe volte, siccome lui si chiama Giorgio, lei passando gli cantava Giorgio, Giorgio del lago di Como... Il mio babbo aggiustava lo scarico della fognatura e intanto Mina cantava per lui. Una volta l'ho raccontato a un arredatore di Bologna e si è dovuto mettere a sedere perché sveniva. E invece il massimo commento del mio babbo, quando gli chiedo di quei giorni, è "Mi pare che cantava bene". Dire che vivi qua è una scelta abbastanza impegnativa. Va tutto liscio se stai a Roma o Milano o Ponte Biscottino. Ma se dici che vivi a Forte dei Marmi la gente va fuori di testa e non ti lascia più andare. Perché al Forte ci sono stati tutti, almeno una volta. Però d'estate, per le vacanze.