Questo classico della storiografia offre una sintesi ricca e partecipe di trent'anni di vita italiana. Il libro si apre sul dopoguerra della cosiddetta «vittoria mutilata», considerando gli effetti psicologici, economici e sociali della guerra sulle classi italiane. Muovendo dalla crisi che immobilizzò gli ultimi governi costituzionali, Chabod giunge al tema centrale del libro: il fascismo, le ragioni del consenso alla dittatura, il suo istituzionalizzarsi a regime, l'atteggiamento della Chiesa e della Corona. Dalla guerra d'Etiopia all'intervento nella guerra civile spagnola a fianco della Germania nazista, alle leggi razziali, il libro ricostruisce il precipitare degli eventi verso il secondo conflitto mondiale. Illuminanti sono, nella loro agile essenzialità, le pagine dedicate alla Resistenza, considerata di là da ogni intento celebrativo. Attraverso le dinamiche della lotta partigiana e le sue contraddizioni Chabod giunge all'ultimo tema della trattazione: la nascita della Repubblica italiana, investigandone questioni tutt'ora aperte di ordine economico-politico, così come culturale e sociale. Il rigore dell'autore, la vivacità di una scrittura mai didascalica fanno di quest'opera, più che un utile compendio di anni cruciali, una lettura cui fare costantemente riferimento.
L'intelligenza artificiale sta vivendo una stagione di grandi successi. Alle disillusioni degli inizi sono subentrati, all'alba del XXI secolo, progressi spettacolari che tuttavia sono ben lungi dall'essere adeguatamente compresi: l'intelligenza artificiale rimane infatti, in buona sostanza, qualcosa di opaco. Di più: nonostante la sua straordinaria avanzata, la distanza che la separa dall'obiettivo che si è prefissata, quello di riprodurre l'intelligenza umana, non accenna a diminuire. Per superare questo enigma, secondo Daniel Andler è necessario venire a capo di un altro: quello dell'intelligenza umana. Essa è qualcosa di sostanzialmente diverso dalla capacità di risolvere qualsiasi tipo di problema, ma qualifica tramite il suo giudizio il modo in cui gli esseri umani fronteggiano le situazioni di qualsiasi genere nelle quali si vengono a trovare. L'intelligenza è un concetto irriducibilmente normativo, non diverso dal giudizio etico o estetico, ed è per questo che per noi è qualcosa di inafferrabile. Un sistema artificiale «intelligente» non conosce le situazioni, ma soltanto i problemi che gli sottopongono gli operatori umani. Ed è solo sotto questo aspetto che l'intelligenza artificiale può superarci. Di fatto essa è in grado di risolvere una varietà sempre più ampia di pressanti problemi. E questo dovrebbe restare il suo obiettivo; non quello, del tutto incoerente, di cercare di uguagliare, o addirittura superare, l'intelligenza umana. L'umanità ha bisogno di strumenti affidabili, potenti e versatili, e non di pseudo-persone provviste di una forma disumana di conoscenza.
Questo libro racconta la storia dell'italiano della letteratura dal Medioevo, quando nasce, al Rinascimento, quando si afferma nel ruolo di primo collante linguistico nazionale, all'età moderna (dal Seicento all'Ottocento), quando comincia a separarsi dalla lingua non letteraria, fino a un radicale divorzio dei due istituti, specie tra quello della poesia e quello della lingua comune. Segue poi le vicende del linguaggio letterario nel Novecento, il secolo che ne ha ridotto drasticamente e definitivamente la specializzazione grammaticale e lessicale, trasferendola a livelli stilistici e in luoghi linguistici prima non colpiti dalla differenziazione letteraria. Esamina, infine, all'inizio del XXI secolo, con ampia messe di dati, i piú recenti tentativi (felici o falliti) che l'uso letterario della lingua fa per non perdere del tutto o per riacquistare in parte tratti specifici o aggiuntivi rispetto a quelli dell'italiano corrente. Questa nuova edizione di un'opera di lungo e fortunato corso rivede e aggiorna completamente la precedente e la integra di una parte cospicua dedicata alla contemporaneità, realizzando, di fatto, per quantità e qualità della revisione e delle aggiunte, un libro nuovo: un percorso attraverso la letteratura italiana, dalle origini fino al secondo decennio del XXI secolo, con i materiali e la strumentazione di un linguista. Nuova edizione riveduta e ampliata.
