E’ il peccato di Lucifero invidioso dell’uomo, quello di Caino verso Abele, quello di Jago nei confronti di Otello, ma anche quello di Grimilde verso Biancaneve. Se è vero che ogni vizio comporta piacere, ciò non vale per l’invidia, veleno dell’anima che genera tormento e sofferenza: si soffre di fronte al bene e alla felicità altrui, vissuti come diminuzione del proprio essere e segno del proprio fallimento. L’invidia nasce sempre dal confronto. Perché lui/lei sì e io no?, ci si chiede dirigendo sull’altro uno sguardo maligno. Una domanda che deve restare segreta, perché rivela la nostra inferiorità. Dall’antichità alle società moderne e democratiche, dove l’invidia trova la sua humus ideale, dalla fiaba sino alle veline dei nostri giorni, l’autrice racconta le metamorfosi di questa passione "triste", ma non priva di violenza, quando si trasforma in risentimento che inquina le relazioni, depotenzia l’Io, paralizza le energie.
Elena Pulcini insegna Filosofia sociale nell’Università di Firenze. Tra le sue pubblicazioni "Amour-passion e amore coniugale" (Marsilio, 1990), nonché, edite da Bollati Boringhieri: "L’individuo senza passioni"( II ed.(2002), "Il potere di unire" (2003), "La cura del mondo" (2009).
Camillo Cavour e Otto Bismarck sono i costruttori degli Stati nazionali italiano e tedesco, e due grandi modelli di leadership politica. Esercitando una guida politica secondo la logica parlamentare liberale, in una dinamica politica carica di contrasti, dura e vivace, Cavour è leader risoluto nel parlamento e in forza del parlamento. Si crea così il "modello Cavour" che diventa attraente per i liberali tedeschi. Ma l'unità tedesca segue altre strade grazie a Bismarck che incarna il principio d'autorità monarchica, pur utilizzando in modo spregiudicato strumenti democratici. In costante tensione e conflitto con il parlamento, dispone del formidabile strumento militare dell'esercito prussiano. Sullo sfondo degli avvenimenti italiani del 1859-61 e di quelli tedeschi del 1866-67, il volume ripercorre i processi di decisione politica di Cavour e di Bismarck, i loro stili di governo tra liberalismo e cesarismo in una dialettica tuttora presente nella vita politica contemporanea.
Gian Enrico Rusconi è professore emerito dell'Università di Torino, Gastprofessor nella Freie Universität di Berlino ed editorialista della "Stampa". Con il Mulino ha pubblicato tra l'altro "Rischio 1914" (1987), "Se cessiamo di essere una nazione" (1993), "Resistenza e postfascismo" (1995), "Patria e repubblica" (1997), "L'azzardo del 1915" (2005).
E' un flusso potente di energia, che può esplodere per un'ingiustizia subita, un amore ferito, una speranza delusa o un sentimento di vergogna; è una passione forte che può sconvolgere la vita del singolo o il corso della storia, e che spesso si incrocia con l'odio, il risentimento e la superbia, accompagnandosi al desiderio di vendetta o di riscatto. Molteplici strategie sono state attivate per inibire, canalizzare o sublimare il suo impeto spesso selvaggio. Lo sguardo del filosofo, cogliendone il senso e offrendone una spiegazione teorica, getta luce anche sulle infinite manifestazioni di questo nodo dell'anima, sulle sue origini naturali e culturali, sulle sue declinazioni storiche, politiche e sociali, essendo l'ira in grado di mobilitare sette, partiti, folle o interi popoli. Una forza dirompente, non sempre negativa, che può essere elaborata e riportata a proporzioni adeguate alle circostanze e a criteri di giustizia.
Remo Bodei, professore di Filosofia nella University of California, Los Angeles, ha insegnato a lungo alla Scuola Normale Superiore e all'Università di Pisa. Tra le sue numerose pubblicazioni: "Geometria delle passioni" (Feltrinelli, VII ed. 1991), "Destini personali" (Feltrinelli, III ed. 2002), "Paesaggi sublimi" (Bompiani, 2008), "La vita delle cose" (Laterza, IV ed. 2009); con il Mulino "Le forme del bello" (II ed. 2005), "Ordo amoris" (III ed. 2005) e "Piramidi di tempo" (2006).
