«Quando sei per strada e sei avvilito perché non sai bene dove andare, e a un incrocio appare quella meravigliosa freccia che dice: Tutte le direzioni». Ormai è come se Francesco Piccolo li avesse brevettati, i momenti di cui è fatta la vita: c'è qualcosa, nella qualità del suo sguardo, che dilata il tempo delle nostre giornate, imprestandoci la sua leggerezza e la sua vitalità. Fino a farci chiedere se davvero è così trascurabile, tutto questo.
«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova», sentenziava il grande Hercule Poirot. Nei racconti di Gabriele Pedullà una coincidenza è appena un'avvisaglia, due sono l'annuncio che qualcosa di inatteso sta per accadere, ma tre coincidenze non si dovrebbero augurare neanche al proprio peggior nemico. O forse neppure esistono più le coincidenze, per le donne e gli uomini seduti al tavolo da gioco di Pedullà. E nella curiosità che li spinge ad alzare ogni volta la posta - rimettendo in discussione verità e certezze - conviene riconoscere piuttosto l'opera di un genio maligno in vena di buffonerie. Giacomo avrebbe solo voglia di dormire; l'ingegner Luigi Bassetti cerca di fare carriera con la cucina cinese; Olindo ha nostalgia della nebbia; Eliana e G. rievocano la giovinezza leggendaria del loro amico Vale... A fare da innesco a queste storie c'è sempre un viaggio - sospirato, temuto, ricordato - che puntualmente si rovescia in smarrimento. Perché, come una foschia, un alito oscuro soffia in queste pagine dove nulla è prevedibile, e quando alla fine il pericolo si manifesta apertamente il primo a pagarne le conseguenze è proprio chi credeva di esserne al riparo. A cominciare dal lettore.
Nelle pagine di Franca Valeri autobiografia e pensiero, ironia e intelligenza, s'intrecciano per dare vita a un'analisi lucidissima e spietata del mondo in cui viviamo. Attraverso ricordi che spaziano dal teatro ai legami affettivi, e con un passo tutto suo, Franca Valeri ripercorre gli anni febbrili del secolo scorso e li confronta con il tempo presente. L'avvento del Terzo Millennio, atteso come una promessa, può rivelarsi in un certo senso una delusione. Il fil rouge è il tema della noia con le sue molteplici sfumature, declinazioni, cause ed effetti: «Non tutte le noie sono uguali: c'è quella in cui si sbadiglia aspettando la fine del giorno senza scopo e c'è, invece, quella più insopportabile in cui è lo scopo che si rivela noioso. La noia è un sentimento eroico, se ti afferra sulla tomba di un eroe o se lo vivi dietro un vetro in attesa di un amante ritardatario». "Il secolo della noia", divertendoci e facendoci riflettere, interroga ciascuno di noi: il presente corrisponde a quello che ci aspettavamo? E in quale direzione stiamo andando?
Pur diversissimi l'uno dall'altro, i sei racconti di "Presenza", tra gli ultimi lavori di Arthur Miller, sono accomunati da due temi in qualche modo contrapposti: sesso e morte. L'incontro dei corpi è infatti descritto come qualcosa che annebbia ma vivifica, come un rapimento estatico che seppure solo fugacemente dà l'illusione di poter beffare la dissoluzione fisica, e dunque può assumere una dimensione insieme bestiale e sacrale, come nel racconto che dà il titolo alla raccolta. Il punto di vista è sempre maschile, ma l'età e lo status sociale dei protagonisti variano. Il ragazzino che vuole adottare un cane in "Bulldog" viene sedotto da una donna appena conosciuta ed entra cosi nell'inebriante mondo degli adulti. In "Il manoscritto nudo" uno scrittore in crisi artistica e personale cerca di ritrovare l'ispirazione scrivendo sul corpo di una giovane reclutata con un annuncio su un giornale. E un volto sorridente sotto l'ampia tesa di un cappello di paglia nera è l'immagine della moglie che, a distanza di anni dalla sua morte, Mark Levin conserva impressa nella memoria. Quel giorno, mentre la guardava allontanandosi a bordo dell'auto di un conoscente, aveva deciso di amarla di più. E quella notte ne aveva riscoperto il corpo nella luce lunare che inondava la loro camera d'albergo a Haiti. C'è il dolore personale del lutto e della nostalgia in "La distillerìa di trementina", ma anche quello collettivo del naufragio delle speranze e degli slanci, come il tentativo nobile e al contempo sciocco di improvvisare un impianto di produzione in un'area già condannata dall'avidità dei potenti di turno.
