Il volume analizza in primo luogo la Marcia su Roma nel contesto della crisi del primo dopoguerra, dei rapporti tra Stato e società, del nuovo protagonismo dei movimenti sociali, della crisi di egemonia della classe dirigente liberale, dell'incontro tra le élite tradizionali del potere e il fascismo. Da questo quadro deriverà un processo di trasformazione autoritaria dello Stato e della società già avviatosi con la Grande guerra e nella crisi organica che ad essa era seguita. A questi temi si coniuga una rivisitazione dell'antitesi tradizionale tra "biennio rosso" e "biennio nero". Un secondo focus è costituito dall'analisi delle forze politiche in campo, i socialisti e i comunisti, il mondo cattolico, i liberali, il movimento e il partito fascista. Un terzo ambito riguarda il tema, spesso trascurato, dell'antifascismo popolare. La conquista fascista del potere aprirà la strada a un regime che costituirà un modello per le destre in Europa e per un ventennio sbarrerà la strada a ogni trasformazione democratica dello Stato e della società italiana.
Nei due millenni della storia delle Chiese cristiane, la predicazione ha rappresentato un momento fondamentale per la trasmissione, dal clero ai fedeli, di dottrine in cui credere e di comportamenti da tenere. Un'attività che ha conosciuto mutamenti ed evoluzioni, qui presi in esame: tra tarda antichità e secoli centrali del medioevo si predicava poco e male, sulla scorta dei sermoni latini di Agostino, Gregorio Magno e altri, mentre negli ultimi secoli dell'età di mezzo i frati mendicanti avevano portato letteralmente i pulpiti fuori dalle chiese. Nel Rinascimento predicatori come Bernardino da Siena divennero "divi" e capiscuola, propugnando un comportamento organico all'egemonia del ceto mercantile borghese, anche grazie allo sfruttamento dell'invenzione della stampa. In seguito, per il contrasto tra Chiesa di Roma e Riformatori d'oltralpe, l'attività di predicazione fu sottoposta al controllo inquisitoriale, mentre con il prevalere della Controriforma le pubblicazioni di prediche diventarono addirittura una forma di letteratura, in grado di coinvolgere persino poeti come Marino.
Prima che il concilio di Trento (1563) lo codificasse rigidamente, nel basso medioevo il matrimonio mantenne a lungo una natura laica, mutevole e versatile, caratterizzata da una grande variabilità di pratiche e modelli. Pare quindi più opportuno parlare di matrimoni al plurale, abbandonando la visione univoca dell'istituto affermatasi solo dopo Trento. Nel volume si farà, pertanto, ampio riferimento non solo ai matrimoni legittimi e codificati, ma anche all'esteso ventaglio di quelli incerti e irregolari, come i matrimoni a tempo, le unioni di fatto, i matrimoni plurimi, le convivenze more uxorio o i rapporti concubinari; si passeranno in rassegna le diverse forme di unioni trasgressive, dal ratto all'adulterio, dai matrimoni finti e simulati sino a quelli violenti e forzati; si rifletterà, infine, sulle forme proibite o a stento tollerate, come i matrimoni interconfessionali, la promiscuità interreligiosa e le unioni con gli esclusi e i marginali.
Più volte papa Francesco ha parlato della rinuncia al pontificato come di qualcosa che potrebbe verificarsi ancora in futuro (non necessariamente nel "suo" futuro), fino a divenire usuale. Ora, a quasi dieci anni dal gesto di Benedetto XVI, autorevoli storici, giuristi e osservatori si confrontano su un tema delicatissimo che continua ad attirare l'attenzione del mondo intero, soprattutto perché tuttora privo di qualunque regolamentazione giuridica. L'esame dei precedenti storici e dell'elaborazione canonistica sviluppatasi prima e dopo Celestino V, offre qui lo spunto per una riflessione che vale anche come proposta da consegnare a chi, nella Chiesa, dovrà decidere e legiferare.
Res sacrae è un'espressione che comprende una molteplicità di oggetti legati al culto, cui in ogni religione vengono attribuiti poteri spirituali e poteri materiali di protezione. Questo volume si concentra sui tre principali strumenti della devozione in ambito cristiano, le reliquie, le immagini, l'eucarestia, indagando sulla fonte del potere loro attribuito, sul ruolo avuto nella vita religiosa delle società medievali, in un arco cronologico che va dall'età tardo antica al secolo XIV, quando si afferma il culto eucaristico. Il lungo percorso di ricerca nella storia della santità, del culto dei santi e dei santuari permette all'autrice di inserire a pieno titolo le res sacrae tra gli oggetti degni di attenzione da parte della storiografia.