Che si parli di Ogm, cellule staminali o situazioni di fine vita, il dibattito pubblico sembra prigioniero di uno schema consolidato. Da un lato i fautori di uno sviluppo illimitato della tecnoscienza; dall'altro, coloro che invocano un argine all'invasione di campo della ricerca in ambiti tradizionalmente appannaggio di scelte e pratiche sociali, politiche o religiose. Paradossalmente i due fronti condividono un medesimo pregiudizio. Entrambi considerano scienza e società come entità internamente compatte, rigidamente separate e reciprocamente impermeabili. Alla scienza spetta di mettere continuamente sul tavolo nuove proposte, che la società attende al varco per boicottarle. In realtà i frequenti cortocircuiti tra discorso scientifico e opinione pubblica, tra le priorità della ricerca e le aspettative di cittadini e consumatori erodono i confini tra scienza e società evidenziando le divisioni entro i rispettivi fronti: si pensi ad esempio alle discussioni su temi quali il clima, l'energia nucleare o la biomedicina. E' questo intreccio - qui illustrato in una stringente argomentazione - ad alimentare l'antagonismo fra scientisti e antiscientisti, in un illusorio gioco delle parti che impedisce di cogliere e di valorizzare pienamente le sfide della tecnoscienza.
Massimiliano Bucchi insegna Scienza, Tecnologia e Società all'Università di Trento. Tra i suoi libri: "Scegliere il mondo che vogliamo. Cittadini, politica, tecnoscienza" (Il Mulino, 2006, tradotto anche in inglese); "Handbook of Public Communication of Science and Technology" (con B. Trench, Routledge, 2008); ha ideato e curato l'"Annuario Scienza e Società" (con F. Neresini, Il Mulino, 2010).
Queste pagine ci offrono una ricostruzione culturale e semantica del monoteismo a partire dai suoi primissimi esordi nell'antico Egitto. Nel contesto di quel mondo politeista, l'affermarsi dell'idea di una Verità esclusiva rappresentò una novità radicale e rivoluzionaria, che andò a contrapporre Dio a tutto ciò che non è Dio, e la religione a tutte le altre forme di credenze, che presero a essere rifiutate in quanto superstizione, paganesimo o eresia. Tratto distintivo del monoteismo delle origini - sottolinea l'autore - non è l'"unicità" di Dio, che è un concetto filosofico, ma la "differenza" di Dio rispetto a tutti gli altri dèi. Ricollegandosi a "Non avrai altro Dio", Assmann riprende qui il tema del monoteismo per chiarirne magistralmente la vicenda storica.
Jan Assmann è professore emerito di Egittologia nell'Università di Heidelberg. E' autore di molti libri, fra i quali, tradotti in italiano: "La memoria culturale" (1997), "Potere e salvezza" (2002) e "La morte come tema culturale" (2002), tutti pubblicati da Einaudi, "Mosè l'egizio" (Adelphi, 2000) e "Non avrai altro Dio" (Il Mulino, 2007).
La separazione tra pubblico e privato tende ormai a scomparire. Le scelte relative alla vita e alla morte, come al corpo e alla sessualità, escono dalla sfera privata e sembrano richiedere una stipulazione pubblica, non solo in termini giuridici, ma anche etici. In tale contesto, le religioni si trovano oggi ad esercitare una forte leadership culturale, per la loro capacità di fornire risposte rassicuranti a domande diffuse che riguardano temi come verità, bene comune, identità individuale e collettiva. L'etica laica, che non fonda i suoi argomenti sulla tradizione o su una presunta legge di natura, e cerca principi pratici condivisi, è sfidata a dare a sua volta risposte, se non rassicuranti, ragionevoli e convincenti. Vincere questa sfida comporta ripensare la laicità andando oltre il quadro mentale del Novecento e l'esausto dibattito tra laici e cattolici. Al modello neutralista, quando non decisamente antireligioso, della laicità statale va preferito un modello di laicità inclusiva, aperta alle manifestazioni religiose, incentrata sull'eguale libertà degli individui, consapevole dell'ormai ineludibile pluralismo religioso ed etico delle nostre società. Una laicità che è soprattutto una virtù morale e politica dei cittadini, oltre che un principio costituzionale. Quella che va allora esplorata, secondo quanto ci propongono queste pagine, è la tradizione della tolleranza, intesa come rapporto di reciproco rispetto e eguale dignità.
Claudia Mancina insegna Etica nella Facoltà di Filosofia della Sapienza - Università di Roma. Tra le sue pubblicazioni: "Oltre il femminismo. Le donne nella società pluralista" (Il Mulino, 2002); "Laicità e politica", in "Laicità" (a cura di G. Boniolo, Einaudi, 2006); "Il bene", in "Donna m'apparve" (a cura di N. Vassallo, Codice Edizioni, 2009). E' membro del Comitato nazionale di Bioetica.
