Indimenticabile in "Vacanze romane", icona di stile in "Colazione da Tiffany" e "Sabrina", Audrey Hepburn è una delle star del cinema più amate. Della sua vita, dei suoi film e del suo impegno come ambasciatrice dell'UNICEF, giornali e rotocalchi hanno raccontato molto, dando l'idea che, nonostante la sua estrema riservatezza, di lei non ci fosse più nulla da scoprire. Ma così non è. Figlia di una baronessa olandese e di un sedicente conte inglese, dopo alcuni anni in Inghilterra, la giovane Audrey si trova in Olanda proprio negli anni dell'occupazione tedesca. Sarà l'uccisione da parte dei nazisti dell'amato zio Otto, unica figura maschile di riferimento dal momento che il padre viveva in Inghilterra dopo la separazione dalla moglie, ad avvicinare la ragazzina alla Resistenza. Mettendo a rischio la propria vita, Audrey comincia a consegnare cibo ai soldati britannici, a fare da staffetta per le informazioni e i giornali clandestini, a danzare per raccogliere fondi per i gruppi di resistenti nelle Serate nere, così chiamate perché le finestre venivano oscurate. Di questo impegno, Audrey parlò pochissimo e con vaghe allusioni. Né amava parlare della fame e degli stenti che aveva dovuto sopportare in quegli anni, la "dieta di guerra" la chiamava, e che ne avevano segnato la salute e il fisico. Con tenacia da investigatore e accuratezza da storico, Robert Matzen ha ricostruito gli eventi di quegli anni, perlustrando archivi, confrontando documenti - tra cui il diario dello zio Otto - e facendo rivivere una Audrey Hepburn segreta e inedita, dal coraggio e dalla generosità infiniti.
Quel 2 settembre 2015 la realtà della crisi umanitaria siriana si è imposta come una deflagrazione, dopo anni di quasi totale indifferenza. Aveva solo tre anni, Alan, e insieme alla famiglia cercava rifugio da una lunga e insensata guerra. Indossava la maglietta rossa che le mamme mettono ai loro bambini perché è il colore che si nota di più in mezzo al mare, in caso di naufragio. Ma non c'è rosso che tenga agli occhi di chi non vuol vedere. Anche Tima, la zia di Alan, ha visto la foto del nipote sui media, dalla sua casa di Vancouver, in Canada. Nello stesso naufragio ha perso anche Ghalib, fratello di Alan, e la cognata. Ma a differenza del mondo, lei non aveva bisogno di una foto per scoprire l'inferno, lo aveva già vissuto. Indipendente e determinata, Tima si è trasferita da sola in Canada poco più che ventenne, ma la guerra, quando scoppia, raggiunge anche lei: impossibile non preoccuparsi per i suoi cari, alcuni rimasti in Siria, altri divenuti profughi. Tima fa di tutto per aiutarli a espatriare, o perlomeno a sopravvivere. Dai giardini profumati di gelsomino di Damasco alle strade di Aleppo devastate dalla guerra, dai campi profughi in Turchia al Canada, una storia per capire cosa costringe un padre e una madre, intrappolati tra la casa a cui non possono tornare e la salvezza in Paesi che li rifiutano, a esporre i propri figli a pericoli inenarrabili per trovare finalmente un porto sicuro.
"«Ci vediamo al traguardo» dissi a Erin mentre passava davanti a me. «Ci sarò» annuì lei. In quel momento mi sembrò una cosa banale, la più normale del mondo. Suppongo che sia sempre così, prima che la sfortuna, o il caso, ti cambino la vita". Il 15 aprile 2013 Jeff si trova a Boston, al traguardo della Maratona, una delle più importanti del mondo. Sta aspettando la sua fidanzata, Erin, che partecipa alla gara. Dopo mesi di incertezza, è lì per dimostrarle che tiene a lei e che vuole fare sul serio. Sono gli ultimi istanti di una vita normale, prima che si scateni l'inferno. Per un attimo Jeff perde i sensi. Quando riapre gli occhi, capisce che è esplosa una bomba e lui ha visto da vicino l'attentatore. E che le sue gambe non ci sono più. A 27 anni deve ricominciare da capo. Niente è facile, dopo. Riprendersi dal trauma, imparare di nuovo a camminare, gestire il peso della notorietà. Eppure, la sua non è una storia di disperazione. È una storia di resilienza e ottimismo, la storia di un ragazzo che non si piega al destino, ma decide di affrontarlo a testa alta. È insieme anche la storia di un grande amore, quello della sua ragazza che lo ha salvato nei momenti bui della riabilitazione. Jeff è la prova che proprio nelle avversità più grandi, si può scoprire di essere più forti di quanto non si sia mai sospettato. E che in coppia la forza non raddoppia, ma si moltiplica all'infinito.
«Il racconto di una giovane siriana in cerca di pace e salvezza è il libro del nostro tempo. A ogni pagina, speranza e perdita si susseguono, a ogni pagina il tributo umano di una immensa crisi umanitaria risuona doloroso e commovente, e così vicino a noi. Questa è una lettura che suscita emozioni, ma è soprattutto un toccante inno alla speranza, alla resilienza e alla capacità di generosità e grazia che risiede nel cuore umano. » Khaled Hosseini L'esile salvagente intorno alla vita tiene a galla Doaa e due bambine, una di pochi mesi, l'altra di nemmeno due anni, a lei affidate dai genitori prima di scomparire per sempre nelle acque, come altre centinaia di persone. Doaa ha paura, lei ha sempre odiato l'acqua, sin da piccola, e solo la guerra e la disperazione che l'accompagna l'hanno convinta a lasciare la sua famiglia e la sua casa in Siria e mettersi su quel barcone. Aveva tanti ricordi felici e tanti sogni da realizzare, che ora galleggiano intorno a lei insieme ai relitti dell'imbarcazione e ai pochi superstiti dei 500 che si erano messi in viaggio. Erano quasi arrivati, solo poche ore di mare li separavano dall'Italia, risate liberatorie cominciavano a levarsi dal ponte, quando un peschereccio si dirige contro di loro, una, due volte. Per farli affondare. Il barcone non regge e tutti si gettano in acqua. Molti annegano subito. Anche Doaa non sa nuotare e solo il salvagente che le porta il marito la tiene a galla. E lo farà per i successivi quattro giorni, in cui le voci e i lamenti intorno si spengono uno dopo l'altro. La tentazione è di lasciarsi andare, ma le due bambine che si aggrappano a lei reclamano la vita. Per loro deve lottare e resistere un'ora di più, poi un'altra, e cantare, e pregare, fino a quando qualcuno arriva. Solo undici vengono tratti in salvo. Doaa ha diciannove anni, ma la sua vita comincia da quei quattro giorni alla deriva. Perché la prima volta nasci al mondo, ma è quando capisci quanta forza si cela in te, e quanto la speranza può
L'occupazione nazista dei Paesi Bassi, nel 1942, rende folle la banalità. In breve diventa troppo pericoloso per gli ebrei restare in città. Umiliati da una stella gialla sul petto, devono consegnare le biciclette e rinunciare a frequentare le scuole e i locali pubblici. Senza contare le temute convocazioni per la Polonia, che gli ebrei cominciano a ricevere. Ufficialmente per andare a lavorare, ma nessuno ci crede. I genitori di Ellis decidono di nascondersi in una località sperduta nella brughiera. Bernie invece resta per aiutare la sua gente. I due ragazzi si promettono di tenere ciascuno un diario, da consegnare all'altro alla fine della guerra. Si danno inoltre appuntamento per ritrovarsi, di martedì alle quattro del pomeriggio, sulla panchina del loro primo bacio. Passato il pericolo, Ellis si presenta più volte all'appuntamento, ma di Bernie nessuna traccia. Finché tre anni dopo la loro separazione, proprio nel giorno del suo matrimonio, Ellis riceve un pacchetto che, a giudicare dall'aspetto logoro, deve aver fatto molta strada. Quando lo apre, si sente mancare. Sono i diari di Bernie. Ci vorranno più di sessant'anni prima che Ellis abbia il coraggio di leggerli e di unirli ai suoi. E finalmente il loro abbraccio vincerà la storia.