Affermatasi a partire dal secondo dopoguerra fra le principali potenze industriali, l'Italia rappresenta un caso a sé stante nel quadro delle economie occidentali. Tanto differenti, rispetto a quelle di altri paesi europei, sono state, oltre alle matrici del capitalismo italiano, le risorse materiali, le condizioni strutturali e le caratteristiche sociali della nostra esperienza economica. Ed evidenti sono tuttora alcune sue rilevanti asimmetrie. Sullo sfondo delle vicende della finanza e del mercato internazionale, Castronovo ricostruisce il complesso itinerario dell'economia italiana, intrecciandolo sia agli eventi politici e agli orientamenti culturali sia alle trasformazioni di natura sociale. Vengono così rievocate, insieme all'opera dei principali attori della vita economica e delle diverse componenti del mondo del lavoro, le fasi più significative di un processo di sviluppo e di modernizzazione che non fu né univoco né lineare, ma molto difforme dal punto di vista del territorio ed estremamente accidentato. Dopo aver compiuto rilevanti progressi economici, anche grazie al dinamismo di una miriade di piccole e medie imprese, senza colmare tuttavia il divario fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno, l'Italia è oggi di fronte al problema del risanamento di un ingente debito pubblico nell'ambito dell'Unione monetaria europea, e a quello della crescente competitività di grandi paesi emergenti. Nell'epoca della globalizzazione, il nostro Paese si trova dunque a percorrere un tornante cruciale per il suo futuro. Questa edizione ripensa radicalmente gli eventi degli ultimi decenni aggiornando la trattazione alle sfide del 2020.
Se pochi intellettuali hanno influito in misura così decisiva nella cultura del Novecento quanto Jean-Paul Sartre, oggi il filosofo francese, per una sorta di vendetta dell'indifferenza, appare messo indebitamente ai margini dal pensiero dominante. Tanto più criticamente suggestivo è per questo il ritratto inedito che ne propone Massimo Recalcati. Al centro il rapporto tra libertà e destino, necessità e contingenza, invenzione e ripetizione, costituzione e personalizzazione. E soprattutto un'idea d'infanzia concepita non tanto come tappa evolutiva o residuo archeologico, quanto piuttosto come presenza inassimilabile che l'esistenza ha il compito di riprendere incessantemente. In tale processo il confronto con Freud e Lacan diventa decisivo: come liberare il desiderio da quel miraggio di totalizzazione compiuta che Sartre definisce «desiderio di essere»? come consegnarlo a una mancanza capace di essere davvero generativa? La filosofia di Sartre è scomparsa dal nostro orizzonte culturale. Con questo libro Massimo Recalcati propone un "ritorno a Sartre". Non tanto rileggendone l'opera alla luce della psicoanalisi, ma mostrando quanto potrebbe essere utile per la psicoanalisi contemporanea non dimenticare la lezione sartriana.
A nessuno piace essere definito vigliacco, vile o codardo, parole cariche di disprezzo e di condanna, che stigmatizzano, con un marchio difficile da sopportare, il soldato che fugge in guerra come chi in un rapporto affettivo si sottrae alle proprie responsabilità, o coloro che colpiscono persone più fragili, non in condizione di difendersi. Eppure, ha scritto Kierkegaard, «chiunque si sforzi di conoscere davvero se stesso dovrà ammettere di essersi non di rado colto a mostrarsi codardo». La viltà, male comune che tutti possiamo riconoscere dentro di noi e che incontriamo in ogni ambito del vivere, è uno dei più subdoli veleni della vita collettiva: inquina le relazioni, compromette irreparabilmente la fiducia reciproca. In questo libro, la riflessione etica e la ricerca storica e sociale si integrano in modo originale e spesso sorprendente, per raccontare, attingendo a esempi e figure chiave tratti dalla storia come dalle pagine di poeti e romanzieri, la viltà e il coraggio nelle loro diverse manifestazioni e nelle esperienze, anche emotive, che li muovono e accompagnano. Per mostrare che l'essere vili o non esserlo, alla fine, è sempre frutto di una scelta. E per scoprire che questo male che attraversa l'umanità, presente in tutte le epoche e in culture diversissime, ha conosciuto una trasformazione nel tempo: se la «viltà degli antichi» toccava diversamente i nobili e i plebei, le donne e gli uomini, quella «dei moderni» si è spalmata sull'intera società, dando vita a inedite dinamiche di potere.