Quali furono i caratteri salienti della reazione messa in campo dalla Chiesa cattolica nel '500 per reagire alla drammatica crisi della Riforma protestante? E quali categorie storiche meglio ne definiscono la natura? Con varia fortuna si è parlato di Restaurazione cattolica, Riforma cattolica, Controriforma, ora contrapponendo l'una all'altra ora tentandone una difficile sintesi. Il libro ricostruisce tale discussione, per concentrarsi poi sulle aporie della cosiddetta Riforma cattolica e sulla stentata e talora inesistente applicazione dei decreti emanati dal concilio di Trento anche un secolo dopo la sua fine, il che non impedì tuttavia la creazione di un mito del Tridentino quale momento genetico di un profondo e capillare rinnovamento religioso che trovò invece a Roma più ostacoli che sostegno. Di qui la persistente validità del concetto di Controriforma che occorre piuttosto declinare come costante opposizione dei vertici della gerarchia ecclesiastica a ogni autentica Riforma cattolica.
«Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli», scriveva il grande storico dell'età classica Arnaldo Momigliano. «A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell'inatteso è infinita». Questo libro affronta il rapporto mutevole fra ebrei e cultura italiana in un arco cronologico inconsueto: dalla Restaurazione al cinquantenario delle leggi razziali, quando si chiude una stagione e se ne apre un'altra, quella dell'uso pubblico della storia nella quale siamo tuttora immersi. I capitoli ruotano intorno a quei personaggi che sono stati capaci di oltrepassare la siepe nei rari momenti in cui il salto fu loro consentito: il primo sionismo, il modernismo, l'antifascismo e i conti con il fascismo, la battaglia per la libertà religiosa dopo il Concordato e l'art. 7 della Costituzione.
Tra la catastrofica inondazione del Tevere del 1557 e la morte del "papa ingegnere" Sisto V nel 1590, la città di Roma venne trasformata da un'intensa attività edilizia e da progetti ingegneristici di ogni tipo. Il volume conduce il lettore fra le strade e le piazze della Roma del tardo Rinascimento, ricostruendo i saperi e le pratiche che vi presero forma e analizzando i processi e le principali figure implicate nei progetti infrastrutturali: fognature, riparazione dei ponti, prevenzione delle inondazioni, costruzione degli acquedotti e di nuove strade rettilinee, fino allo spostamento degli antichi obelischi egizi portati in città ai tempi dell'Impero. Il ritratto di Roma nella prima età moderna tracciato dall'autrice mette in luce i rapporti di intenso scambio tra figure di estrazione diversissima, che si confrontavano sui grandi problemi ingegneristici e infrastrutturali: medici, amministratori, giuristi, cardinali, papi ed ecclesiastici dialogavano con pittori, scultori, architetti, stampatori e altri professionisti per far rivivere la Roma antica e ricostruire la città moderna.
Come ben sapevano i predicatori medievali, delle due grandi leve del comportamento umano - la paura del castigo e la speranza del premio - la più efficace era la prima. Di qui, allora, lo sviluppo di immagini dell'Inferno che fra Tre e Quattrocento sono sempre più complesse e crude, così da turbare gli animi e smuovere le coscienze. Ma in che direzione? E a quale scopo? La domanda è assai meno scontata di quanto non possa apparire. Dal momento, infatti, che gli exempla negativi avevano senso solo in funzione di quelli positivi, il grande teatro dei reprobi si prestava anche ad una lettura al contrario, in cui le figure dei peccatori, lungi dal costituire solo un terribile ammonimento, indirizzavano il fedele verso atteggiamenti speculari e opposti a quelli puniti. La critica si faceva insomma proposta, complici le scelte iconografiche di artisti e committenti (comunità, privati, confraternite, ordini religiosi, ecc.), che attraverso il tema dell'Inferno potevano esprimere i propri ideali di convivenza civile.
Arnold Esch ricostruisce uno degli snodi più importanti della storia di Roma: il passaggio dalla città del tardo Medioevo a quella, affascinante, del Rinascimento. Il secolo che inizia con il Grande Scisma (1378) e si chiude, in pieno Rinascimento, alla fine del pontificato di Sisto IV (1484) è un secolo decisivo: il papa diventa padrone della città ribelle e la vita sociale ed economica ruota sempre più intorno alla sua corte. Gli umanisti diffondono uno sguardo nuovo sull'antichità. La vita religiosa acquista sfumature inedite grazie ai pellegrini che accorrono in città negli anni santi e alla crescente pietà laica femminile. La vivace attività edilizia e l'intensa committenza artistica di papi e cardinali rinnovano l'aspetto di Roma e la sua attrattiva. La storia di Roma, in quanto capitale della cristianità, assume una dimensione ulteriore: è storia di una città e allo stesso tempo storia mondiale. Continuando la lunga tradizione della storiografia tedesca su Roma, Arnold Esch ripercorre con maestria questa trasformazione, che è insieme ecclesiastica, sociale, economica e culturale.