È il paradosso del vero amore. Anche se è imperfetto, ti salva. Seconda di quattro figli, Jeannette è cresciuta in una famiglia che oggi si chiamerebbe disfunzionale. Il padre, Rex, poliedrico, bizzarro e di grande intelligenza, non riesce a tenersi né lavoro né soldi per via dell'alcol. Perde al gioco e costringe tutti a una vita da nomadi per fuggire dai creditori. La madre, Rose Mary, artista e insegnante, è insofferente a qualsiasi responsabilità e sostiene che i bambini debbano cavarsela da soli, che si tratti di procurarsi il cibo, il necessario per scaldarsi o rammendarsi i vestiti per non andare in giro con i buchi. La quotidianità dei fratelli Walls è un bizzarro melange di meraviglia, funambolismo e tragedia: Rex si occupa dell'istruzione dei figli, insegnando loro geologia, astronomia e letteratura, con lezioni sotto le stelle, ma i fratelli devono imparare presto a proteggersi a vicenda e a tenere a bada l'incoscienza dei genitori. Eppure, nonostante Jeannette sin da giovanissima sapesse che solo volando via da quel nido poteva salvarsi, non ha mai smesso di pensare con affetto alla propria infanzia, ed è riconoscente nei confronti dei suoi imperfetti genitori perché le hanno fatto un dono prezioso: un amore incondizionato e la libertà.
Abdul Karim ha solo 24 anni quando da Agra, la città indiana del Taj Mahal, arriva alla corte della regina Vittoria a Londra. È un "dono" dell'India alla sua imperatrice e sovrana d'Inghilterra in occasione dei festeggiamenti del suo giubileo d'oro. È il 1887, Vittoria è anziana e triste dopo la morte del suo fedele servitore - e amante - John Brown. Abdul è bello e aitante e in breve tempo, da servitore al tavolo della regina, ne diventa attendente personale e Munshi, cioè insegnante di lingua urdu. Vittoria si affeziona a lui, apprezza i curry che Abdul le prepara, è curiosa del suo mondo. In un momento di rivolte indipendentiste delle colonie indiane, il giovane diventa anche consigliere e confidente per le faccende del suo Paese. Il suo prestigio aumenta, tanto che nei viaggi ufficiali in cui accompagna la regina, viene spesso scambiato per un principe. Tanta fortuna e influenza non possono che alimentare l'odio di quanti, a corte, guardano con sospetto e preoccupazione a quel legame. Un legame che la regina difenderà caparbiamente da tutto e tutti. Da questo libro il film di Stephen Frears con Judi Dench.
La cacciata dal paradiso per Loung Ung ha una data: il 17 aprile 1975. Fino ad allora, la sua infanzia, come quella dei sei fratelli, è stata meravigliosa, grazie all'amore della mamma e del papà, un alto ufficiale del governo cambogiano. Loung amava addentrarsi con la famiglia nei coloratissimi mercati di Phnom Penh, dove vivevano, tra profumi di zuppe di noodles e noccioline tostate e chiassosi animali. Ma quel 17 aprile, quando lei ha solo cinque anni, il paradiso va in frantumi. Gli Khmer Rossi di Pol Pot prendono la città. Tutta la Cambogia piomba nell'incubo di un regime brutale. La famiglia Ung è in pericolo, data la posizione del padre, e deve abbandonare la casa, le comodità, la sua stessa identità, per fuggire in campagna e nascondersi di villaggio in villaggio. Infine devono separarsi, con la speranza di ritrovarsi tutti un giorno. I fratelli di Loung vengono imprigionati, invece lei, così piccola, è destinata a un campo di addestramento per giovani soldati. Per lunghi anni dovrà lottare ogni singolo momento per non cedere alla fame, alla fatica e alla disperazione. La violenza la circonda, e i suoi occhi di bambina sono testimoni di cose che nessuno dovrebbe vedere in una vita. Quasi due milioni di cambogiani morirono in quel genocidio. Quando finalmente, con l'arrivo dei vietnamiti, l'incubo finisce, per Loung inizia la lunga ricostruzione di se stessa e della sua famiglia. Con una forza d'animo incredibile per una bambina e gli insegnamenti del padre, riuscirà a ricrearsi una nuova vita, un nuovo e diverso paradiso.
«Strumenti del diavolo». Il cancelliere del ducato di Modena e Reggio e il parroco di Santa Vittoria sono d'accordo: la musica e il ballo a cui si abbandonano braccianti e contadini a fine giornata sono pericolosi. Fomentano appetiti sconvenienti del corpo. E soprattutto eccitano gli animi e le teste del popolo. Che tra una polca e una mazurca magari si fa venire strane idee. Meglio vietare, limitare. E, se necessario, punire. Quando Enrica si imbatte in Arturo, e ben presto si innamora di lui, il ragazzo sta appunto fuggendo per non farsi sequestrare il prezioso violino, che gli dà da mangiare. Se glielo prendono è finita. Siamo in un angolo d'Italia dove Dio ha lasciato terra e acqua troppo mischiate e un formicaio di braccianti, scariolanti, contadini sta lavorando alla bonifica, un'impresa immensa e dura. Sono tutti poveri e tutti sfruttati dai caporali. Ma trovarsi a ballare a tempo di musica allevia la stanchezza. Ed è vero che divertendosi vien da pensare che svagarsi è un diritto. È metà ottocento e qualcosa si mette in movimento a Santa Vittoria, il paese dove quasi tutti hanno un violino e che ha fatto la rivoluzione a tempo di musica e di ballo liscio. E lì che contadini e braccianti capiscono che l'unione fa la forza, che aiutandosi a vicenda si può trattare alla pari con il potere, che si può vivere meglio e dare un futuro ai figli, magari facendogli studiare musica e avere successo al di là dei confini. Ed è sempre lì che, nel 1911, i contadini si comprano la terra e fondano una delle prime e più grandi cooperative agricole d'Italia. Diventano padroni di loro stessi. Un racconto corale, dall'Ottocento a oggi, dove la grande storia delle guerre, della rivoluzione russa, delle battaglie socialiste, si intreccia a quelle di Enrica e del suo Arturo, dei loro tre figli, della battagliera Favorita, dei Carpi e dei Bagnoli che hanno dato origine a famose stirpi musicali. Mani che lavorano, che faticano, che si stringono nel ballo e nell'amore e si tengono insieme per essere più forti, al suono di cento violini.