Il Procedimento Penale Numero 1 ha inizio il1o gennaio davanti alla Corte suprema. L'ex Presidente di un innominato paese dell'Europa dell'Est arriva sotto scorta militare: una figura bassa, tarchiata, con indosso un impermeabile abbottonato e i suoi soliti occhiali spessi, con le lenti leggermente colorate. Scende dalla Cajka, si leva il cappello e mette in mostra ancora una volta una testa che la nazione non stenta a riconoscere, per via dei numerosi francobolli che l'hanno raffigurato. E Stoyo Petkanov, Presidente destituito e intransigente veterano del partito lealista, finalmente chiamato a rispondere dei propri reati. In aula deve scontrarsi con il Pubblico Ministero Peter Solinsky, figlio di un intellettuale del Partito e vittima del regime. In un paese abituato a nascondere e tacere, la diretta televisiva è una delle tante trovate della pubblica accusa. La popolazione vorrebbe vederlo inchiodato per reati gravissimi - omicidio di massa, tortura, rovina della nazione - ma finirà per essere condannato per reati minori e solo grazie a un sotterfugio. Ispirandosi al modello del romanzo politico, Julian Barnes offre un crudele affresco della transizione che l'Europa dell'Est intraprende con l'emergere di un ordine democratico, ma le differenze tra buona e cattiva ideologia, tra comunismo sovietico e capitalismo occidentale rimangono volutamente sfocate e sul palcoscenico della vicenda si manifesta il rovescio di un presunto mondo nuovo. Solinsky percorre un cammino destinato a condurlo a consapevolezze scomode sul sistema, sulla speranza democratica e, in ultima analisi, su di sé. D'altro canto le parole con le quali il deposto dittatore sfida «il lato banale della virtù» sono acute, taglienti e capaci di rivelare confini fumosi tra il mito stanco del passato e l'illusione fragile del domani, arando solchi di verità moleste anche nei semplici testimoni della Storia.
Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l'attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Nel frattempo, in paese, alcuni episodi cruenti turbano la serenità degli abitanti. Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, come delitti efferati, coincidenze lunari e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell'Ottocento, il romanzo è l'esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano, ed è al contempo un'originale variazione sul tema del doppio.
Babasunde, che ha perso il suo nome. E quella ragazza intirizzita che cammina verso la stazione. Rrock Jakaj, violinista di Scutari. Jean-Claude Izzo, commosso dall'ascolto di una canzone di Murolo. E poi Tinochika detto Tino, che si è aggrappato con tutto se stesso allo sguardo di una donna. Gianmaria Testa ritorna - questa volta non nelle vesti di cantautore ma di scrittore sul tema delle migrazioni contemporanee. E lo fa senza retorica e con il solo sguardo sensato: raccontando storie di uomini con una lingua poetica e tagliente, insieme burbera ed emozionata. A dieci anni dall'uscita del disco "Da questa parte del mare", che ha ricevuto la Targa Tenco nel 2007 come migliore album dell'anno, quelle canzoni così vive e attuali generano qualcosa di nuovo: un altro tipo di scrittura e di voce. "Ho l'impressione che nei confronti del fenomeno delle migrazioni abbiamo avuto uno sguardo povero e impaurito che ha fatto emergere la parte meno nobile di noi tutti, - scrive. Bisogna avere occhi, cervello e coraggio da spendere". Prefazione di Erri De Luca.
Le interrogazioni, i compiti, il tempo che non passa mai, sono gli incubi di qualunque studente. Tranne che in questo libro, dove è il professore a non essere preparato. Nato su Facebook e diventato molto rapidamente un fenomeno virale, "Tranquillo prof, la richiamo io" racconta di un docente non autorevole, spaventato, in cerca di riconoscimento, alle prese con degli studenti straordinariamente precisi, attenti, consapevoli del proprio ruolo. Attraverso telefonate, mail, sms, appuntamenti in chat, si srotola una divertentissima quanto atipica e struggente storia d'amore: con tanto di innamorato respinto (il prof), amata sfuggente (la classe), attacchi di gelosia (per la supplente) e paura dell'abbandono (ogni volta che una vacanza si avvicina)... Sembra il mondo alla rovescia, invece è la rappresentazione clinica della crisi dei presunti adulti, personaggi fragili e alla deriva. Una tragicommedia surreale. Una buffissima operetta morale.