Con la morte di Giovanni Paolo II, le dimissioni di Benedetto XVI e l'elezione di Francesco l'opinione pubblica mondiale ha riscoperto quel complesso intreccio di norme, riti e simboli che accompagnano la morte e l'elezione di un papa. Sono norme, riti e simboli che risalgono al Medioevo, se non ai primi secoli del cristianesimo. Soltanto dal 1274 in poi i cardinali si rinchiudono in «conclave» per eleggere il papa, e soltanto in epoca moderna l'elezione di un papa avviene nella Cappella Sistina. Che lo scrutinio segreto sia l'unica modalità canonica di elezione è sancito solo nel 1996 anche se la votazione era da tempo una delle forme (e la prevalente) prevista per "fare" il papa. I funerali di Giovanni Paolo II si sono svolti secondo un cerimoniale sostanzialmente immutato dal Trecento in poi. Anche il segreto del conclave ha una sua storia, così come la fumata bianca, le modalità di insediamento o il celebre Possesso del Laterano. Si tratta di una storia sorprendente che il presente volume permette di seguire con avvincente narrazione lungo l'intero periodo della storia del papato, dai primi secoli a papa Francesco.
Il 5 luglio 2014 tutto il mondo ha potuto assistere all'apparizione in video del califfo dello "Stato islamico tra Iraq e Siria" (ISIS), Abu Bakr al-Bagdàdi, l'astro nascente del gihad globale, il nuovo leader dei combattenti sunniti radicali. Nel video, al-Bagdadi incita i fedeli di tutto il mondo islamico a dichiarare il gihad sulla via di Dio, al fine di restituire dignità, diritti e autorità all'Islam, e loda la vittoria che dopo secoli ha permesso di restaurare il califfato. Per comprendere pienamente il senso storico-politico di questa inquietante operazione è necessario riflettere sul significato dell'istituzione califfale nella storia islamica. Questo libro, che colma un'evidente lacuna della saggistica italiana (ma sul tema del califfato mancano da decenni sintesi aggiornate anche in altre lingue), ricostruisce in maniera sintetica ma rigorosa la vicenda storica dei califfati medievali (umayyade, 'abbaside, andaluso, fatimida, almohade), fino alle loro estreme propaggini in terra egiziana, all'abolizione del califfato ottomano voluta da Kemal Atatiirk e ai recentissimi tentativi di riproposizione di questo modello di governo, con un occhio attento non solo alla prassi ma anche alle teorie elaborate su tale istituzione dal pensiero politico musulmano.
"Generazioni di sentimenti" è un libro che offre tutta la novità degli studi recenti di storia delle emozioni, uno dei più interessanti e nuovi filoni della ricerca storica internazionale. Barbara Rosenwein esplora varietà, trasformazioni e costanti dei sentimenti espressi da numerose comunità emotive nell'arco di undici secoli di storia europea, dal medioevo alla prima età moderna. I capitoli si concentrano in particolare su Francia e Inghilterra e toccano comunità disparate - quelle del monastero inglese di Rievaulx (XII sec.) e della corte ducale di Borgogna (XV sec.), ad esempio - valutando i modi in cui le norme emotive e le forme espressive rispondono agli ambienti sociali, religiosi e culturali, e come a loro volta creano quegli ambienti. Unendo le emozioni sperimentate "sul campo" a quelle teorizzate nei trattati di Alcuino, Tommaso d'Aquino, Jean Gerson e Thomas Hobbes, questo studio mette finalmente a disposizione un racconto nuovo e profondo della vita emotiva occidentale.
L'antigiudaismo che esamina David Nirenberg in questo libro non è solo l'insieme dei pregiudizi e delle persecuzioni contro gli ebrei: è una delle modalità fondamentali con cui il pensiero occidentale ha definito se stesso e il proprio modo di interpretare il mondo in contrapposizione a una tradizione diversa. Come spiega l'autore, "L'antigiudaismo non va inteso come un anfratto arcaico e irrazionale nel vasto edificio del pensiero occidentale, ma come uno dei principali strumenti con cui tale edificio è stato costruito". Se l'antisemitismo prende di mira la concreta esistenza degli ebrei, le loro pratiche culturali e religiose, l'antigiudaismo si concentra su tratti e caratteri attribuiti all'influenza della tradizione ebraica ma rintracciabili anche al di fuori di essa, dal letteralismo religioso al materialismo. Già nel mondo antico si affaccia il motivo ricorrente di una "diversità ebraica" che anticipa, spesso con toni e caratteri simili, l'antigiudaismo cristiano e occidentale: è da qui che parte il viaggio di Nirenberg, per tracciare la storia del rapporto dell'Occidente (e del mondo islamico) con l'idea di giudaismo, in un percorso che da san Paolo arriva fino alla tormentata riflessione novecentesca sulle cause dell'antisemitismo e sul ruolo dell'ebraismo nell'Occidente contemporaneo.