Come quando all'improvviso ti piombano addosso le conseguenze di qualcosa che stai rinviando da tempo, gli "anta" colgono Jane di sorpresa, e impreparata. Nella sua casa, che divide con un figlio adolescente e un gatto, un giorno si guarda allo specchio e non si riconosce più. Come ci è finita lì? Dov'è andata la ventenne sognatrice e con il mondo ai suoi piedi? Con leggerezza, humour e una punta di nostalgia, Jane ripercorre la sua vita, il difficile rapporto con la famiglia, gli amori, il lavoro, la maternità, e in questi salti in avanti e all'indietro, cerca di ristabilire un equilibrio con se stessa alla soglia dei cinquant'anni, tra l'entusiasmo della gioventù e la saggezza che l'età richiede. Una riflessione a tratti lieve, a tratti profonda, che, se non cancella i segni del tempo, fa però ridere, pensare e guardarsi allo specchio in un altro modo.
Selma ha cinque anni quando sua madre Laura, con in tasca documenti falsi pagati a caro prezzo, strappa le loro fasce con la stella gialla ed esce dal ghetto ebraico di Lvov, ostentando sotto lo sguardo delle guardie naziste una sicurezza che non ha. Da quel giorno del 1942, Selma diventa Zofia, orfana cattolica, e mentre Laura, per mantenerle, lavora per un nazista, la bambina frequenta la scuola ariana. Ogni giorno Laura la costringe a ripetere le preghiere e i precetti cattolici, affinché non si tradisca, condannandole entrambe a morte certa. Flora, invece, lasciata dalla madre in un convento di suore, non la vedrà mai più; scoprirà poi che è morta in un campo di concentramento; e passerà da una famiglia cattolica all'altra. In Olanda, Carla vive sotto falsa identità con la madre e il fratello nell'appartamento di un barbiere che, al pianoterra, si occupa dei soldati tedeschi suoi clienti. Per Zofia, Flora e Carla essere tranquille, ubbidienti e silenziose, praticamente invisibili, è la condizione indispensabile per la salvezza. Sono cresciute rinnegando il loro nome, le loro origini, la loro religione, con profonde crisi di identità, vergognandosi quasi di avercela fatta. Gli altri, i sopravvissuti dei campi, hanno considerato a lungo con riprovazione coloro che si sono salvati stando nascosti. Attraverso le storie di tre di loro, tutti i bambini "invisibili" riacquistano una voce e raccontano il prezzo della loro invisibilità.
Bruce vive sul tetto del mondo, a New York, guadagna ottocento dollari al giorno con il suo lavoro da pubblicitario, ha tanti amici e una donna che ama. Non gli manca niente per essere felice. Però, all'improvviso, tutto si spegne e il buio si impadronisce di lui. Sbalzi di umore, attacchi di panico seguiti da euforia, difficoltà a trovare un senso. Poco alla volta perde tutto quello che aveva, lavoro, fidanzata, e solo le lunghe telefonate di sua madre lo aiutano a trascinarsi fuori dal letto la mattina. Nemmeno i farmaci lo aiutano. Finché un giorno, dopo l'ennesima grave crisi, per salvarsi, decide di adottare una palla di pelo nero sprizzante vitalità, amore e saggezza. Un cucciolo di labrador che chiamerà Ozzy. Sarà lui, con il suo amore incondizionato e la sua bellezza, che cattura tutte le attenzioni a Central Park, a tirare fuori Bruce dall'isolamento e dalla solitudine e a salvarlo dai suoi demoni, meglio di qualunque antidepressivo.
Brando aveva tre anni quando suo padre ha abbandonato lui e sua madre in un quartiere di Los Angeles chiamato Echo Park. È stato allora che sua madre, una vera incantatrice, che sapeva inventarsi le bugie più folli e farle sembrare verità, decide che non c'era nessuna ragione di continuare a essere messicani, e che d'ora in poi sarebbero stati indiani nativi americani. Brando Skyhorse suonava molto meglio di Brando Ulloa, e solo anni dopo, quando ormai l'inganno aveva coinvolto vicini, compagni di scuola e persino il vicepreside della sua scuola elementare, Brando scopre la verità. Intanto per tutta la sua infanzia e adolescenza cinque uomini si succedono nella vita di sua madre, e quindi nella sua. Uomini che dovevano essere chiamati immediatamente padri, non importa quanto si sarebbero fermati. Uomini a cui lui immancabilmente si affezionava e che poi immancabilmente sparivano. Avvincente ed emozionante, divertente e intensa, ricca di personaggi indimenticabili, la memoir di un giovane uomo alla ricerca dei pezzi di sé che ogni padre si è portato via. Una storia che rivela così tanto della nostalgia, della complessa natura della famiglia, del senso di mancanza e di appartenenza e della capacità dell'uomo di tradire e salvare se stesso da diventare universale.
In una gelida mattina di febbraio del 1943 vicino a Vienna, Georg, insieme a seicento ragazzi, promette fedeltà a Hitler, diventando un soldato del Reich. Ma sa bene che il Führer non sarebbe fiero di lui se fosse a conoscenza di quello che egli ha da poco scoperto. Che è ebreo. Un dettaglio ininfluente nella sua vita fino a quando la Germania non ha annesso l'Austria. Ora è l'unica cosa che conta. Così, mentre la madre nasconde ebrei in casa e li aiuta a fuggire, Georg viene mandato a combattere sul fronte russo proprio dopo la più grande sconfitta subita dai tedeschi fino allora, a Stalingrado. Con i suoi compagni poco più che adolescenti, si troverà scaraventato nell'inferno bianco, a rischiare la vita per un uomo che lo odia, combattendo contro coloro da cui spera di venire sconfitto. Questa è l'eccezionale testimonianza di un ragazzo nel gorgo di eventi che lo sovrastano, che ha vissuto per anni soffocando sensi di colpa e sentimenti contrastanti per quel giuramento che forse lo ha salvato. Solo anni dopo, ormai artista affermato, ha scoperto che c'erano anche altri soldati con sangue ebreo tra le fila dell'esercito nazista. Perché a volte il posto migliore dove nascondersi è sotto gli occhi di tutti.