Zeta è un signore grassottello, vestito in modo antiquato (porta una bombetta marrone!), abituato a una vita di agi (di nuovo Epicuro?), che ogni pomeriggio prende posto sulla panchina di un parco e coinvolge i passanti in allegre discussioni. Sul suo conto il pubblico, e con esso anche i curatori che si sono presi la briga di annotare quanto andava dicendo, ha opinioni discordanti: alcuni lo considerano un saggio, altri uno sputasentenze, una "persona poco seria", un clown, un polemico filosofo. Molti scuotono la testa e tirano via, alcuni si fermano. Per quanto differenziati siano i giudizi, è comunque indubbio che si tratta di un oratore fuori dagli schemi, che può dire cose che altri preferiscono tenere per sé, mettere in discussione pregiudizi e verità acquisite. E così, pomeriggio dopo pomeriggio, questo insolito pensatore riflette sulla storia, sull'intelligenza umana, sulla scienza, ma anche sulla politica e gli uomini politici... Il tempo passa, inizia a fare freddo, arriva l'inverno e il signor Zeta si ritira, scompare dal microcosmo del parco. Di lui restano le briciole che ha lasciato cadere e che qualcuno ha raccolto.
Poche settimane separano Charles Highway dall'età adulta e molto resta da fare all'ipersolipsistico ed erotizzato protagonista prima che quel funesto traguardo, il ventesimo compleanno, segni irrimediabilmente la fine della libertà adolescenziale e l'inizio della responsabilità matura. Ci sono gli esami da preparare, il corpus di poesie giovanili da completare, c'è il padre da odiare e, sopra ogni cosa, c'è da aggiungere al carnet delle esperienze accumulate quella del sesso con una Donna Più Grande. Ed ecco Rachel: bella, elegante, inarrivabile, e di un intero mese più matura. I taccuini su cui registrare le fasi della conquista sono pronti. L'Approccio può cominciare...
Dopo "Momenti di trascurabile felicità", Francesco Piccolo torna a raccontare l'allegria degli istanti di cui è fatta la vita, ma questa volta prova a prenderli dalla parte sbagliata. Setacciando le giornate fino a scoprire come ogni contrattempo, anche il più seccante, nasconda qualcosa di impagabile: una scintilla folgorante di divertimento e di vitalità. Che si tratti di condividere l'ombrello con qualcuno, strappandoselo di mano per gentilezza fino a ritrovarsi entrambi bagnati fradici. O di ammettere che non ci ricordiamo più niente di quello che abbiamo imparato a scuola, che le recite dei bambini sono una noia mortale, e che non amiamo i nostri figli nello stesso modo, semplicemente perché sono diversi. Per non parlare dell'obbligo morale di farsi la doccia appena si arriva ospiti da un amico, che se ne abbia voglia o meno - in fondo soltanto per rassicurare l'altro sul fatto che ci si lava. Oppure delle persone troppo cortesi che ti tengono aperto il portone, costringendoti ad affrettare il passo. Ciascuno sperimenta ogni giorno mille forme trascurabili (e non irrilevanti) di infelicità. Ma sorge il dubbio che sia "come i bastoncini dello shangai: se tirassi via la cosa che meno mi piace della persona che amo, se ne verrebbe via anche quella che mi piace di più".
Sardegna 1978: mentre l'Italia intera è angosciata dalle notizie del sequestro Moro, a Sassari il giudice Valerio Garau, che sta bevendo un caffè insieme con la collega e amante Lauretta, cade riverso al suolo e muore fulminato da un grano di cianuro di potassio. Omicidio, suicidio o tragico errore? L'amante, l'ex moglie, qualcuno dei colleghi, il marito dell'amante, tutti avrebbero avuto buoni motivi per liberarsi di lui. E poi chi era davvero Valerio Garau? Un cinico, un seduttore, un bugiardo, un ragazzo malcresciuto, un ingenuo? Il giudice chiamato dal continente a far luce sull'impossibile caso si muove fra palazzi polverosi e villette in abbandono, fotografie ingiallite e reperti archeologici, furti di lettere e serrature violate, portando avanti un'istruttoria che risulta ogni giorno più enigmatica, dentro un ambiente giudiziario carico di gelosie, vigliaccherie, omertà. E, come ha scritto Natalia Ginzburg, alla fine il giudice lascerà l'isola "dove si è piegato a individuare il segreto d'un volto scomparso, avendo mescolato al destino di quel volto la propria infelicità". Da questo libro, che ha vinto il premio Viareggio nel 1989, è stato tratto il film "Un delitto impossibile" (2000), per la regia di Antonello Grimaldi, con Carlo Cecchi e Angela Molina.
