"... il lettore potrà domandarsi quanto c'è di vero. L'epoca di Costantino è curiosamente oscura. La maggior parte delle date e dei fatti che le enciclopedie danno per sicuri, a una verifica attenta si rivelano inconsistenti. La vita di sant'Elena comincia e finisce tra congetture e leggende. Possiamo dare per certo che ebbe da Costanzo Cloro il figlio Costantino; che costui la proclamò imperatrice; che si trovava a Roma nel 326, quando Crispo, Liciniano e Fausta vennero assassinati; che poco dopo andò a Gerusalemme ed ebbe parte nella costruzione delle chiese a Betlemme e sul Monte degli Olivi." (Evelyn Waugh, "Elena. La madre dell'imperatore", 1950)
La scultura italiana negli anni trenta vive una stagione di grande fermento, sia per la ricerca formale, che in alcuni casi ancora indugia sugli apporti delle varie Secessioni e quindi dello stile decò, sia per l'idealità che la orienta verso un ritorno alla classicità di tradizione, mediata spesso dalla conoscenza approfondita dei grandi scultori classici francesi, da Rodin a Maillol a Bourdelle, ma sostanzialmente impostata sul recupero dell'antico. L'aspetto monumentale della scultura di questo periodo, sicuramente il più interessante dal punto di vista dell'innovazione, non è il focus di questo studio, che invece vuole osservare, attraverso una selezione di opere e di artisti che è sicuramente parziale, derivando dalle collezioni precostituite della Galleria nazionale d'arte moderna, uno spaccato artistico di grande suggestione, ricomponendo per una volta, forse la prima nella storia della Galleria stessa, un insieme di opere di artisti in gran parte dimenticati, che negli anni trenta hanno trovato spunti e suggestioni dalla tradizione italiana e italica anzi, facendone spesso la ragione prima del loro operare artistico.
Una lettura filosofica ed emotiva di questo "genere" del Novecento. Il monocromo è un'immagine senza rappresentazione che ha subito, in Frank Stella e Ad Reinhardt, per esempio, un processo estremo di negazione: senza contenuto che l'oggetto stesso, senza disegno né composizione o relazioni interne, senza profondità né rapporto drammatico tra figura e sfondo, senza plasticità né decorazione. Un viaggio nel grado zero della pittura, colore e materia in sé e per sé, di estrema densità fisica e concettuale, tra simbolo, spiritualismo e utopia.
Nel 2008, a sedici anni dalla scomparsa dell'artista, nel pieno di uno sviluppo storiografico che deve rinunciare al rapporto con la sua persona e con l'evoluzione della sua opera, la critica si trova in una fase così delicata da richiedere una verifica del modo di leggere e recepire l'arte di Francis Bacon. Luigi Ficacci torna a indagare un aspetto particolare della sua poetica: il profondo rapporto che lega i due grandi maestri nell'identica percezione di un flusso della spiritualità umana in cui entrambi collocano l'arte, un flusso che condurrà l'occhio odierno a guardare Michelangelo con l'esilarante disperazione di Francis Bacon. Il fulcro del saggio è "Study from the Human Body" di Melbourne: un titolo simile avrebbe potuto essere attribuito facilmente a un disegno di Michelangelo. È un eroe-uomo colto in un passaggio di evanescenza dalla propria potenza; figura dalla sensualità oscura, gravata da un imprecisabile senso di tragedia, carica di potenza e disfatta. Bacon di spalle, mentre esce di scena, rivela un aspetto di grevezza del meccanismo della forza, qualcosa che svela il peso schiacciante della potenza e la vulnerabilità dell'uomo; ma anche lo stato latente della sua forza animale e la possibilità, nell'azione, di elevarsi istantaneamente a una violenza oltre i limiti; e anche che la potenza e la sua capacità di trasfigurare il corpo sono governati da un'incombenza dell'irrazionale o del fato, più che da un'azione determinata dalla volontà.
Dopo una sottile analisi dei modelli (da Tiziano a Goya fino ai meno noti) e dei significati delle opere di Manet, indagati da una studiosa dell'iconologia medievale e rinascimentale, un affondo dentro la qualità del dipinto e la ricostruzione di un dibattito critico che coinvolse letterati d'eccezione come Zola, tra il sarcasmo della stampa.
L'impatto emotivo di "Guernica" è stato sempre straordinario: il rifiuto della barbarie umana e il suo grido di libertà e pace rimangono vivi oggi come quel giorno, nel 1937, in cui Picasso posò il pennello. L'agenda del cantiere, le intenzioni, la storiografia e l'indagine critica delle sue molte esposizioni di cui si rende conto anche grazie a un'inedita documentazione fotografica, per leggere quello che nessuno ha mai visto, perché "un quadro vive soltanto attraverso l'uomo che lo guarda".