È la sera della cena di gala, il momento clou della crociera sulla nave dei sogni, un immenso castello moderno che solca le onde celebrando il dominio dell'uomo sull'acqua. In comune con il Titanic però la Concordia ha solo lo sfarzo, perché la sua sicurezza è totale, affidata all'esperienza del comandante e alle macchine. È grazie alle macchine che la nave è viva. Senza di loro, quattromila persone andrebbero alla deriva. All'improvviso, l'acqua tracima dalla piscina per poi rientrarvi, quasi un avvertimento dell'elemento che l'uomo si illude di imbrigliare. Gli armadi si spalancano, i tavoli vacillano, gli ascensori impazziscono. Quando anche le luci si spengono e della nave rimane la sagoma cupa sullo sfondo più buio del cielo, dall'Isola del Giglio qualcuno coglie la tragedia, mentre a bordo comincia la notte più lunga. La notte del panico, delle speranze spezzate, delle vite intrecciate, dei codardi e degli eroi. Eroi come Russel Rebello, cameriere indiano, tanto fiero del suo lavoro che il suo bambino nella lontana India ha disegnato la nave chiamandola Russel II. Russel sa qual è il suo dovere: salvare i "suoi" ospiti. Attraverso i suoi occhi rivivono i divertimenti, gli svaghi e le storie di alcuni dei passeggeri imbarcati senza sapere che quel viaggio sarebbe stato il bivio della loro esistenza. Ed è sempre Russel a ricostruire in una sequenza mozzafiato le convulse ore dopo lo schianto. Perché lui è rimasto fino all'ultimo respiro della nave, è lui il vero capitano.
C’è il badante ultradevoto con le mani di pastafrolla che attribuisce i danni che causa al demonio. C’è l’ex bodyguard zoppo che si veste di nero con gli occhiali scuri e prima di aiutare il suo assistito controlla anche sui tetti che non ci siano cecchini. C’è il cingalese educato nelle scuole del britannico impero che lo chiama sir e l’ex ufficiale dell’Armata Rossa rigido come l’acciaio.
A Riccardo la sorte non ha fatto mancare niente. A 23 anni la cidp, una malattia neurologica degenerativa grave, anni dopo il Parkinson e per finire un infarto. Eppure a volte il problema più grosso della sua vita è gestire i badanti. Persino trovare la donna giusta sembra più facile che imbattersi in un uomo serio e affidabile, e che non abbia bisogno lui stesso di un controllore.
Per fortuna, la stessa sorte ha dotato Riccardo di tenacia, forza e senso dell’umorismo che lo hanno aiutato ad affrontare la sua difficile malattia. Non ha mai smesso di lottare per mantenere la sua indipendenza, sperimentando su se stesso cure inedite, e riuscendo a realizzarsi sul lavoro e ad avere una vita piena.
E quando gli capitano momenti di sconforto, Riccardo pensa alla moglie Nelly, una guerriera che combatte al suo fianco giorno dopo giorno, e considera che quella sola fortuna basta a compensare tutte le sfortune del mondo. Poi c’è anche Stepan, molto più di un badante, forse quello giusto pure lui. Ma bisogna esser cauti, perché il dio dei badanti è più suscettibile di Cupido.
Una storia di resilienza, amore, amicizia che fa sorridere e sperare.
Zelda è nata in un mondo in cui la distinzione tra bianco e nero non era solo un modo di dire. A Johannesburg, in Sudafrica, negli anni Settanta, leggi scritte e non scritte stabilivano che sugli autobus i neri non dovevano occupare i posti dei bianchi, né bagnarsi nello stesso mare, tanto meno usare le stesse stoviglie. La famiglia di Zelda apparteneva alla piccola borghesia bianca ligia alle leggi dello stato e della chiesa. Ed entrambe le istituzioni sostenevano che l'apartheid era giusto. Per lei, nel suo protettivo bozzolo bianco, quella vita era normale. A tredici anni era ormai sostanzialmente razzista, anche se ancora non lo sapeva. Niente lasciava pensare che la persona che le avrebbe fatto cambiare idea sarebbe stato un uomo di cui aveva paura. Un uomo pericoloso, questo le aveva detto suo padre nel 1990, alla scarcerazione di Nelson Mandela dopo 27 anni di carcere per opposizione all'apartheid. Dopo essere stata per quasi vent'anni a fianco di Madiba, il soprannome di Mandela, lavorando per lui prima come segretaria personale poi come assistente dal 1994 alla sua morte, Zelda traccia la storia di una giovane ragazza bianca intrisa di pregiudizi e paure e di come l'incontro con Mandela le abbia rivoluzionato la vita. Ne emerge un ritratto intimo, leale e toccante di un grande uomo che ha saputo pacificare una nazione e ispirare il mondo conquistando e rinnovando un cuore dopo l'altro.
Un ciclista ama allenarsi in gruppo: sentirsi parte di un'unica entità aumenta il livello di sfida, la percezione del dolore è suddivisa tra tutti. Ma è quando si corre da soli che si percepisce ogni parte del corpo, il respiro affannoso, le gambe che spingono sui pedali. Impari a entrare in sintonia con gli elementi: il vento, amico quando è a favore e ti fa sentire un campione, nemico quando è contrario e ti rende vittima. La pioggia, che gocciola dal casco e ti batte il ritmo sulle cosce, la scia delle ruote che taglia le pozzanghere. La bici ti insegna a gestire le emozioni, ad affrontare la lotta con se stessi. Sulla strada sei tu e la tua bici, puoi far conto solo sulla tua tenacia per sopportare il dolore e le salite. E per gustarti il piacere della fatica, sembra un controsenso ma è così, perché come nella vita, dalla fatica di un traguardo irraggiungibile, di una tappa interminabile nasce la soddisfazione. Quando sono partita per fare il giro del mondo in bicicletta, tra i tanti che mi chiedevano: "Ma come farai a fare tutti quei chilometri?", c'ero anch'io. 144 giorni, dalle 12 alle 14 ore quotidiane, al freddo e al caldo, per un totale di quasi 30.000 chilometri. Non sapevo nemmeno io come avrei fatto. Sapevo che volevo inseguire il mio sogno e che il corpo segue la mente. Una cosa che ho imparato dalla bici è che i limiti sono solo mentali. Non sono Wonder Woman e ho avuto anche fortuna, ma ormai ho coniato il mio motto: quando non sai cosa fare, pedala.