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell'Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell'esistenza del poeta, sia nell'attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un'indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche.
In questo libro Ernesto De Martino risale alle radici dell'esigenza umana di rifiutare la morte nella sua scandalosa gratuità e, di riflesso, procurare al defunto una «seconda morte» culturalmente definita, mediante il ricorso a determinate pratiche rituali. Tra queste, l'istituto del lamento funebre, rivolto ai vivi non meno che ai defunti, poiché la piena del dolore rischia di compromettere l'integrità della presenza dei sopravvissuti. Qui sta la funzione più profonda del pianto rituale, che non cancella la crisi del cordoglio ma l'accoglie in sé, trasformandola in disciplina culturale capace di mantenere il pathos al riparo dall'irruzione della follia. In ciò risiede la sua umanissima sapienza, il cui valore trascende i limiti storici di diffusione del fenomeno, e al quale s'abbandona persino la Madonna al cospetto della morte del Figlio, nonostante l'accesa polemica cristiana contro il costume pagano. Dall'analisi del fenomeno, ridotto allo stadio di «relitto folklorico», scaturisce il bisogno di estendere l'analisi alle antiche civiltà agrarie del Mediterraneo, al cui interno l'istituto del lamento funebre visse la stagione del suo massimo splendore, fino al progressivo declino, causato dallo scontro con il cristianesimo trionfante. De Martino si interroga infine sul problema della risoluzione laica della crisi del cordoglio, e l'"Atlante figurato del pianto" riflette mediante un sapiente uso delle immagini l'affascinante itinerario dell'Autore, che sollecita un confronto con l'Atlante "Mnemosyne" di Aby Warburg.
In questo Seminario Lacan tratta dell'uomo e della donna. Per essere precisi tratta del loro rapporto, a proposito del quale l'immaginazione ha da sempre alimentato piacevoli illusioni e struggenti passioni, e rispetto al quale la cultura ha prescritto, secondo i tempi, ciò che è bene e ciò che è male. In realtà sia la poesia, in modo suggestivo, sia la società, che accentua il disagio di questo rapporto, sono come dei veli che coprono un buco: un buco nel reale. Lacan propone un'inedita definizione: «Non c'è rapporto sessuale». Questo non vuole dire che non ci possano essere quei rapportini, così li chiama, che fanno la delizia e la croce del genere umano. Vuol dire invece che tra l'uomo e la donna non c'è, a priori, nessun accordo né armonia alcuna. Difetto che non dipende né dall'uno né dall'altra, poiché la chiave è da ritrovare soltanto in quello che Freud ha chiamato inconscio e che Lacan cerca di precisare sviluppando una nuova logica. È l'inconscio che rende impossibile che di due si arrivi a fare uno. Eppure l'uno-tutto-solo c'è. Al non c'è del rapporto sessuale si oppone il c'è dell'Uno, il quale è solo nel suo godimento, e questo vale per qualunque corpo parlante, che sia dell'uno o dell'altro sesso. Qui inizia l'ultimo insegnamento di Lacan. Sembra che Lacan ripercorra strade conosciute, e invece è tutto diverso: l'Altro non è quello che conoscevamo, e neppure il desiderio, addirittura neppure il godimento. L'inconscio stesso, che Lacan più avanti chiamerà parlessere, si situa ormai sotto l'egida dell'Uno nella dimensione del Reale.
