Alfonso de' Liguori (1696-1787), napoletano, è una straordinaria personalità che attraversa un Settecento italiano in rapporto con tutti i fermenti europei di un mondo che viveva lo scontro tra gli antichi regimi e il secolo dei lumi. Napoli fu, per Alfonso, il brodo di coltura per riproporre un cristianesimo accessibile agli strati neoborghesi sino a quelli più poveri e diseredati della popolazione. Fondatore, nel 1732, della Congregazione del Santissimo Redentore, i «redentoristi», dopo trent’anni di vita missionaria nel 1762 è nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti (Benevento).
Il presente volume di Giovanni Velocci ci fa comprendere come il suo pensiero e la sua opera pastorale abbiano avuto una straordinaria influenza nella vita della Chiesa che era in difficoltà a navigare nelle temperie del tempo. Enorme, all’epoca e negli anni a seguire, la sua influenza sul clero, su pastori e confessori, una grande brezza di fiducia per generazioni di perplessi. La proclamazione a «Dottore della Chiesa» è avvenuta a riconoscimento della genialità del suo carisma nel trasmettere alla gente, con estremo «buon senso», una modalità di vita cristiana in cui preghiera, sacramenti, devozioni, e con essi una saggezza del vivere, entrassero nella quotidianità e accompagnassero ogni uomo. Proprio in un mondo che da più lati contestava la stessa esistenza di una sfera spirituale portando al distacco che noi chiamiamo secolarizzazione, ma anche deculturalizzazione, sant’Alfonso permise a preti e popolo di sperimentare quello che Panikkar chiama una pienezza di umanità e che, in altri termini, si può chiamare la «santità per tutti».
Il titolo di questo volume trasferisce all’opera di san Giovanni della Croce la definizione («Divino Cantico») che egli dava del biblico Cantico dei Cantici. Per secoli questo sacro poema era stato commentato per offrire ai credenti splendidi «trattati» sul mistero della Chiesa e sulla mistica unione dell’anima con Dio.
Poi, sul finire del XV secolo, la cristianità si era lacerata e la teologia aveva cominciato a indurirsi nelle controversie e nelle sottigliezze esegetiche, al punto da dimenticare (o perfino temere) l’antico Cantico, cuore della Scrittura. Giovanni della Croce assunse allora la missione di commentarlo in forma nuova, anche poetica (per la prima volta!): così il testo sacro rivisse nel suo Cántico Espiritual, un poema che «arde di passione più di qualsiasi poesia profana», ma in cui si sente aleggiare «lo Spirito di Dio che è passato di qui, abbellendo e santificando tutto» (Damaso Alonso). In seguito, commentando ripetutamente il proprio Cantico (e aggiungendovi altri poemi), egli poté annunciare alla Chiesa la centralità assoluta dell’amore sponsale che Dio offre a ogni singola creatura umana. Un Dio «inaudito» che, dalle pagine del mistico spagnolo, può parlarci così: «Io sono tuo e per te; sono felice di essere come sono, per essere tuo e donarmi a te» (L 3,6).
L’Autore di questo volume, ripercorrendo tutto l’itinerario spirituale offerto da san Giovanni della Croce (a partire da una nuova traduzione dei suoi poemi), ha inteso sottolineare con rara insistenza che nessun dramma o problema ecclesiale può essere davvero compreso e vissuto, se ci si colloca a un’altezza inferiore di questa e a una minore profondità. Il carisma del Santo carmelitano (e di chi si fa suo discepolo) è tutto in questa esperienza offerta come principio pedagogico: quando l’uomo si lascia attrarre dal Cuore di Dio, egli va, contemporaneamente, verso la massima profondità del proprio cuore e verso i più lontani confini, là dove ogni creatura umana può essere riconosciuta e accolta.
Sia durante la sua vita, sia dopo la morte, Armand Jean Le Bouthillier, abate de Rancé, fu una figura controversa. Da vivo, fu stranamente ammirato da molti, benché avesse, come ha osservato un recente biografo, «un genio infelice per incorrere in ostilità non necessarie». Da morto, continuò a suscitare reazioni estreme - fu amato così come detestato. Un biografo lo soprannominò «l’abate tempesta»; altri lo dipinsero in panegirici agiografici.