Sarebbe bello fosse una storia d'altri tempi, quella di Giovanna, Simona, Tiziana e Barbara. Invece è drammaticamente recente. Tutte e quattro hanno vissuto l'infanzia in un istituto religioso per bambine abbandonate. Tutte uguali, come sfornate con lo stampino, i vestitini bianchi e i capelli a caschetto, tagliati con la scodella. Uno stampino che gli hanno imposto a forza. Con in fondo al cuore il bisogno disperato di una mamma e la dura realtà quotidiana da affrontare, fatta di solitudine, durezza e privazione. Scontano la pena di essere figlie di una qualche colpa, con l'oscura consapevolezza che un posto sicuro per loro forse non ci sarà mai. Tiziana aveva una bambola senza un braccio che le dava sicurezza mentre assisteva al via vai di uomini in casa, "stai buona che mamma lavora". Poi un giorno le hanno tolto entrambe, mamma e bambola, senza darle niente in cambio, solo gelo. Meglio non averla mai conosciuta o non ricordarsela più, la mamma. Come Giovanna, Simona e Barbara, gettate via da donne che il parto non ha reso madri. I loro sogni non dovranno mai fare i conti con la realtà. Bambine, ragazze e poi donne, insieme fin da quando hanno memoria, senza mai essere davvero amiche perché nella giungla c'è spazio solo per la lotta alla sopravvivenza. Intrecceranno i loro destini, diversi ma in fondo uguali: amori facili, violenti e umilianti, il corpo e il cuore sempre in svendita.
La vita di un ragazzo-padre di una famiglia di gatti è molto movimentata. Dopo la separazione dalla moglie Dee, a trentacinque anni Tom si ritrova da solo in una grande casa di campagna con quattro dei sei gatti che lui e la moglie condividevano. C'è Ralph, un maestoso soriano che irradia compiacimento, ama miagolare il proprio nome all'alba e vive nel costante terrore dello stendibiancheria di metallo. C'è suo fratello Shipley, sottile e muscoloso, esperto nel furto di cibo, petulante e lamentoso, si rilassa solo se lo metti a pancia in su. L'ultima arrivata è Roscoe, gattina con la mascherina da Batman, lo smoking con lo sparato bianco e la coda intinta nella vernice bianca. È ossessionata dal doppio che le appare nello specchio: si sfidano per ore immobili, in attesa della prima mossa, ma quando lei tenta di acciuffarla, l'altra sparisce. Infine c'è Orso. Orso non è un gatto, è un poeta gotico che solo per caso ha quattro zampe e una coda. Sopporta con fatica di convivere con altri gatti dal QI infinitamente più basso del suo, che lo distraggono dalla contemplazione dei mali del mondo, e getta su Tom uno sguardo che dice: "Perché sono un gatto?". Tra alti e bassi, piccoli incidenti e dinamiche da rodare, la nuova famiglia inizia a dare molte soddisfazioni. Fino al giorno in cui Tom sente crescere il desiderio di condividere i suoi felini con qualcun altro che li ami e si mette in cerca di un nuovo amore.
"Con il suo fisico sottile, gli abiti fatti su misura e il profumo francese, JoAnn, la mia nonna materna, in confronto alle altre donne della mia famiglia era Jackie Kennedy. Da lei si mangiava coq au vin e si ballava per ore sulle musiche degli anni Venti. E siccome per un bambino come ero io, dodici mesi erano troppi tra un compleanno e l'altro, si inventava feste in continuazione, con tanto di mago e pony. Ogni minuto trascorso con lei infondeva in me la speranza di un futuro migliore. Così, nell'inverno del 2005, durante i primi mesi della sua malattia, mi sentii vittima di un pessimo scherzo del destino, come se mi avessero sottratto qualcosa di valore inestimabile, rimpiazzandolo con una copia falsa." Quando l'Alzheimer comincia a portarsi via la memoria di quella nonna adorata, che sapeva rendere speciale la vita di ogni giorno, Robert si rende conto che non c'è niente di più fugace di un'atmosfera. Tuttavia, seppur devastato, nell'accompagnare JoAnn nel suo difficile viaggio verso l'oblio, Robert scopre che quella terribile malattia cancella gli aspetti negativi del carattere della nonna, quegli stessi che per lunghi anni l'avevano tenuta lontana dall'unica figlia, e risveglia in lei un desiderio sopito di amore e riconciliazione. Con conseguenze inaspettate su tutta la famiglia. Intriso di affetto palpabile e verve, il delicato omaggio di un eterno ammiratore a una donna amata e indimenticabile.
"Ascoltai le parole del giudice senza abbassare lo sguardo, mentre all'esterno del tribunale un gruppetto di estremisti accoglieva la sentenza e festeggiava al grido di Allah Akbar! Non sapevo di essere un simbolo, né mi importava. Pensavo soltanto a mio marito, al piccolo Martin e alla vita che cresceva dentro di me. Pensavo che sarebbero bastate due parole per uscire dall'incubo e tornare a una vita normale. Ma che non le avrei dette. Né allora né mai. Avrei sopportato qualsiasi pena pur di difendere la mia dignità e tutelare la libertà di scegliere e credere nella propria religione. Qualsiasi essa fosse." Il suo caso ha tenuto milioni di persone con il fiato sospeso. Meriam Ibrahim Ishag, una giovane sudanese di religione cristiana, è stata arrestata da un tribunale di Karthoum dopo che un parente - un perfetto sconosciuto - l'aveva denunciata per apostasia. Incarcerata incinta con il figlio piccolo, in condizioni durissime, all'ottavo mese di gravidanza è stata condannata a cento frustate con l'accusa di adulterio per aver sposato un cristiano e alla morte per impiccagione per aver rifiutato di abiurare. In catene, Meriam ha dato alla luce sua figlia. Anche per quella bambina non ha abbassato lo sguardo. Anche per lei non ha smesso di lottare. E con lei ha lottato Antonella Napoli, la giornalista italiana che ha promosso la campagna per portare il caso all'attenzione del mondo.
Sconosciute l'una all'altra ma accomunate dallo stesso destino, tre donne sono scampate alla morte e alla follia di Mengele ad Auschwitz riuscendo miracolosamente a nascondere di essere incinte. Costrette ai lavori forzati in una fabbrica di armi vicino a Dresda, e poi stipate con altre migliaia di vittime sul treno della morte diretto a Mauthausen, riescono a difendere caparbiamente la vita che portano in grembo. Una di loro dà alla luce una femmina appena prima del viaggio, un'altra un maschietto sul treno in condizioni disumane, e la terza varcando il cancello del campo. Luogo di nascita Mauthausen, riportano i certificati di nascita dei tre neonati. Tramontate le tenebre della guerra, per oltre sessant'anni ognuno dei tre bambini, ormai cresciuti, crede di essere l'unico uscito vivo dall'inferno in quelle condizioni. Ma le sorprese nella loro incredibile storia non sono ancora finite.