"Mecenati e pittori" è un libro di storia dell'arte: non di storia della critica d'arte, di storia del gusto, di storia del collezionismo o del mecenatismo. E nemmeno di storia sociale dell'arte. Occorre rammentarlo, oggi: mentre finiamo col credere che le risibili barriere dei settori scientifico-disciplinari della nominalistica burocrazia accademica italiana corrispondano a qualcosa di concreto. La riottosità che Haskell opponeva al tentativo di incasellarlo in qualche etichetta di facile consumo storiografico (come quella della pur gloriosa "storia sociale dell'arte") traspare dalla disarmante semplicità con la quale diceva di se stesso (cito dal film-intervista che gli ha dedicato il Louvre): "Sono uno storico dell'arte, e scrivo libri sull'arte". Per Haskell questa rivendicazione significava distinguersi dagli archeologi (dagli antiquari, come diceva alludendo al saggio celebre di Momigliano), e si fondava sulla centralità del giudizio di qualità, assunto come metro ultimo del suo esercizio storiografico.
Ida Zilio-Grandi evidenzia la varietà di concezioni e valori espressi dalla fede islamica, sostenendo la sua indagine attraverso il sapiente utilizzo di diverse fonti, tutte appartenenti al vasto contenitore della letteratura religiosa. Il lettore ritroverà in ognuna di queste virtù gli stessi ideali riconosciuti da altre tradizioni religiose, quei valori comuni indispensabili sia a una convivenza serena tra le diverse fedi, sia a un reale confronto con il mondo secolare.
Con questo libro Peter Brown affronta senza ambiguità uno dei grandi paradossi della storia dell'Occidente. Utilizzando fonti alte e archivi "bassi" elaborazioni dottrinali di matrice teologica, disposizioni del diritto canonico e materiali spuri tratti dalla vita quotidiana di comunità e personaggi minori - lo storico scrive una vera e propria storia economica del cristianesimo e della Chiesa delle origini. Al centro del libro la condizione paradossale per cui se anche la rinuncia, il dono e la povertà si trovano al cuore dei Vangeli, la chiesa, che su quei testi si è edificata, è diventata, nel corso dei secoli, una delle più formidabili potenze economico-finanziarie della storia. Lungi dal gridare allo scandalo, Brown cerca di spiegare come mai un'istituzione nata sul presupposto secondo cui la vera vita si colloca nel mondo altro della promessa, e che questo mondo, con i suoi beni, lusinghe e tentazioni, è da rigettare, proprio a questo mondo si è adattata con tutte le sue forze, insediandovisi e organizzandosi anche e soprattutto come potenza economica e politica. Due i fenomeni studiati dall'autore. Da un lato il flusso di ricchezza, poteri, ruoli e funzioni di comando e controllo dalla grande aristocrazia terriera alle alte gerarchie ecclesiastiche. Dall'altro, e specialmente, le condotte e scelte di vita di una "moltitudine sinora inosservata". La ricchezza della Chiesa si spiega soprattutto guardando verso il basso, verso un mondo di cui si sapeva poco solo fino a pochi anni fa...
Se nel VI secolo l'Impero romano d'Oriente era il piú vasto stato nell'Eurasia, appena un secolo dopo esso si era ridotto drasticamente. Circondato da nemici, devastato da conflitti e malattie, sembrava destinato al collasso, ma non fu così, e questo saggio ci spiega tutti i motivi per cui ciò non avvenne. Nel 700 d.C. l'Impero aveva perso tre quarti del suo territorio a vantaggio del Califfato islamico. Ma l'accidentata geografia dei territori rimanenti in Anatolia e nell'Egeo fu strategicamente vantaggiosa, poiché impedì ai nemici di occupare permanentemente le città, rendendoli vulnerabili ai contrattacchi romani. Più l'Impero si riduceva, più si calamitava intorno a Costantinopoli, la cui capacità di resistere ai diversi assedi si rivelò decisiva. Anche i cambiamenti climatici ebbero un ruolo, poiché imposero di diversificare la produzione agricola, aiutando così l'economia imperiale. La crisi costrinse la corte ad avvicinarsi alle classi dirigenti delle province e alla Chiesa. Nonostante le perdite territoriali, l'Impero non patì gravi crisi politiche. Ciò che restava divenne il cuore di uno stato romano cristiano medievale, la cui potente teologia politica predisse che l'imperatore avrebbe infine prevalso contro i nemici, sancendo il dominio mondiale del cristianesimo ortodosso.