Il presente volume colloca Rancé sullo sfondo colorito e stravagante della Francia del Seicento e corregge le caricature, sia quelle menzognere, sia quelle troppo elogiative, esplorando il mondo che circondava e che formò questo monaco sempre affascinante: i circoli esclusivi dell’ancien régime in cui il giovane Rancé si mosse; e l’austero ambiente monastico che egli creò a La Trappe.
«Questo non è tanto un libro su Rancé, ma intorno a Rancé», scrive l’autore. «Non mi aspetto che convincerà la gente che non ama Rancé ad amarlo; però può servire a spiegare perché disse e fece quel che disse e fece nella maniera in cui lo disse e lo fece».
Questo breve saggio di Inos Biffi
non solo ci fa comprendere l’itinerario
culturale di Newman, ma a un tempo ci
illumina sulla sua santità.
Tema fondamentale di questo opuscolo
è la relazione tra Newman e i
Padri, che – egli afferma – lo hanno
fatto cattolico.
L’incontro con questi «antichi luminari
della Chiesa» appare precoce nella
vita di Newman, ma la loro frequentazione,
che nasceva da una profonda consonanza
intellettuale e affinità spirituale,
lo accompagnerà per tutta la vita. Egli
affermerà che la lettura dei Padri era per
lui fonte di «delizia»; li sentiva, infatti, e
li considerava come suoi familiari.
Alcuni di essi erano i suoi «vecchi amici
del secolo IV», e i loro scritti li considerava
come i suoi «archivi di famiglia».
Il primo capitolo offre una sintesi di questa “amicizia”,
partendo dal testamento in cui richiama alcuni di questi
Padri, affidando loro la sua anima e il suo corpo. Il secondo
capitolo descrive minutamente la sua
visita a Milano, la «città di sant’Ambrogio
» – come egli la chiama, scrivendo
agli amici in Inghilterra: di quel
«maestoso Ambrogio», che fu uno dei
«vecchi amici» di quel secolo IV, dove
egli ritrovò il modello dell’ortodossia e
quindi della Chiesa “cattolica”, o la
Chiesa vera e “compiuta”.
L’ultimo capitoletto è uno schizzo
sulla santità di Newman: una santità
maturata nel silenzio e nella persuasione
che – sono parole sue –, «se siamo
pazienti, Dio lavora per noi. Egli lavora
per coloro che non lavorano per se
stessi».
Lasciò anche scritto: «Gli uomini
illustri agli occhi del mondo sono grandissimi
da lontano, mentre avvicinandosi
rimpiccioliscono; ma l’attrazione
esercitata da una santità inconsapevole possiede una forza
irresistibile. Essa persuade il debole, il timido, il dubbioso e
l’indagatore». Ora è la santità di Newman a persuaderci.
Inos Biffi è docente ordinario emerito di Storia della teologia medievale e di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia
Settentrionale (Milano) e docente incaricato presso la Facoltà di Teologia di Lugano. È presidente dell’Istituto per la Storia della
Teologia medievale di Milano e dirige in collaborazione le collane Biblioteca di Cultura medievale e Eredità medievale. Storia della
Teologia da Boezio a Erasmo da Rotterdam presso la Jaca Book. Presso la Facoltà di Teologia di Lugano è direttore dell’Istituto di
Storia della teologia. Nell’ambito del Medioevo è autore di ricerche sui teologi di scoli XI, XII e XIII. È curatore, in collaborazione, dell’opera
Omnia (latino-italiano) di Sant’Anselmo d’Aosta e del Corpus Colombiano. È dottore aggregato della Biblioteca Ambrosiana.
Larga parte della su attività è anche dedicata al campo della liturgia, particolarmente di quella ambrosiana, della quale ha curato la
riforma. Collabora alle principali riviste teologiche, tra cui «La Scuola Cattolica», «Teologia», «Communio» e «Rivista Teologica di
Lugano». Presso la Jaca Book è in corso di pubblicazione la sua Opera Omnia.