"È lo sguardo della donna in copertina che mi sembra famigliare. Sono nella Biblioteca Centrale di Amburgo con un libro in mano. Ha una copertina rossa con la foto in bianco e nero di una donna di mezza età. Il suo sguardo è pensoso. Addolorato e spento. Sembra infelice. Leggo il sottotitolo: 'La vita di Monika Göth, figlia del comandante del campo di concentramento di Schindler's List'. Conosco Monika Göth. È mia madre". Anche Jennifer ricorda la scena del film "Schindler's List" in cui il comandante nazista interpretato da Ralph Fiennes appena sveglio dall'alto del balcone sceglie prigionieri a caso nel campo di concentramento e spara con il fucile. Come tutti, anche lei nel vederla è inorridita. E ancora non sapeva che quell'uomo, Amon Göth, era suo nonno. Lo scopre per caso quel giorno in biblioteca. Scopre che Monika, la madre che l'aveva avuta da un soldato nigeriano e l'aveva data in adozione a poche settimane, era la figlia di Amon e della sua amante Ruth Irene. Quindi il responsabile di migliaia di morti nel campo di concentramento di Plaszów era suo nonno. In un secondo il mondo le crolla addosso. Nonostante l'amore della famiglia adottiva, mille dubbi l'assalgono. Inizia a interrogarsi, a cercare in sé tracce del male, come fosse ereditario. Si rende conto che, per il suo sangue misto, forse suo nonno l'avrebbe uccisa. Si chiede se i suoi amici in Israele la considererebbero una traditrice.
Vivien arriva a Norimberga il 6 novembre 1946, in una città sconvolta dal recente suicidio in carcere di Göring. Ha appena 22 anni e ha chiesto e ottenuto di fare la stenografa al processo ai criminali nazisti iniziato l'anno prima. Lei, per metà tedesca, non voleva credere che i tedeschi avessero compiuto le atrocità di cui si parlava. Doveva vedere con i suoi occhi. Sentirà e vedrà più di quanto chiunque possa sopportare. Assegnata al processo ai medici, dovrà ascoltare le testimonianze di vittime e carnefici e udire la descrizione di esperimenti medici, torture, sofferenze inaudite e altrettante inaudite giustificazioni. Un totale di 11.538 pagine di documentazione che lei stessa contribuisce a raccogliere. Al ritorno in America, il ricordo di quegli orrori la perseguita perfino nel sonno. Ha un incubo ricorrente: è in un tunnel con cinque bambini e sta scappando dai nazisti, che li inseguono. Si è sempre svegliata prima di scoprire quale destino li attendeva. Da allora, non ha mai smesso di battersi perché nulla di ciò che ha visto vada dimenticato. E per portare finalmente quei bambini fuori dal tunnel. Prefazione di Elie Wiesel.
"La 'mia' Shoah, quella di molti ebrei italiani, è mia madre ragazzina che non trova il suo nome nel tabellone dei voti a scuola, perché gli ebrei sono a parte. Che non può ricevere un otto, perché i voti degli ebrei non possono superare quelli degli 'ariani'. È mio padre, che fino alla morte conserva il telegramma dell'amico Bruno, che gli dice di usare la sua casa, in caso di bisogno. La mia Shoah sono bambine che spariscono da scuola per sette anni e quando tornano nessuno gli chiede dove sono state. Prima delle leggi razziali, prima della Vergogna, mia madre, mio padre, i nonni, gli zii, i cugini, erano normali cittadini italiani. Finché non divennero 'di razza ebraica', e persero il lavoro, la dignità, la sicurezza, e infine rischiarono anche la vita: la scelta fu scappare, oppure morire. Qualcuno fu deportato. Qualcuno non tornò. Poi, mio padre e mia madre si conobbero in un campeggio ebraico, nel dopoguerra, e riconquistarono la 'normalità'. Grazie a loro sono qui. A raccontare. Di loro e degli altri". Manuela Dviri è una figlia che riscopre un po' alla volta un grande mosaico famigliare, ed è una madre che perde in guerra l'amato figlio ventenne e trova nel suo ricordo la forza di rinascere e di battersi perché ad altre madri sia risparmiata l'orribile sofferenza. Tra l'Israele di oggi e l'Italia di ieri risale i rivoli che si ricongiungono nel vasto fiume di una grande famiglia ebraica.
È il 1962 e Jane e Stephen frequentano l'università inglese di Cambridge. Lei è una ragazza vivace che palpita per i versi dei poeti spagnoli, lui un promettente studente di cosmologia, sempre perso nei suoi pensieri, alla ricerca di una spiegazione semplice e unica dell'universo. Eccentrico e bizzarro, così lo definisce Jane quando lo conosce. E le piace molto. Le loro vite scorrono separate, fino a che qualcosa non le avvicina indissolubilmente. Stephen ha solo ventun anni, l'età in cui l'immortalità è ancora l'unica ipotesi contemplata, quando riceve una diagnosi sconvolgente: una malattia degenerativa che gli lascia solo due anni di vita. È allora, con il destino alle calcagna, che i due si innamorano perdutamente e decidono di sposarsi. Con Jane al fianco, Stephen combatte instancabilmente contro la malattia e intanto si butta a capofitto a studiare ciò che a lui più manca: il tempo. Grazie all'amore e alla caparbietà, i due giovani strappano giorni all'eternità, uno dopo l'altro. Mentre il corpo di Stephen è imprigionato in limiti sempre più stringenti, la sua mente continua a espandersi, fino a forzare le frontiere della fisica. Insieme, si spingono più lontano di quanto avrebbero mai potuto immaginare. Forse, la formula che tiene insieme l'universo ha un solo elemento comune: l'amore.
Dicembre è lo scrigno di ogni festa futura. Se ne contano i giorni, uno per uno. Quattro sono le settimane dell'Avvento, quattro le candele che si devono accendere sul davanzale della finestra, una per ogni domenica. Mentre l'anno e la luce del giorno precipitano verso il buio, quelle piccole luci coraggiosamente dichiarano una speranza. Alfa e Omega, principio e fine, nascita e morte. E in mezzo il respiro di un'attesa. La parabola esistenziale di ciascuno di noi è fatta di piccole e grandi sospensioni: la trepidazione per una nascita, la fiducia in una nuova stagione, la realizzazione di un progetto, la preghiera per una guarigione, il desiderio di un ritorno. Aspettare non è mai atto passivo. Come per i bambini, che a Natale non riescono a star fermi, l'attesa è movimento, creazione, passione. Questo vogliono rappresentare le storie di questo piccolo libro, familiari e fantastiche, che attingono a tradizioni diverse, occidentali e orientali, seguendo un ritmo musicale, sensibile, per declinare quel senso della vita che tutti cerchiamo e che risuona nella voce del verbo "attendere".