Oggetto fuori d'Italia di "una venerazione forse sconosciuta agli italiani", la vicenda del Cimitero acattolico romano, la cui origine risale a circa tre secoli fa, merita di essere approfondita per più aspetti. Sotto il profilo della storia della città di Roma, capitale del papato, che ospitò tale singolare realtà all'interno delle proprie mura, ma anche sotto quello della storia delle relazioni della Santa Sede con i paesi protestanti e del rapporto tra la Chiesa e gli "eretici" che in sempre maggior numero e con sempre più spiccata disinvoltura presero a visitare la penisola e l'Urbe. Scopo di questo volume - basato su una ricca ricerca d'archivio che non trascura le fonti dell'Inquisizione romana - è non solo quello di ampliare, ma anche di contestualizzare l'analisi, di correggere inesattezze e leggende, di cercare di definire tanti aspetti poco chiari. Il sepolcreto ai piedi della Piramide di Caio Cestio si sviluppò quale realtà sostanzialmente abusiva che potè imporsi con la "connivenza" delle autorità romane. Come avvenne tutto questo? Quando fu che gli stranieri protestanti morti nell'Urbe poterono essere sepolti ai piedi della Piramide di Caio Cestio? Quale il contesto che ne consentì la creazione e perché la Santa Sede permise tutto ciò? Quale il rapporto tra questo cimitero e quello ebraico o quello degli "impenitenti" al Muro Torto e quale con il moderno cimitero del Verano? E ancora, quali sono le differenze tra questo sepolcreto e altre analoghe aree sepolcrali in Italia.
Alla Società dei Giacobini di Parigi, sul finire del 1791, Brissot propose una guerra all’Europa intera in nome della libertà dei popoli, ma venne prontamente contrastato da Robespierre, che temeva da quella scelta un drammatico contraccolpo sui precari equilibri della Francia rivoluzionaria.
Brissot avrebbe vinto il duello oratorio, la Francia sarebbe andata in guerra e avrebbe scoperto la Repubblica: ma il tribunale dei posteri sarebbe stato sempre con Robespierre, riconoscendogli il merito di avere resistito alla violenta deriva del patriottismo.
Su questa lettura fan tuttavia premio gli avvenimenti successivi, quando il rovescio delle operazioni militari portò al precipizio Brissot e la Gironda e aprì la via al governo rivoluzionario dominato dal suo avversario. Nella congiuntura politica di fine 1791 il senso delle posizioni dei due era infatti diverso: entrambi favorevoli a una guerra di libertà, si differenziavano giusto per le priorità che intendevano assegnare all’azione politica rivoluzionaria.
Il volume restituisce quel duello oratorio alla propria originale dinamica, proponendo, in uno stretto ordine cronologico, il serrato contraddittorio tra i due, costruito su tre discorsi per parte, dove le argomentazioni dell’uno son puntualmente riprese e criticate dall’altro. In tal modo, le parole di Brissot, mai tradotte in italiano, molto attutiscono l’avventurismo politico sempre addebitatogli e consentono al tempo stesso di rileggere quelle di Robespierre su altro registro rispetto al pacifismo rivoluzionario troppo spesso riconosciutogli.
Cos'è il potere? Come nascono le rivoluzioni? Esiste l'opinione pubblica? Come si formano le generazioni? Per poter porre domande come queste occorre conoscere i concetti fondamentali attraverso cui diamo senso al mondo, e alla storia. Il libro approfondisce questi concetti ed altri ("identità", "cultura popolare", "violenza", "Stato moderno", "Mediterraneo") analizzando il modo con cui sono stati usati nel pensiero storico-sociale e delineando un loro possibile utilizzo al tempo d'oggi. In un momento di profonda trasformazione della concezione della storia, sfidata sul piano mediatico dall'ascesa della cosiddetta memoria storica, c'è bisogno di una maggiore consapevolezza dell'uso dei concetti che usiamo, che sono poi quelli che ci consentono di orientarci, di capire il presente, e il passato. Ecco perché è cruciale conoscerli, questi concetti. Per non usarli senza sapere. Per non obbedirgli senza volere.