"Amo molto la danza. È una cosa straordinaria la danza: vita e ritmo. Per me è facile vivere con la danza. Quando ho dovuto dipingere una danza per Mosca, sono semplicemente andato una domenica pomeriggio al Moulin de la Galette. Ho guardato come danzavano. In particolare ho guardato la farandola... I ballerini, tenendosi per mano, corrono attraverso tutta la sala, avvolgendo come un nastro la gente un po' sconcertata... Tornato a casa, ho composto la mia danza su una superficie di quattro metri, canticchiando lo stesso motivo che avevo sentito al Moulin de la Galette, in modo che tutta la composizione, tutti i ballerini, si muovessero allo stesso ritmo". (Henri Matisse)
"Fili metallici, di cotone, lana, seta, d'ogni spessore, colorati. Vetri colorati, carteveline, celluloidi, reti metalliche, trasparenti d'ogni genere, coloratissimi, tessuti, specchi, lamine metalliche, stagnole colorate, e tutte le sostanze sgargiantissime. Congegni meccanici, elettrotecnici; musicali e rumoristi; liquidi chimicamente luminosi di colorazione viariabile; molle; leve; tubi, ecc." (Manifesto della ricostruzione futurista dell'universo, Milano, 11 marzo 1915)
Valentina Moncada che gestisce l'omonima galleria d'arte a Via Margutta ha scoperto per caso che nel 1917 il marchese Giuseppe Patrizi, suo bisnonno, affittò a Picasso uno studio nell'antico complesso degli Studi Patrizi. Il libro racconta l'attività creativa dell'artista durante il suo primo soggiorno romano, attraverso l'esposizione di alcune fotografie di Picasso nel suo atelier di Via Margutta e alla corrispondenza tenuta in quel tempo da Picasso e dai suoi compagni d'avventura (soprattutto Jean Cocteau), consentendo di ripercorrere la quotidianità di quei mesi romani, in particolare la creazione di due grandi capolavori, "L'Italiana" e "L'Arlecchino e donna con collana". Seguono una serie di documenti, che illustrano i rapporti di Picasso con gli artisti coinvolti a Roma nella genesi della "Parade", balletto per il quale l'artista realizzò costumi e scenografie. La pubblicazione analizza inoltre le possibili motivazioni della scelta del maestro di lavorare proprio a Via Margutta a un passo dal Circolo Artistico romano degli Studi Patrizi e il suo rapporto con i Futuristi.
"Pesci rossi" si intitola una fortunata raccolta di scritti di Emilio Cecchi, che vide la luce nel 1920. Pochi anni prima Cecchi, in occasione della mostra della Secessione Romana, aveva avuto modo di ammirare I pesci rossi di Matisse: al quadro, così moderno nell'estetica delle forme e nella profondità delle allusioni, e alla mostra, lo scrittore dedicò un breve articolo e qualche annotazione sparsa dei suoi taccuini, suscitando l'interesse e la curiosità dei suoi lettori, di altri critici del suo tempo, e perfino della famiglia reale. Sì che da allora, e per qualche tempo, pesci rossi allusero proprio a quei brevi saggi, a quelle colte divagazioni del tipo ricordato. Ci è piaciuto riproporre quella stessa tecnica dello scrivere, un saggio breve illustrato, che abbia per argomento un artista, un'opera, una città, un monumento. O altro ancora, sempre connesso alla materia di cui trattiamo, la storia dell'arte.
"Pesci rossi" si intitola una fortunata raccolta di scritti di Emilio Cecchi, che vide la luce nel 1920. Pochi anni prima Cecchi, in occasione della mostra della Secessione Romana, aveva avuto modo di ammirare I pesci rossi di Matisse: al quadro, così moderno nell'estetica delle forme e nella profondità delle allusioni, e alla mostra, lo scrittore dedicò un breve articolo e qualche annotazione sparsa dei suoi taccuini, suscitando l'interesse e la curiosità dei suoi lettori, di altri critici del suo tempo, e perfino della famiglia reale. Sì che da allora, e per qualche tempo, pesci rossi allusero proprio a quei brevi saggi, a quelle colte divagazioni del tipo ricordato. Ci è piaciuto riproporre quella stessa tecnica dello scrivere, un saggio breve illustrato, che abbia per argomento un artista, un'opera, una città, un monumento. O altro ancora, sempre connesso alla materia di cui trattiamo, la storia dell'arte.
"Pesci rossi" si intitola una fortunata raccolta di scritti di Emilio Cecchi, che vide la luce nel 1920. Pochi anni prima Cecchi, in occasione della mostra della Secessione Romana, aveva avuto modo di ammirare "I pesci rossi" di Matisse: al quadro, così moderno nell'estetica delle forme e nella profondità delle allusioni, e alla mostra, lo scrittore dedicò un breve articolo e qualche annotazione sparsa dei suoi taccuini, suscitando l'interesse e la curiosità dei suoi lettori, di altri critici del suo tempo, e perfino della famiglia reale. Sì che da allora, e per qualche tempo, pesci rossi allusero proprio a quei brevi saggi, a quelle colte divagazioni del tipo ricordato. I libri di questa collana ripropongono quella stessa tecnica dello scrivere, un saggio breve illustrato, che abbia per argomento un artista, un'opera, una città, un monumento. Questo primo volume, pubblicato in concomitanza con le celebrate mostre mantovane rappresenta una guida esauriente alla "Camera degli sposi" di Andrea Mantegna e presenta, oltre al saggio, testi descrittivi delle diverse parti del ciclo.