Chi ama i gatti riconoscerebbe un miagolio tra mille suoni. Soprattutto se è un miagolio di aiuto. Quando Eva lo sente e vede scivolare alla deriva sul Tamigi una scatola, non ci pensa due volte a buttarsi nell'acqua gelida per portarla in salvo. Quello che c'è dentro è un regalo del destino. Un gattino minuscolo, intirizzito e spaventato, con le fauci spalancate contro la mano crudele che l'ha messo lì. Pochi istanti e un sodalizio indistruttibile è nato. Eva non sa ancora che il gattino è una femmina e che sarà chiamata Marian, ma sa che non la lascerà più. Non importa se questo significa perdere sui due piedi la stanza che affitta da studentessa perché la padrona di casa odia scelleratamente i felini. Non importa trovarsi sola a Londra a vent'anni e non sapere dove andare. Marian è un nume tutelare e in breve provvede non solo a trovare un nuovo tetto per Eva, ma anche una famiglia d'elezione da Ophelia, pittrice sensibile e gattofila. È lei a spiegare a Eva che loro due si appartengono. Infatti Marian, ignorando i luoghi comuni che vogliono i gatti legati alla casa più che al padrone, considera casa solo Eva, che la porterà con sé in tutti i luoghi della sua vita. Insieme condivideranno amori, delusioni, gioie. E i numerosi viaggi, dall'Inghilterra alla Provenza, dalla Camargue a Milano, poi la Maremma. Confidente discreta e consigliere infallibile, forte della sua millenaria saggezza, Marian dimostra che, come aveva detto Ophelia, lei è il daimon di Eva, il suo spirito guida...
C'è Remo, bevitore libertario, poeta e straccione, e la sua amata Bombolina, che lo adora quando non lo prende a bottigliate in testa. E il conte Costa Arrigoni, un nobile burlone che ama gli scherzi folli e che per un terribile scherzo del destino si farà folle per amore. C'è Bighe Boghe, improbabile yankee in salsa pistoiese, fanatico del boogie woogie, e Tubo, un partigiano che non ha mai dimenticato la bella staffetta che combatté con lui in montagna... E poi ci sono le loro avventure e disavventure, che si mescolano alla storia collettiva dai tempi della guerra ai giorni nostri, sul palcoscenico di una Toscana sospesa tra passato e futuro, provinciale ma verace, contraddittoria e talvolta feroce, eppure vitale e capace di tenerezza. Matti, litigiosi, cavallereschi, irresistibili: sono i toscani innamorati di Vauro Senesi, piccoli eroi irriducibili, anticonformisti per natura, capaci delle più spassose nefandezze e dei gesti più intrepidi. Impossibile non innamorarsene, impossibile non lasciarsi catturare da questa rocambolesca sarabanda di tragici amori e strampalate imprese, commoventi pazzie e instancabili ribellioni.
Quando Jon si innamora di Maria non sa ancora di dover fare i conti con un altro spasimante geloso, pronto a mordere pur di difendere l'oggetto del suo amore. Anzi, con una spasimante: Frida, un po' rottweiler e un po' pastore tedesco, così devota alla sua padrona da non consentire a nessuno di avvicinarsi. Jon capisce che la strada per conquistare Maria passa attraverso Frida. Ma non è così semplice, perché la vita non è stata tenera con nessuno di loro: Frida è stata abbandonata, Maria è un'artista in crisi di ispirazione e Jon è uno scrittore in cerca di un senso. Tre anime ferite, diffidenti ma bisognose di affetto, imparano a conoscersi e ad accettarsi. Ed è proprio Frida a insegnare la lezione più importante: l'amore vero va difeso a ogni costo, perché è unico e fragile. Così, 500 dollari di bocconcini di manzo e un lungo apprendistato reciproco dopo, Jon, Maria e Frida sono pronti a unirsi nella buona sorte. Di cattiva ne hanno avuta abbastanza.
"A scuola dicono che sono lento di cervello. Non sanno come vanno veloci le immagini nella mia testa. Dentro di me, perché è vietato rispondere davvero ai professori, dico che io sono un aquilone, cosa aspettano a lasciarmi andare? Cerco di trascorrere il maggior tempo possibile dentro la mia testa, e questo agli altri non piace, lo sogno da addormentato e sogno da sveglio. Sono un sognatore, dicono. E il mondo non ama i sognatori." Sin da piccolo, Julien Hugo sa di avere qualcosa di strano. Pensa troppo, grida troppo, non cammina. Gli piacciono le ruote e tutto ciò che gira, perché il movimento circolare lo fa sentire bene. Gli piacciono i rumori che salgono dalle tubature, perché lo mettono in contatto con il cuore della Terra. Non ama il mondo esterno, infatti non parla con nessuno. È un sognatore, che trova nei sogni la libertà. È autistico, affetto da una forma grave della sindrome di Asperger. Poi un giorno, Hugo decide di farla finita con Julien, il suo vero nemico, che non gli permette di essere libero. Hugo diventa imperatore di se stesso e si guida fuori dall'isolamento. E oggi racconta cosa vuol dire dominare l'autismo.
Quando stai tanto male, quando ti capita spesso di sentirti come un pesce che boccheggia sulla spiaggia, a volte avresti voglia di mollare, di alzare le mani e dire: "Okay, mi arrendo". Troppa fatica, troppo dolore. Che se una cosa ce l'hai, tipo la vita, devi poterla usare, altrimenti che senso ha? E quando sei malata, malata per davvero, sei come i bambini poveri davanti alla pasticceria. Tanto vale che rinunci, che smetti di alitare sui vetri. Di sognare una vita che non afferrerai mai davvero. Poi, però, basta una parola, uno sguardo, una carezza. Un messaggio su Facebook o un sms hanno il potere di ribaltare il mondo. Ti rimettono al tuo posto, ti ricollocano sullo sfondo. Capisci che non sei sola, che sei come una tesserina del domino e la tua vita condiziona quella degli altri. Che se cadi tu lo fanno anche loro. La tua famiglia, i tuoi amici, il tuo fidanzato. Tutte le persone che ti hanno voluto bene o si sono prese cura di te. E non vuoi farlo, non puoi farglielo. E poi ci sei tu. Va bene che stai male e sei stanca e tutto il resto, ma come la metti con la vita? Voglio dire, come fai? Ti siedi sul ciglio della strada e ci rinunci? Io, Caterina Simonsen? Impossibile. Amo troppo la vita e tutto ciò che mi ha dato. [...] Con il tempo sono arrivata persino ad amare le cicatrici che punteggiano il mio corpo, a trovarne un significato. Molti pensano che la malattia, una come la mia specialmente, sia sintomo di tristezza e rassegnazione. Una sorta di attesa. Invece è tutto il contrario.