Partendo dagli scritti giovanili per arrivare alle riflessioni mature del carcere, il pensiero di Antonio Gramsci - oggi uno degli autori italiani più tradotti e studiati nel mondo - viene qui messo a confronto con alcuni dei protagonisti della storia nazionale, in "medaglioni" che costituiscono altrettanti tasselli del "mosaico Italia": Dante e Machiavelli, Guicciardini e Foscolo, Garibaldi e Vittorio Emanuele II, De Sanctis e Verdi, Carducci e Pascoli, Croce e Gentile, D'Annunzio e Pirandello, Mussolini e Gobetti... Nel "colloquio" critico con letterati, pensatori, politici, giornalisti di ogni epoca, si conferma l'eccezionale cultura e perspicacia dell'intellettuale sardo, nei cui scritti dimensione storiografica e analisi politica dialogano fecondamente: i ritratti costruiti in questo volume vanno così a compiere una ricognizione della molteplice e multiforme identità di quell'Italia frammentata che da secoli tenta di raggiungere una vera dimensione unitaria.
La storia degli ebrei in Sicilia copre un periodo di oltre mille anni, dall'antichità fino alla loro espulsione, avvenuta nel 1492. L'autore, basandosi su circa 40.000 documenti d'archivio, per lo più inediti, ricostruisce le vicende politiche, giuridiche, economiche, sociali e religiose della minoranza ebraica sull'isola e i rapporti che intrattenne di volta in volta con i romani, i musulmani e i cristiani. Mentre le origini della presenza ebraica sono avvolte nel mistero, con il passare del tempo disponiamo di un numero sempre maggiore di documenti, straordinariamente abbondanti nel tardo medioevo. In quell'epoca gli ebrei in Sicilia erano cittadini a tutti gli effetti, attivi in quasi tutti i settori dell'economia e in diverse professioni; stranamente limitato, anche se non assente, il prestito a interesse, asse portante degli affari per gli ebrei del nord. Tutto questo vide un'improvvisa e rapida fine con l'espulsione ordinata dai re cattolici: circa l'80% degli ebrei scelse l'esilio, mentre gli altri che preferirono convertirsi al cattolicesimo finirono ben presto nelle mani dell'Inquisizione spagnola.
Quanto leggevano, e che cosa leggevano, le donne nella prima età moderna? Chi erano, a quali classi sociali appartenevano, quali le loro abitudini e pratiche di lettura? Incrociando storia culturale e indagine sulla vita quotidiana, analisi istituzionale e approccio microstorico, Xenia von Tippelskirch si mette sulle tracce di queste donne lettrici, le scova, le scruta, le analizza, restituendoci un quadro variegato e per niente scontato del nuovo pubblico femminile che si viene delineando in alcune grandi realtà urbane italiane tra Cinque e Seicento. Ricostruisce altresì il ruolo delle autorità ecclesiastiche, gli interventi di disciplinamento e le strategie di controllo dei contenuti e delle coscienze che, nel tentativo di "proteggere" le donne dai pericoli della lettura, miravano alla salvaguardia dell'ordine sociale. All'interno di questo schema, restavano tuttavia dei margini per l'appropriazione individuale: non di una opposizione netta o di sfida aperta pare trattarsi, ma di attitudini più discrete e silenziose nei confronti delle autorità da parte di un pubblico femminile soggetto ad una rigida tutela.
Protagonista di questa storia è la famiglia Pintor, che occupa un posto importante nelle vicende militari, culturali e politiche dell'Italia del Novecento. A narrarla dalle diverse città abitate (Firenze, Roma, Cagliari) è principalmente la voce di Adelaide Dore Pintor, moglie di Giuseppe e madre dei più noti Giaime e Luigi, oltre che di Silvia e Antonietta. Donna colta e ottimista, scrive centinaia di lettere che l'aiutano a mantenere larghi gli orizzonti di una vita sempre più appartata e che ci introducono nel vivo di una storia fatta di spostamenti, di studi, di musica e di romanzi, venata di passioni e di delusioni, di progetti e di lutti; una storia che passa attraverso la belle époque, le guerre mondiali e il fascismo, approdando con quel che resta della famiglia, sgomenta e unita, sulle rive scomposte dell'Italia repubblicana.
Il libro racconta la storia di simboli politicamente decisivi. Alcuni, come il fascio littorio, la falce e il martello, il guerriero di Pontida o la croce di Lorena, si legano ad esperienze collettive che hanno segnato il Novecento. Altri, come il biscione lombardo o i quattro mori sardi, hanno rappresentato per secoli l’espressione di un’identità regionale, mentre la donna turrita è stata figura di un insieme difficile da impersonare, l’Italia. Altri ancora, infine, come il berretto della libertà, hanno interpretato la resistenza alla tirannide e la difesa dei propri diritti. Tutti hanno assunto un significato che andava al di là di un più o meno casuale riferimento culturale. Sono stati oggetto di amore e di odio, di investimenti emotivi e di passioni intellettuali, di violenza cieca e di dedizione spinta fino al sacrificio.