La prima guerra mondiale è stata il tragico atto di nascita del XX secolo. In genere le opere sulla Grande Guerra, perfino quelle che si vogliono "globali", limitano l'indagine al fronte occidentale; questo volume si presenta invece come una storia complessiva del conflitto e delle sue conseguenze, che dà finalmente spazio a ogni teatro di guerra, comprendendo il fronte orientale e balcanico e gli interventi nei mari e in ambito extraeuropeo (in Asia orientale, nel Pacifico, in Africa), ma soprattutto i fronti interni, con l'ampio coinvolgimento delle popolazioni civili dei paesi belligeranti. Al lettore viene così offerto un quadro approfondito, utile alla comprensione di un fenomeno radicale e di lunga durata, e che oltre all'ambito militare, politico e diplomatico esamina le trasformazioni provocate dalla guerra nei comportamenti sociali, nei rapporti di lavoro o tra i sessi, nel commercio e nella finanza internazionale. Un racconto dalle molte sfaccettature, integrato con cronologie, testimonianze, documenti storici, approfondimenti e illustrato con numerose mappe e fotografie.
Questo libro è una completa e aggiornata sintesi interpretativa dell’evoluzione del Mediterraneo, dai primi insediamenti umani e l’origine dell’agricoltura e della metallurgia fino al sorgere delle antiche civiltà: egizia, levantina, minoica, micenea, fenicia, etrusca, greca arcaica. Il Mediterraneo possiede requisiti non comuni che ne spiegano il precoce sviluppo: è il più grande mare interno del mondo ed è prossimo al nucleo fluviale nei pressi del quale si diffusero le prime civiltà. Non c’è quindi da meravigliarsi se le società che vi si affacciavano si rivelarono eccezionali e se, come importanti campagne archeologiche hanno evidenziato, il “Mare di mezzo” custodisce le fonti più ricche e preziose per lo studio delle culture antiche.
Torna, in una nuova edizione arricchita e rivista, un libro che, in un decennio, è diventato un punto di riferimento e quasi un classico, tradotto in inglese, francese, spagnolo. Il diritto è una forma di disciplinamento sociale che ha invaso la modernità, ma la sua nascita rimanda per intero alla storia di Roma. Aldo Schiavone ricostruisce questa vicenda con passione e lucidità, seguendone la trama attraverso i secoli e muovendosi dalle origini più remote sino alle soglie del mondo tardoantico. Un vasto affresco storico e un serrato saggio d'interpretazione sui tratti fondamentali della macchina giuridica occidentale e del discorso che le si è costruito intorno: il formalismo, la pretesa neutralità, i rapporti con il potere politico. Ambienti, personaggi, quadri concettuali, ideologie che hanno segnato la nostra storia e che qui sono analizzate in un continuo contrappunto tra antico e moderno, tra pensiero romano e tradizione europea
Tutti perdiamo tempo su Internet, arrivando persino a colpevolizzarci per quanto siamo soliti saltabeccare da un sito all'altro. Ma siamo davvero sicuri che stiamo sprecando del tempo? Per Kenneth Goldsmith non è affatto cosí perché, a differenza dei vecchi media, Internet ci obbliga a un coinvolgimento attivo, facendoci diventare piú sociali, piú inventivi, e persino piú produttivi. Goldsmith sviluppa queste sue provocatorie intuizioni sostenendo che le nostre vite digitali stanno rimodellando l'esperienza umana. Quando stiamo «perdendo tempo», in realtà creiamo una cultura della partecipazione, leggiamo e scriviamo di piú, anche se in modo diverso. E mandiamo a gambe all'aria i concetti di autorità e autenticità. Internet ci fa entrare in uno stato intermedio tra l'estrema attenzione e il naturale fluire del subconscio, la condizione ideale per la creatività. Dove tutto ciò ci condurrà è uno dei segreti del XXI secolo ancora tutto da scoprire.
