" Tra gli Hutu e i Tutsi non c'è mai stata differenza. Ma nel 1994 io donna Tutsi mi sono seduta davanti alle rovine della mia casa. Il primo vicino non c'era più, era stato assasinato dagli Hutu. Il secondo sterminato con la sua famiglia. Ho visto la stessa cosa anche per il terzo vicino. Ho scritto questo libro perchè non accada più."
Questo libro racconta la storia di una donna siciliana che con la mafia ha fatto i conti denunciandola, nella paura di nuovi attentati e nel ricordo delle violenze subite.
Michela: donna fiera e libera. Ma a caro prezzo.
Elena Di' è la protagonista di questo romanzo. E' anche un nome di fantasia che nasconde una bambina, ormai donna, cresciuta nella paura di un padre violento, respirando violenza al di là degli eventi. E' una bambina che vede non vista, come invisibili e precocemente maturi sono molti bambini come lei.
Questo libro si muove in maniera originale nell'universo delle possibili strade del dialogo tra le grandi religioni monoteiste del mediterraneo: Ebraismo, Cristianesimo, Islam. Non propone un ulteriore discorso teologico sul problema - saturo ormai di polemiche e di distinguo - del complesso rappporto tra questi mondi. Attinge a quello spazio comune di un sapere e sentire nel quale l'esperienza diffusa del dialogo vive e comunica. In quella linea di confine sottile e comune alle culture, alle religioni, alle civiltà. Uno spazio dove, al di là dell'essere credenti o meno, si colloca la possibilità di un dialogo profondo che oltrepassa pregiudizi e convenzioni e che costituisce un ricco territorio sul quale Tre volte Dio desidera posare lo sguardo con rispetto, grazia e delicatezza.
“Sì! Possiamo chiamarla ballata questa storia, che dice di quando gli ebrei non erano graditi. Io sono un ebreo nato nel 1928, ho trascorso la mia adolescenza durante la discriminazione, le leggi razziali, la guerra, la persecuzione, la rovina del nostro Paese e infine la liberazione.” Marco Maestro
Secondo un’antica credenza popolare il clochard è colui che ha scelto di vivere per strada come forma di libertà.
L’immaginario però si frantuma nel momento in cui la persona senza dimora comincia a raccontarsi: un sé spezzato e fratturato da un evento critico, come la perdita di un lavoro stabile, o da eventi normali che scatenano circuiti a catena: perdere la casa perché la rata (magari doppia) del mutuo non aspetta, perdere la moglie e i genitori o l’intera famiglia che non fa più da rete di protezione sociale, perdere gli amici che combattono anch’essi per dare un senso al moto perpetuo della propria vita.
L’uomo e la donna senza dimora oggi non sono solo sulle panchine di una stazione, ma spesso girano con un curriculum formato europeo salvato sulla pen drive.
Non quindi la povertà estrema, ma piuttosto una condizione d’impoverimento a cascata da cui, se non hai una rete di sostegno, ne esci con le ossa rotte.
Questo libro dà voce a vissuti, a emozioni di persone che hanno scelto di raccontarsi.
L’affresco descrive non solo una società indifferente verso le spirali dell’emarginazione ma anche la facilità con cui è sempre più facile per ciascuno scivolare in queste condizioni.
Ogni storia ha un nome fittizio, mentre non lo è affatto il racconto. Quello è vero, come la vita.
Il 4 Novembre del 1994 nell'Adriatico orientale cinque uomini e il loro cane pescano come sempre. Il "Francesco Padre", la loro barca, ora è un rantolo contorto e i loro corpi giacciono in fondo al mare. La vicenda rientra tra quelle su cui vige il segreto di Stato. Quella notte, in quelle acque, era in corso l'operazione della Nato "Sharp Guard".
“Elisa crede di poter tenere tutto per sé un babbo dall’irresistibile fascino. Giorgia si distrugge e strugge per salvare l’immagine che ha di lui. Sandra rimane invischiata in un corpo a corpo. Niccolò ha paura dell’altro sesso. Giacomo cerca inutilmente di differenziarsi dal genitore.”
Martedì 7 settembre 1943. Sul vagone n. 12 Etty parte per Birkenau. Su quel treno ci sono 170 bambini, 602 adulti, 215 anziani. Morirà il 30 novembre 1943. In 83 giorni Etty ha forse scritto qualcosa. Ci piace immaginare il suo dodicesimo quaderno. L'ultimo di una giovane che ha conosciuto una straordinaria pienezza di vita."
"Fuga dalla paura" di Irena e Henryk Zeligowski è un libro doppio. Nel senso che si può cominciare a leggere da una parte e poi, semplicemente girandolo, incrociare l altra storia. Un artificio grafico con due diverse copertine, per rendere l'idea delle due storie che camminano parallele e poi, a un certo punto, si incontrano. Sono le storie di Irena e Henryk, 2 ebrei sopravvissuti alla Shoah. Irena prima braccata e poi in fuga dal ghetto di Varsavia, Henryk in fuga dal ghetto di Kalisz, città di frontiera con la Germania. Ora medici in pensione, vivono in un quartiere nei pressi di Tel Aviv. Per anni non hanno raccontato la loro storia, fino a quando, Giulia, la loro nipotina che vive in Italia, studiando a scuola la storia degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ha chiesto ai suoi nonni di raccontarle la loro storia. Irena e Henryk hanno incontrato la classe di Giulia e tanti altri bambini. Hanno così capito l'importanza di ricordare e raccontare per lasciare memoria perché non accada o continui ad accadere che ai ragazzi venga rubato il loro futuro.