Come si spiega questo protagonismo dei simboli e quale senso ha ripercorrerne la storia? E qual è la ragione della loro capacità di mutare, di adattarsi a diversi contesti, di rimanere attivi entro nuovi quadri culturali? A queste domande il libro cerca di rispondere, ricostruendone passo per passo la storia e la mutevole ed agitata vita terrena, alla ricerca del segreto della loro forza e della funzione che hanno svolto, e che svolgono, nella vita politica.
Francesco Benigno insegna Storia moderna all’Università di Teramo.
Luca Scuccimarra insegna Storia delle dottrine politiche all’Università di Macerata.
Due donne americane di fronte alla Grande Guerra europea: Edith Wharton, scrittrice già affermata che in quegli anni sta scrivendo l’Età dell’innocenza – sarà la prima donna a vincere il premio Pulitzer – e Nellie Bly, giornalista famosa, che nel 1890 aveva stupito il mondo circumnavigando la terra in 72 giorni sulla falsariga del Giro del mondo in 80 giorni di Verne.
Tra il febbraio e il novembre 1915 Edith Wharton viaggia a più riprese lungo il fronte occidentale, visitando le postazioni francesi nelle Argonne, in Lorena, nei Vosgi, sulla costa atlantica settentrionale e in Alsazia. Viaggi al fronte. Da Dunkerque a Belfort è il diario di queste visite, un reportage giornalistico che appartiene a una dimensione poco nota della scrittrice, conosciuta essenzialmente per i romanzi e i colti resoconti di viaggio.
Tra l’ottobre e il novembre 1914 Nellie Bly è invece in Austria e visita le zone di guerra su un fronte opposto, lungo il confine orientale. I suoi reportage, pubblicati sul «New York Evening Journal», sono qui raccolti sotto il titolo In prima linea sul fronte russo e serbo.
Tra le poche voci femminili a raccontare in diretta la prima guerra mondiale, Edith Wharton e Nellie Bly, con le loro cronache limpide e coinvolgenti, non sembrano parlare neppure dello stesso conflitto, tanto è diverso il loro approccio alla scrittura. Eppure la guerra, osservata da due donne schierate su fronti opposti, così lontane nelle scelte di vita e nello stile narrativo, si rivela essere in definitiva la stessa «maledetta follia».
Luisa Cetti si è dedicata in particolare alla storia delle donne americane e dei movimenti utopistici di metà Ottocento. Ha pubblicato Un falansterio a New York (Sellerio 1993) e ha curato l’edizione delle Lettere dall’America di Pietro Maroncelli («Il Risorgimento» 1995), del diario di viaggio di Francesco Arese Da New York al selvaggio West nel 1837 (Sellerio 2001) e di Il giro del mondo in 72 giorni di Nellie Bly (Mursia 2007).
Questo libro è il ritratto di un intellettuale, che è anche uno storico dell’Europa del Novecento; oppure dovremmo dire: uno storico che è anche un intellettuale? Difficile separare i due termini nel clima culturale dell’Italia del secondo dopoguerra: quel dimenticato ventennio in cui, “animato unicamente da passione critica e impegno civile”, l’autore sceglie, movendosi tra Trieste, Roma e Milano, di intraprendere la strada dello studioso di storia, perché solo con uno studio rigoroso del passato sembra possibile rispondere alle domande che l’Europa uscita dalla catastrofe del nazismo pone alla nuova generazione.
Letta oggi, la vicenda biografica qui ricostruita – attraverso le memorie del protagonista e poi in dialogo con una storica di una generazione più giovane – sorprende per la ricchezza dei contatti, la varietà dei personaggi che la animano, la presenza di una intellighenzia internazionale impegnata a realizzare e difendere un modello di Europa cosmopolita ispirata a ideali di libertà e giustizia.
Enzo Collotti, già professore di Storia contemporanea all’Università di Firenze, è uno dei maggiori storici della Resistenza in Europa. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia (Laterza, 20082), Dizionario della Resistenza (Einaudi, 2006), Hitler e il nazismo (Giunti, 2005), Fascismo, fascismi (Sansoni, 2004)
Durante la Guerra Fredda nessuno avrebbe immaginato che il crollo dell’Unione Sovietica sarebbe stato scatenato da dinamiche interne, e nemmeno che sarebbe avvenuto in relativa calma, senza grandi conflitti.
Il lavoro di Stephen Kotkin mostra che la prima causa del collasso sovietico non è stata la competizione militare ma, paradossalmente, il nucleo ideale dell’ideologia comunista: il sogno di un socialismo dal volto umano capace di migliorare la vita dei cittadini senza rinunciare ai principi di giustizia e uguaglianza. Le riforme neo-liberali non sono mai state davvero messe in atto nella Russia post-sovietica, né avrebbero potuto esserlo, considerato il fardello dell’eredità sovietica in ambito istituzionale, politico, economico e sociale.