A Napoli dopo la guerra non c'è rimasto nemmeno il tempo di pensare. I mesi si sono fatti polvere, polvere sono le case bombardate, polvere è il cibo liofilizzato che riempie i piatti, e i sogni pure sono "polvere di stelle", come canta per le strade un motivetto hollywoodiano. Però sotto la polvere la città è viva, anarchica, persino spudorata. Soprattutto se a raccontarla sono gli occhi di un ragazzino; soprattutto se il ragazzino è Roberto De Simone. La cronaca di un anno eccezionale, un romanzo di formazione fatto di episodi brevi e spesso ambigui, sempre acutissimi. I bombardamenti, l'amicizia, i bordelli e il contrabbando. E poi il conflitto fra cultura scritta e cultura orale. Ma anche la fede, i voti e i miracoli: il passaggio dalla religiosità popolare a quella stimolata dai media - i rotocalchi diffondono le immagini di "un bel frate con la barba nera" che risponde al nome di padre Pio. E infine, naturalmente, la musica: quella che il piccolo protagonista suona al pianoforte, ma anche le canzonette e i canti popolari. De Simone attinge alla memoria delle immagini e a quella delle parole per restituirci il ritratto fedele di una città grottesca e sublime, che anche "nel periodo della più calamitosa miseria" mantiene salda la consapevolezza di sé.
Parigi, Quartiere Latino. Nei pressi dell'Odèon c'era un tempo Le Condé, un piccolo caffè dove ogni sera erano soliti ritrovarsi per caso, per noia o per abitudine, giovani studenti, aspiranti scrittori e misteriosi avventori accomunati dal sospetto di un passato indicibile o dallo stesso sghembo destino. Ogni giorno uno di loro annotava su un quaderno i nomi e i soprannomi di tutti quelli che passavano di li, scrivendo a fianco anche la data, l'ora e il tempo che ciascuno restava nel locale. Le Condé è una calamita che attrae tutti quelli che passano nelle sue vicinanze. Al centro di tutto c'è una ragazza misteriosa, chiamata Louki dagli altri avventori del locale. Louki è una di quelle donne che non appena entrano in una stanza e si siedono in un angolo catturano subito lo sguardo e l'attenzione di tutti. Per quattro volte si indaga la sua vita e quattro sono le voci che raccontano la sua storia. Alcuni degli uomini che parlano di lei semplicemente la cercano, altri la amano: per tutti la giovane incarna una stagione della vita e un desiderio irraggiungibile. Louki, come quelli che la affiancano nel suo vagabondare in una Parigi ipnotica ed enigmatica, è uno straordinario personaggio senza radici che vive momento per momento, inventandosi diverse identità, rinascendo continuamente e fuggendo (fino alle più estreme conseguenze) per inseguire un presente perpetuo o, meglio, un Eterno Ritorno.
Nella folla dell'ora di punta, in una stazione della metropolitana parigina, una giovane donna crede di riconoscere la madre, che non vede da quando era piccola. Inizia a seguirla, attratta irresistibilmente dal suo cappotto giallo. Si apre così una delle indagini più incerte e commoventi che sia mai stata narrata. È la storia di un abbandono, della ricerca malinconica di un "paese natale" a cui far ritorno, di una solitudine che nessuna amicizia riesce a spezzare. La bambina che aveva recitato al fianco della madre, la piccola attrice cui era stato dato il nome d'arte di Bijou, è diventata adulta, apparentemente libera di vivere la propria vita.