Un grande scrittore e una psicoterapeuta si confrontano sulla necessità dell'uomo di raccontarsi e di inventare delle storie. J. M. Coetzee e Arabella Kurtz prendono in considerazione la pratica psicoterapeutica, e il suo più ampio contesto sociale, partendo da prospettive diverse, ma al centro di entrambi i loro approcci vi è il comune interesse per la verità e per le storie. Uno scrittore lavora in solitudine, ed è l'unico responsabile della storia che racconta. Il terapeuta, viceversa, collabora con i pazienti per far emergere un racconto della vita e dell'identità del paziente che sia allo stesso tempo significativo e vero. Che tipo di verità le storie create dal paziente e dal terapeuta cercano di scoprire? La verità oggettiva o quella mutevole e soggettiva dei ricordi esplorati e rivissuti durante la relazione terapeutica? Confrontandosi con le opere di grandi scrittori come Cervantes e Dostoevskij o di psicoanalisti quali Freud e Melarne Klein, e discutendo di psicologia individuale o dei gruppi (le classi scolastiche, le bande giovanili, le società coloniali), Coetzee e Kurtz propongono al lettore illuminanti intuizioni sulla nostra capacità - e difficoltà - di analizzarci e di raccontare, a noi stessi e agli altri, le storie della nostra vita.
Per la loro natura di diario quotidiano e di ininterrotto colloquio con un destinatario che doveva conoscere tutti gli sforzi e i pensieri dell'altro, queste lettere costituiscono il filo conduttore della straordinaria storia intellettuale di Piero e Ada Gobetti. Inoltre, rispecchiando un'attività che fu intensissima fin dai suoi esordi, esse restituiscono una fitta trama di relazioni, contatti, esperienze, e possono essere considerate un osservatorio privilegiato della vita culturale italiana in anni cruciali della sua storia. Grazie a questo carteggio, l'icona severa del Gobetti intellettuale e antifascista intransigente si arricchisce della dimensione privata, mostrando il processo della sua formazione umana, politica e intellettuale. Allo stesso tempo, l'immagine di Ada consorte e vedova del martire antifascista viene sostituita da quella di una giovane donna combattiva e pensosa, capace di sostenere l'arduo rapporto con Piero e di smussare le rigidezze intellettualistiche di lui. Questa edizione del carteggio, che si aggiorna con nuovi documenti recentemente affiorati, intende avvicinare anche il pubblico non specialista a due straordinarie personalità del Novecento che non hanno mai smesso di parlarci attraverso la loro struggente storia d'amore e il loro inestinguibile ed eroico impegno civile e politico.
È tutto finito? In un'epoca di globalizzazione, la varietà e l'individualità delle marche e del branding saranno completamente annientate da potenti multinazionali che domineranno i mercati mondiali? Finiremo tutti per acquistare e utilizzare versioni delle stesse cose? I luoghi del mondo arriveranno a somigliarsi sempre di piú, come accade oggi agli aeroporti? Quali implicazioni comporterà per il tradizionale dominio dei marchi occidentali la vertiginosa crescita dei nuovi mercati in India, Cina, Brasile, dove si stanno affermando marchi globali basati su punti di forza e tradizioni culturali locali? Che impatto avranno la tecnologia digitale e la crescita vorticosa dei clienti attraverso i social media? Che influssi produrrà tutto ciò sui prodotti e i servizi che consumiamo? Le aziende esistono solo per realizzare profitti e crescere, oppure per aiutare la società, o per entrambe le cose? E cosa vogliamo davvero noi, clienti globalizzati? Wally Olins - guru mondiale del branding e delle identità aziendali - analizza ogni aspetto dell'argomento intrecciando l'approccio commerciale con quello storico, sociologico, antropologico. Racconta in termini vivaci e pragmatici il rapido evolversi del nostro mercato globale; mette a fuoco i problemi che affliggono le imprese di oggi; critica il comportamento immorale delle aziende, loda quelle che costruiscono e sostengono con successo il loro marchio; e attraverso esempi brillanti predice la natura e le forme del branding del futuro.