Il libro ricostruisce in modo chiaro e conciso il dramma di una superpotenza di 285 milioni di abitanti che si è sgretolata pur avendo a disposizione un immenso esercito, sostanzialmente fedele allo Stato, e uno spaventoso arsenale di armi nucleari e chimiche. E lo ha fatto evitando non solo l’Apocalisse, ma anche esplosioni di violenza potenzialmente destabilizzanti per l’intero scenario geopolitico internazionale.
Stephen Kotkin insegna Storia moderna e contemporanea all’Università di Princeton, dove ha diretto dal 1996 al 2009 il Program in Russian and Eurasian Studies. È considerato uno dei più autorevoli studiosi di storia dell’Unione Sovietica.
A partire dalla metà dell’Ottocento la storia di Roma è innanzi tutto la storia di una triplice capitale: dell’Italia unita, del cattolicesimo, degli amanti dell’arte e dell’antichità. Talvolta alleate, spesso rivali, queste tre capitali hanno contribuito a dare alla città eterna uno status unico al mondo, ma anche una cronica instabilità.
Roma è anche un cantiere permanente. A partire da Napoleone e fino alle grandiose risistemazioni del giubileo del 2000, i pontefici, i re d’Italia, il Duce e le varie amministrazioni comunali hanno senza sosta demolito, costruito, trasformato. Gli innumerevoli progetti urbanistici che si sono avvicendati nel tempo hanno creato nella città una profonda stratificazione architettonica, anche questa unica al mondo: in quale altro luogo potremmo trovare un intervento come quello compiuto da Richard Meier nel 2006 all’Ara pacis, edificata sotto l’imperatore Augusto, in una piazza restaurata da Mussolini, all’ombra di una chiesa barocca?
Con passo lieve, ma con rigore storico, Catherine Brice ci guida attraverso gli ultimi due secoli della storia di Roma, ricostruendone le vicende culturali, sociali, di costume, e restituendoci i colori, le luci, i rumori di una città sempre in bilico tra la conservazione del passato e le sfide di volta in volta poste dalla modernità.
François Menant traccia un quadro completo delle vicende politiche, economiche e culturali di un periodo cruciale per la formazione dell'Italia moderna, quello compreso tra il 1100 e il 1350. In quei secoli l'Italia centro-settentrionale fu teatro di un'esperienza unica nel contesto dell'Europa del tempo, lo sviluppo delle città comunali, che ha lasciato un segno profondo, ancora ben visibile.
È possibile discutere con i revisionisti, con coloro che negano la realtà del genocidio hitleriano fino a mettere in dubbio l'esistenza delle camere a gas? Per Pierre Vidal-Naquet la risposta è, senza alcuna esitazione, no. E non solo perché il dialogo presuppone un terreno comune, ma anche perché tra gli storici non esiste alcun dibattito che si possa definire scientifico sulla tragica verità dello sterminio nazista. Comprendere l'origine di una tale aberrazione è dunque più che mai necessario: si può e si deve discutere sui revisionisti, analizzando i loro testi "come si fa l'anatomia di una menzogna".
Napoleona Elisa Baciocchi, figlia di Elisa Bonaparte, era già da bambina una miniatura dello zio Imperatore: stessi lineamenti, stesso carattere collerico e prepotente. Cresciuta nell'assoluta fedeltà al mito napoleonico, nel 1830 si fece coinvolgere in un complotto ordito dai cugini Bonaparte, che mirava ad insediare il duca di Reichstadt (il figlio di Napoleone) a capo di un futuro Regno d'Italia. Di temperamento inquieto e insofferente, spesso preda della smania di viaggiare e fare "affari", Madame Napoléon ebbe una vita errabonda e ricca di vicissitudini e contraddizioni. Quando nel 1848 Luigi Napoleone Bonaparte venne eletto presidente della Repubblica francese, per poi divenire imperatore con il nome di Napoleone III, lo raggiunse a Parigi, ma la vita di corte del Secondo Impero si rivelò inadatta a lei. Si ritirò allora nel Morbihan, in Bretagna, dove si dedicò con fervore a dissodare quelle terre desolate, e dove morì nel 1869, amata e rimpianta dalle popolazioni locali di cui era diventata un punto di riferimento. Tra le donne di casa Bonaparte spesso autoritarie, ma intelligenti e attive - Napoleona fu certamente una delle figure più forti e stravaganti: questo studio ne tratteggia la complessità e l'ambivalenza del carattere, oscillante tra arroganza e insicurezza, tra inconcludenza ed entusiasmo, fedele fino in fondo alla sua famiglia e al suo destino.