Il passato è presente parla a ognuno di noi attraverso il dialogo che la scrittrice immagina con il compagno di tutta una vita, l'ispanista Cesare Acutis, che troppo presto l'ha lasciata sola. Fu un grande amore, burrascoso e complice. Ma il discorso intellettuale e sentimentale non si è mai interrotto e le consente di disegnare a tratti ora più leggeri ora più incisi momenti e tappe di una vita anche attraverso piccole vicende, "emozioni trascurate, sensazioni appena sfiorate", che adesso emergono suscitando riflessioni. Le tante persone e cose amate: i genitori, gli amici, le opere degli artisti e i capolavori della natura. Ma anche la passione per la scrittura e per la parola che può illuminare il vuoto delle assenze, "ombra del sole, refrigerio e conforto" anche nel momento della prova più difficile: una malattia che imprigiona nei movimenti, che priva della libertà. Perché "di tutti i nostri atti, consapevoli o meno, nessuno va perduto". Ed è nell'insperata influenza di un nostro gesto sulle vite degli altri che continuiamo - laicamente - a sopravvivere.
Quirina è un'anziana signora che vive in orgogliosa solitudine in un piccolo paese delle Alpi, dove accudisce un orto-giardino che è tutta la sua gioia, uno spazio armonioso che vuole opporsi all'insensato disordine del mondo. Finché una mattina di maggio fa una scoperta che la sconvolge: il prato è sconciato da serie di monticelli di terra che rivelano la presenza di una talpa. Comincia una guerra senza quartiere, in cui vecchi rimedi e credenze popolari si alternano con le nuove tecnologie, in un crescendo che troverà una conclusione inaspettata. L'intrusa scatena interrogativi e inquietudini, evoca memorie che sembravano perdute. Quirina arriva a scoprire con sorpresa che del "bravo minatore" hanno parlato in toni ammirati anche Shakespeare e Primo Levi... Abbandonando i territori prediletti del romanzo storico, Ernesto Ferrero ha scritto una favola lieve e profonda. La accompagnano i disegni di un'inedita Paola Mastrocola, che agli animali ha dedicato tante indimenticabili storie.
Il punto è quello in fondo alle cascate del Niagara dove galleggia il cadavere di una ragazza senza nome. Il punto è la stanza di un ospedale dove un padre attende la diagnosi del suo bambino. Il punto è l'orecchio di un uomo barricato nel suo appartamento, ossessionato dai suoni che provengono dal piano di sopra e dal crollo del suo matrimonio. Il punto è quell'istante nella vita di ognuno in cui il destino si rivela. "Il punto" sono tredici racconti di David Means, scrittore americano di storie brevi accostato a Sherwood Anderson e Flannery O'Connor: con loro condivide quella capacità di cogliere il sublime che si accende nelle quotidiane miserie. E di rivelare, oltre la superficie dell'azione, il senso profondo del mistero.
L'umanità cantata da Tess Gallagher è quella che abita un quotidiano che all'improvviso si apre verso l'infinito. Vedove, uomini soli e annoiati, cittadine in cui non succede nulla, vite qualsiasi - e per questo uniche rivoluzionate dall'emergere di una crisi improvvisa, da uno scoppio di violenza rivelatrice, da un incontro con un amico o uno sconosciuto che diventa epifania. Come il racconto della visita di Norman, un amico cieco, che insegna alla coppia di protagonisti quanto da temere non sia la cecità fisica ma "la cecità al mondo dei sogni": lo stesso episodio alla base di "Cattedrale", il racconto del marito della Gallagher, Raymond Carver. "Viole nere" riunisce tutto il meglio della produzione narrativa e poetica di Tess Gallagher, restituendo al lettore italiano un'immagine completa del vasto universo creativo e sentimentale della poetessa statunitense. Le poesie presentano il testo inglese a fronte.
Il giorno in cui il maestro insegna ai bambini l'alfabeto è la fine e l'inizio di un mondo. La fine di un mondo in cui le cose succedevano e basta, e l'inizio di uno in cui possono essere messe in fila indiana in forma di parole. La vita intera passa attraverso le molteplici combinazioni di quelle ventuno lettere: sorprese, delusioni, imprevisti, nascita e crescita, persino la morte. Trentotto storie brevi, trascinanti e poetiche, piene di profonda leggerezza. Ciascuna di loro, una parola. Ciascuna di loro, il mondo. Sono epifanie scovate quasi per caso negli interstizi del quotidiano: lo smarrimento di una donna di fronte alla rottura di un braccialetto dei desideri, l'impossibilità di resistere dal prendere a calci un pallone che rotola per strada, il sollievo con cui si consegna a uno sconosciuto la propria storia sapendo che non lo si vedrà mai più, il piacere perverso di rimettere in circolazione una banconota falsa ricevuta chissà dove. Andrea Bajani compone una commedia umana in miniatura, in cui ogni piccolo gesto può diventare una chiave per capirsi, e rendersi conto che la felicità, alla fine, sta dentro la piega che di colpo prendono le cose.