I Templari, l'ordine religioso-militare più potente del Medioevo, con tutta probabilità per un certo periodo custodirono la sindone oggi conservata a Torino. Venerato nel più rigido segreto e conosciuto nella sua reale natura solo dai maggiori dignitari dell'ordine, il telo era conservato nel tesoro centrale dei Templari, che avevano fama di essere autorità nel campo delle reliquie. In un'epoca di confusione dottrinale diffusa in gran parte della Chiesa, la sindone per i Templari rappresentava un potente antidoto contro il proliferare delle eresie. Seguendone l'itinerario nel corso del Medioevo l'autrice procede anche a ritroso nel tempo, fino agli albori dell'era cristiana, aprendo una prospettiva nuova sulla controversa reliquia.
Barbara Frale, storica ed esperta di documenti antichi, è ufficiale dell'Archivio Segreto Vaticano. Studiosa dei Templari e delle crociate, ha scritto "L'ultima battaglia dei Templari" (Viella, 2001), "Il papato e il processo ai Templari" (Viella, 2003) e "I Templari" (Il Mulino, 2004; trad. inglese, francese, spagnola, portoghese, polacca e ceca).
A Reinhart Koselleck, uno dei grandi protagonisti della storiografia contemporanea, dobbiamo l'elaborazione di un ambizioso e influente modello di storia concettuale, fondato sulla convinzione che la dissoluzione del mondo antico e la nascita del mondo moderno abbiano lasciato tracce vistose nella storia dei termini e dei concetti politico-sociali. "Storia", "progresso", "sviluppo", "emancipazione", "crisi", "utopia": interrogando le trasformazioni, in termini sia di continuità sia di scarto, di questo lessico è possibile cogliere le complesse dinamiche che hanno caratterizzato il passaggio alla modernità. Non solo: le riflessioni di Koselleck si prestano anche ad un fertile confronto con le grandi sfide della contemporaneità, dalla crisi ecologica al tramonto delle tradizionali forme di associazione politica, al problematico rapporto tra memoria e identità.
Paola studia all'università e lavora il fine settimana in un supermarket per pagarsi una "taglia in più" di seno. Laura ha deciso di cancellare le rughe del viso con un lifting per salvare il suo matrimonio. Piero è deriso dai compagni per le sue orecchie a sventola e i genitori stanno pensando di farlo operare. Trasformare il corpo a colpi di bisturi è una pratica sempre più diffusa, ma è davvero una novità solo degli ultimi anni? E perché lo facciamo, per piacere a noi stessi o agli altri? Rossella Ghigi ripercorre la storia della chirurgia estetica scoprendo insospettabili continuità nel processo che ha portato alla banalizzazione di questa pratica nell'era contemporanea. Dalla ricostruzione dei nasi tagliati nei duelli medioevali alla cancellazione dell'infamia della sifilide, dalla correzione del "naso da ebreo" negli immigrati del primo '900 alla occidentalizzazione degli occhi asiatici del secondo dopoguerra sino al corpo scolpito della donna in carriera, quello che è chiamato in causa è soprattutto l'individuo e il suo desiderio di integrazione sociale. Più che a istanze di eccezionalità corporea, la chirurgia estetica sembra rispondere a un bisogno di "normalità" esteriore, quale che sia il significato attribuito a questa parola nelle diverse epoche.
"In filosofia capita spesso, mentre si procede nella ricerca, di imbattersi in un pendio ripido e scivoloso. Si può decidere di saltarlo e di andare avanti lungo la strada maestra. Ma possiamo, in alternativa, lasciarci scivolare fino al fondo del fossato, per poi uscirne arrampicandoci faticosamente e tornare a progredire lungo il nostro percorso". Sono parole che, meglio di qualunque descrizione, valgono a dare un'idea dello spirito di questo breve libro in cui Michael Dummett presenta il proprio punto di vista su alcune delle più profonde questioni filosofiche. Originato da una serie di conferenze (le prestigiose Gifford Lectures), il volume si propone di trattare della nozione di realtà e dei vari modi in cui il linguaggio può riferirsi ad essa utilizzando uno stile piano e comprensibile, pur se non sempre elementare. Ne risulta una lettura piacevole e talora persino divertente per il gusto del paradosso e della provocazione intellettuale che permea le riflessioni di uno dei più autorevoli filosofi inglesi viventi.