L'Occitania, che oggi è semplicemente la parte meridionale della Francia, nel Medioevo era una regione che disponeva di una lingua propria e che aveva elaborato una cultura originale e un'identità specifica a lungo difesa dalle pretese espansionistiche del regno di Francia. Ai trovatori occitani del XII secolo si deve l'invenzione dell'amore cortese e l'elaborazione di un nuovo linguaggio poetico capace di influenzare per secoli lo sviluppo della letteratura e della riflessione intorno all'amore in Europa: senza di loro non avremmo avuto lo Stil Novo toscano, Dante e Petrarca. Questo libro è il primo studio a tutto tondo della società in cui i trovatori hanno vissuto e operato, un'area oggi ingiustamente trascurata e che non è, e soprattutto non era, soltanto una regione della Francia. Il lettore vi troverà descritto, con stile piacevole ma approfondito, la vita delle corti - come quella di Guglielmo d'Aquitania, poeta e governante illuminato in cui si incontravano nobildonne, trovatori e cavalieri, ma anche la vita quotidiana delle campagne, delle donne e dei bambini, la religiosità - oggetto di forti tensioni e conflitti culminati nella crociata contro i Catari - e il dinamismo culturale in ambito medico, letterario e filosofico di questo territorio che faceva da cerniera e da tramite culturale tra l'Europa cristiana e la Spagna ancora in parte musulmana.
"Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini": queste parole di Heinrich Heine ci ricordano che in tutte le epoche e civiltà il libro, come strumento di trasmissione delle idee e della memoria, è stato vittima del fanatismo e della censura. Da quando è nata la scrittura, gli elementi della natura e la volontà distruttrice dell'uomo hanno messo in pericolo la sopravvivenza dei suoi supporti materiali. In questa edizione, rivista e ampliata rispetto all'originale, Fernando Bàez ricostruisce l'inquietante storia della distruzione dei libri, vittime delle catastrofi naturali, delle fiamme, delle guerre e soprattutto dell'intolleranza politica e religiosa. L'itinerario parte dalle tavolette sumere e giunge fino al saccheggio di Baghdad all'inizio del secolo XXI, passando per la sparizione della leggendaria biblioteca di Alessandria, i grandi classici greci perduti, i roghi dell'imperatore cinese Shi Huangdi, la rovina dei papiri di Ercolano, gli abusi degli inquisitori, l'incendio dell'Escorial, l'eliminazione dei libri durante la guerra civile spagnola, le persecuzioni degli scrittori da parte dei totalitarismi del Novecento.
"La ricerca storica è per me uno spazio di gioia e di passione intellettuale. Provo sempre un brivido prima di entrare in un archivio o in una biblioteca: cosa troverò? Leggendo i registri della sua piantagione, finirò per trovare la schiava che sto cercando? Troverò la firma da lei lasciata per ragioni sue e da me accolta come segno della verità della sua esistenza e del fatto che sapesse scrivere, come sosteneva il suo amante? Che fortuna aver potuto leggere tante storie interessanti, alcune divertenti, altre da far gelare il sangue, alcune sorprendenti, altre familiari...". È con questo approccio, un originalissimo stile di vita e di lavoro, che Natalie Zemon Davis si accosta e dialoga con i personaggi che studia, cercando di comprenderne il mondo, le emozioni, le parole, i gesti, e sforzandosi di sottrarli all'oblio. In questo serrato dialogo con Denis Crouzet ci racconta il suo "mestiere di storica", ma anche come la sua stessa vita, l'impegno di cittadina e di donna siano un apprendistato continuo, un costante superamento delle certezze acquisite, uno stimolo a scrivere per offrire ai suoi lettori un messaggio di speranza e dire loro che la storia non è mai finita.
Quali furono i percorsi di carriera dei papi dell'età moderna. Perché essi furono con poche eccezioni tutti italiani e quale era il ruolo e la funzione dei cardinali. Come andò ad organizzarsi la curia. Quanto (e se) operarono i pontefici perché Roma divenisse degna capitale papale e non solo un luogo che evocava una antica e gloriosa memoria che poco o quasi nulla aveva da spartire col cristianesimo. Ancora, dove risiedettero i papi in Roma prima che il 20 settembre 1870 li riducesse infine in quel Vaticano che avevano fino ad allora trascurato. Come era organizzata la loro giornata di lavoro e quale era la loro disponibilità economica.
Per oltre otto secoli, dal 710 al 1492, tre culture, cristiana, islamica, ebraica, convissero in Spagna tra tensioni e scambi fecondi, incomprensioni e reciproci arricchimenti. Quella che racconta questo libro non è solo una storia di incontri o scontri tra religioni, ma di come si definirono le diverse identità della Penisola iberica e di come tali identità guardarono a ciò che percepivano come diverso e insieme, inevitabilmente, prossimo.