Un fantasma degli anni Trenta più spaventato dei malcapitati a cui compare, un capitano dell'esercito di Napoleone durante la campagna di Russia, il protagonista de "L'uomo sentimentale" ritratto quando era ancora bambino, un maggiordomo bloccato in un ascensore, un caso di "doppio" a Barcellona che porterà alla rovina, un caso di "doppio" in Inghilterra che porterà all'orrore, un "ciccione schifoso" in adorante contemplazione di una donna dalla bellezza tanto ideale da apparire irreale... Sono solo alcuni dei personaggi di questi racconti scritti nell'arco di trent'anni che testimoniano un percorso narrativo in costante ascesa.
In un appartamento londinese, un uomo talmente privo di senso pratico da non saper aprire una latta di sardine osserva incredulo il suo rivale più accanito, impegnato nella preparazione di una frittata. Il primo è Vladimir Jabotinskij, leader della destra revisionista sionista, l'uomo ai fornelli invece è David Ben Gurion, ebreo socialista e futuro fondatore dello Stato d'Israele. È il 1934: mentre sull'Europa incombe lo spettro del nazismo, i due leader, solitamente divisi da un contrasto insanabile, si incontrano per cercare un terreno comune con cui affrontare il destino che li attende e costruire il futuro di Israele. Del resto è la Bibbia a insegnarlo: "Camminano forse due uomini insieme, se prima non si sono accordati?" Mettendo in scena il dramma di due uomini carismatici e tormentati, Abraham Yehoshua ci fa entrare in quelle stanze, solitamente inaccessibili, in cui la Storia si svela.
"'Il secolo' è un libro assai strano, con i suoi capitoli alterni in prima e in terza persona. Nella serie dispari (cinque capitoli), la voce narrante è quella del vecchio Casaldàliga, giudice in pensione da tempo agonizzante, che immobile di fronte al lago sulle cui sponde vive, ricorda il passato e descrive la sua situazione presente, che assume i caratteri di una farsa più che di nessun'altra cosa. Nella serie pari (quattro capitoli), si racconta la storia di quello stesso personaggio fino ai suoi trentanove anni, sottintendendo che sia nato col secolo, esattamente nel 1900. Nella sua ricerca di un destino 'nitido e inconfondibile' il protagonista tenta dapprima di farsi martire per amore, poi eroe di guerra, e infine decide di diventare delatore. Per quanto, più che tentare di mettere in atto i primi due destini, egli accarezzi piuttosto l'idea di esservi spinto, giacché questa è la storia di un abulico, di un vile, di un uomo passivo e indeciso, almeno fino al 1939, anno in cui finalmente passa ad avere parte attiva. Credo che se m'interessò questo argomento ciò si dovette in parte a una questione di famiglia. Mio padre fu denunciato nel 1939, poco dopo la fine della Guerra Civile, da quello che era stato il suo migliore amico, e per questo trascorse un periodo in carcere. Questa storia mi aveva sempre impressionato fin da bambino, come anche la rivelazione che uno dei nostri scrittori più famosi si fosse offerto come delatore, pare, al 'Corpo d'Indagine' franchista..." (Javier Marías)
Tra il 17 giugno 1939 e il 20 gennaio del 1940, Elsa Morante tenne la rubrica "Giardino d'infanzia" sul settimanale "Oggi", uno spazio in cui mosse i primi passi di scrittrice affinando il suo sguardo acuminato e la sua lingua corposa. Queste fantasie infantili (tra le sue prime prove di narratrice) affondano le radici nella memoria, nei primissimi anni di scuola, e lo fanno sempre con il sorriso, la civetteria, la capacità di giocare e di mantenersi, nel gioco, intelligenti e innocenti. Come quando, con l'amica Giacinta, Elsa organizza una recita scolastica di cui si fa regista, ma gli attori, venuto il momento, recalcitrano dirottando lo spettacolo verso il disastro; oppure quando scrive parole infuocate a Lindbergh l'aviatore, firmandosi "Velivola". Un campionario di immagini e personaggi vivacissimi, che abitano un mondo magistralmente disegnato.
Esiste un luogo in cui convergono le teorie più inaccessibili, i fenomeni e le ipotesi più difformi. È lì che - secondo quella che la fisica teorica chiama "teoria generale del tutto" - risiederebbe la spiegazione dell'universo. Per Alessandra e Marinella, gemelle di cinquant'anni cui la vita ha riservato strade molto diverse, quel luogo è la casa del padre che le ha abbandonate quando avevano otto anni, senza voler più sapere nulla di loro. Ora che lui è morto si ritrovano entrambe lì, circondate da quelle pareti a loro sconosciute che sembrano sussurrare ricordi e rievocare rancori mai sopiti. Per le sorelle quella vicinanza forzata si rivelerà una tortura col sorriso sulle labbra, una resa dei conti dagli esiti imprevedibili. Una storia universale sulla ferocia e sulla dolcezza dei legami familiari.
"To snuff" in italiano significa "spegnere" e, in termini più crudi, "tirare le cuoia", "morire". E gli snuff movies sono film che, fuori da ogni fiction, documentano la morte: inflitta però fra i tormenti, lentamente, a un essere umano. Questo romanzo s'intitola "Snuff" perché racconta la morte: la racconta senza eufemismi ma con assoluto rispetto, adombrando la necessità di Dio. È quindi, a modo suo, un libro religioso. Piero, vecchio professore d'anatomia in pensione, ritiene che ormai si viva troppo e che troppi siano in ogni caso gli anni della sua vita. Dice quasi scherzando che la sua storia, gremita di lutti e di dolori, assomiglia sempre più a una tragedia elisabettiana, come forse la storia di ogni vecchio. In realtà, minacciato dalle malattie, carico di memorie che non sopporta più, si sente attratto dall'idea del suicidio. Tuttavia, forse per il suo credo cristiano, o forse per qualcos'altro di più vago e tenace, non riesce a decidersi. Il suo antico allievo Toni, detto Beau, ha dissipato i non pochi talenti di cui era dotato e adesso, alle soglie della vecchiaia, sta girando uno snuff movie anomalo, con immagini di morte non provocata da lui. Al centro del film vuole mettere il suicidio del suo maestro e amico Piero. Dunque lo sollecita: più o meno diplomaticamente, lo costituisce in mora. Il romanzo vive di questa tensione, prolungata fino alle ultime pagine. E vive dei ricordi che perseguitano Piero: la scomparsa della figlia durante un viaggio in India...
"Tre novelle, un trittico, o meglio un retablo a tre ante sulle quali Anita Desai dipinge tre personaggi silenziosi, tre figure marginali alle prese con valori e disvalori dell'India contemporanea. Ambientate in luoghi dove si stende l'ombra lunga della storia, le tre novelle descrivono spazi fisici e mentali sui quali tuttora incombe il passato. Ne sono protagoniste figure indolenzite, un anziano custode, una traduttrice frustrata e un artista segreto, ognuno a suo modo maestro della cancellazione di sé. E che tuttavia proprio cancellandosi impongono la propria presenza, una sorta di corporeità dell'ombra. Nel 'Museo dei viaggi ultimi', anta sinistra del retablo, un funzionario governativo viene invitato in una scolorita dimora a visitare i tesori collezionati da un padrone nomade e assente. Gli fa da guida nelle innumerevoli stanze un anziano custode, mentore che nulla ha da invidiare al Virgilio che accompagna Dante dagli inferi alle porte del Paradiso. Porte custodite, qui, da una figura sorprendente quanto inattesa, l'incarnazione stessa della storia e della simbologia indiana. In 'Tradurre, tradursi', altra anta del retablo, un'insegnante di mezz'età si misura con il mestiere di traduttrice ma, incoraggiata dai primi risultati e da un inedito senso di autorealizzazione, comincia a confondere la linea di confine fra chi scrive e chi traduce, fra pagina bianca e pagina già zeppa di segni. Mettendo così a repentaglio i suoi risultati, annichilisce i propri desideri." (Anna Nadotti)
"Scrivere un romanzo vuol dire portare dentro di sé un segreto enorme. Provare a disfarsene parlandone non serve a niente. Il mondo diventa conoscibile solo dopo la scrittura. L'unico modo per liberarci del peso del segreto è scriverlo. Fino ad allora, è impossibile da condividere. Tutto ciò che non è il romanzo è incapace di comunicarlo. Mentre lavoravo a "Libro" dubitavo di me stesso, temevo che i personaggi non uscissero fuori, o la mia pelle assumesse la ruvidezza delle pietre del villaggio che riempiva i miei pensieri. Spesso, a metà di una conversazione, iniziavo a parlare con la voce di Galopim, di Cosme d'Ilídio mentre attende il ritorno della madre. A quell'epoca mi portavo addosso anni che non avevo mai vissuto ma che, durante la stesura del romanzo, respiravo in maniera assoluta, totale. Sono nato l'anno della Rivoluzione dei garofani, nel settembre 1974, ma le domeniche, durante gli interminabili pranzi di famiglia, i miei genitori e le mie sorelle ripetevano le storie di prima che io nascessi quando, durante la dittatura, erano emigrati in Francia. Esattamente come centinaia di migliaia di altri portoghesi. Un milione e mezzo di persone sono emigrate in Francia tra il 1960 e il 1974: circa il 15% di tutta la popolazione del paese. Questa era la dimensione del segreto che mi portavo addosso mentre scrivevo "Libro". I miei genitori sono tornati in patria pochi anni prima della mia nascita, stabilendosi nel piccolo borgo nell'entroterra di Alentejo..."
Centouno racconti brevi o brevissimi che giocano con i generi letterari - dal giallo al romanzo d'amore, dalla denuncia sociale alla fantascienza - ma soprattutto con il lettore. E che sposano appassionatamente la causa della parola contro quella del silenzio. Microromanzi che si muovono sul terreno della più ordinaria quotidianità: un amore sbagliato, un amore felice, un figlio che muore, uno che è all'ospedale, essere rapiti dagli alieni, un medico, un prete, una vedova, la mania degli autografi o quella degli anniversari, un terremoto, il ragazzo che si prostituisce, lo scrittore, il mafioso, una porta che sbatte, qualcuno che striscia, il basket, tornare a casa, addormentarsi, svegliarsi (a volte no). Le solite cose di tutti i giorni, appunto. Microromanzi ironici, autoironici, surreali, malinconici, spassosi, sempre folgoranti, che non sfidano il lettore, lo invitano piuttosto a una consapevole complicità pur riuscendo a stupirlo ogni volta, con quei colpi di scena che la vita (o sarà la scrittura?) regala in abbondanza. Microromanzi che intercettano la più grande rivoluzione scientifica di tutti i tempi, la fisica quantistica che ha già cambiato la filosofia, la religione e la nostra comprensione del mondo. Quella fisica quantistica che è la scienza degli universi paralleli, la scienza che riesce a raccontarci - con leggi via via più precise - come l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, che i nostri sensi non percepiscono, esistono e determinano la nostra "realtà".
Certe scelte possono macchiare il destino di innocenti. È quello che accade ai figli del principe di Aquitania: dopo la morte dei genitori, fratello e sorella crescono in un'ambigua simbiosi che, con la pubertà, si trasforma in incesto. Quando la fanciulla si scopre incinta, il tutore dei ragazzi decide di separare i due giovani, nascondere la gravidanza e affidare il neonato al fiume, come Mose. Gregorio (questo è il nome del bambino) cresce ignaro di tutto con la famiglia del pescatore che lo ha salvato, fino a quando gli viene rivelato il segreto della sua nascita e decide di partire in cerca della madre. Affronta con coraggio e saggezza i pericoli del mondo, sempre illuminato dalla fede e dalla speranza di conoscere colei che gli ha dato la vita e della quale vuole alleviare la pena per la colpa commessa. Ma la sua vita è segnata dal peccato: lo aspetterà un altro tragico errore, un nuovo incesto, cui seguiranno un folle viaggio e una lunga penitenza (diciassette anni incatenato su uno scoglio, cibandosi solo di rugiada) che lo condurrà infine al soglio di san Pietro. Reinterpretando il "Gregorius" di Hartmann von Aue, Laura Mancinelli continua a raccontarci con passione il Medioevo. Storie di amori, cadute e redenzioni: sentimenti universali che attraversano le epoche ammaliando ogni volta i lettori.