A trentotto anni Mia si sente sopraffatta dalla routine della sua esistenza, come se il tempo passasse insensatamente. Finché un giorno decide di lasciare il suo lavoro presso una casa editrice per partire sulle orme di Sei Shonagon, dama di corte e scrittrice giapponese vissuta nel decimo secolo. Mia non parla giapponese e a Kyoto non conosce nessuno, ma ha letto l'opera di Sei, "Note del guanciale", e sente di aver trovato in lei una sorella spirituale: una donna moderna e disinibita le cui osservazioni sulla vita potrebbero provenire dalla penna di Virginia Woolf. Le liste che arricchiscono il suo diario e in cui elenca le cose gradevoli, sgradevoli, odiose e quelle che fanno battere più forte il cuore, sono di estrema attualità. Presto la nuova vita trascina Mia: si innamora dei templi, dei fiori di ciliegio, dei salici piangenti lungo il fiume Kamo, della meditazione zen, delle sale da tè, delle serate al pub insieme a nuovi amici e nuovi amori. Cercando il Giappone antico tra giardini e palazzi, Mia troverà il filo che la lega alla sua eroina e scoprirà se stessa e che cosa vuole davvero dalla vita.
A Buchenwald, ogni notte, il musicista Jozef Kropinski si intrufola di nascosto nel posto più lugubre del campo: la stanza di dissezione del dipartimento di patologia. Lì sa di essere al sicuro, perché persino le SS preferiscono tenersi alla larga da quel posto inquietante, che ospita le tracce della follia dei medici nazisti. Alla luce di una candela, scrive spartiti di cui ogni nota è un atto di resistenza. Rischia la vita per la sua musica di denuncia, così come ha fatto ad Auschwitz, dove è stato prigioniero prima. Solo alcuni fogli sopravviveranno con lui e il suo violino alla marcia della morte nel 1945. Molti ha dovuto lasciarli nel campo, altri li ha bruciati per vincere il freddo. Dopo la guerra non riesce più a scrivere una nota, si ritrova muto davanti al foglio bianco. Finché un giorno alla sua porta si presenta l'usignolo di Sachsenhausen, Alex Kulisiewicz, l'uomo dalla memoria eccezionale che è quasi impazzito per memorizzare tutte le canzoni e le poesie clandestine che i suoi compagni di prigionia gli affidavano, milioni di parole che non smetteva un attimo di mormorare, per non dimenticarle. Auschwitz, Dachau, Buchenwald: nessun campo di prigionia è mai riuscito a soffocare l'afflato di libertà. Molti prigionieri hanno affidato alla sorte le loro parole, i loro canti, la loro musica, fiduciosi che il giorno in cui quelle tenebre si fossero diradate, avrebbero trovato orecchie per ascoltarli e cuori per accoglierli.
È il 1962. Nel suo studio, la principessa Grace sta per sigillare la lettera più difficile che le sia capitato di scrivere. È durato così poco il sogno di tornare sulle scene, dopo sette anni di matrimonio con il principe Ranieri. Hitchcock l'ha tentata con il ruolo da protagonista in Marnie e lei, con l'approvazione del marito, ha accettato. Non immaginava a cosa sarebbe andata incontro. Polemiche, critiche, accuse, i giornali che strillano che Ranieri dev'essere sul lastrico, se Grace torna a lavorare. Voci, voci, voci, proprio mentre il Principato è ai ferri corti con de Gaulle. Nel momento in cui firma la lettera di rinuncia al suo regista preferito, Grace Kelly muore per sempre. Quel giorno, Grace diventa principessa di Monaco più di quanto non lo sia diventata il giorno delle nozze. La vita di Grace ha tutti gli elementi della favola. La diva di Hollywood, icona di stile e musa di registi come Hitchcock, che rinuncia alla carriera per amore, sposa un principe e diventa la principessa amata di un mondo minuscolo e sfavillante. La fine tragica e avvolta nel mistero che la accomuna ad altri miti imperituri come Marilyn. Ma quello che si cela veramente nel suo cuore nei momenti di luce come in quelli d'ombra, è un segreto che solo chi l'ha amata molto può conoscere.
Un ex-ragazzo di oggi, figlio di un padre strappato alla vita, racconta la vicenda di quel padre, Aldo, partigiano con i suoi sette fratelli nella banda Cervi, per rivendicare la sua storia e, al tempo stesso, per rivendicare di essere figlio di un uomo, non di un mito pietrificato dal tempo e dalle ideologie. Una vicenda racchiusa tra due fotografie. La prima, degli anni trenta: una grande famiglia riunita, sette fratelli, tutti con il vestito buono, insieme alle sorelle e ai genitori. La seconda, dopo la fucilazione dei sette fratelli da parte dei fascisti: solo vedove e bambini, soli di fronte alle durezze del periodo, alla miseria, ai debiti, anche alle maldicenze. C'è tutto un mondo da raccontare in mezzo a quelle due foto, con la voce di un bambino che ha imparato a cullarsi da solo, perché suo padre è morto troppo presto e sua madre ora è china sui campi.
È sera inoltrata, quando Astra si reca al British Museum di Londra per visitare una grande mostra dedicata a Gilgamesh e al mondo mesopotamico. Ha ricevuto un invito, ma non sa esattamente chi glielo abbia inviato ne perché. Al rinfresco, un uomo misterioso la invita a seguirlo. Sarà l'inizio di un lungo viaggio, nel tempo e nello spazio... Mescolando contemporaneità e passato remoto, storia e mito, fatti e fiction, il padre dell'archeologia misterica intreccia il racconto epico di Gilgamesh e del suo compagno Enkidu con le teorie e le prove presentate nel suo monumentale ciclo "Le Cronache Terrestri".
"Il rossetto nel frigo, l'arancia tra la biancheria, lo spazzolino nelle posate, le calze sul piatto. D'improvviso il caos. Fraseggi senza logica, domande infantili, scambio del sole con la luna, apatia e attivismo, Venere nell'Ave Maria, Gesù in Catullo, spavento per la luce, fobia per i balconi. Mi chiedo perché, cerco di capire." A fatica Vincenzo si rassegna a vedere la donna da cui era rimasto folgorato in un lontano giorno in un caffè di Roma, vitale, appassionata, docente di storia, ora smarrita come una bambina di fronte alle cose più semplici. Mentre i ricordi di lei si affievoliscono inesorabilmente inghiottiti dall'Alzheimer, quelli di Vincenzo, e della loro figlia Francesca, si intensificano e si amplificano, nel tentativo di tenere viva l'immagine della donna che sorride felice da un vecchio video delle vacanze. Postfazione di Francesca Di Mattia.
Il 19 settembre 1940 durante un rastrellamento nazista a Varsavia, Witold Pilecki prende la direzione opposta a tutti gli altri e si fa arrestare volontariamente per essere mandato ad Auschwitz. Il nome non è ancora sinonimo di inferno, come sarebbe diventato, tuttavia chiunque avrebbe considerato quel gesto folle. Ma Pilecki non è uno qualunque, è un militare dell'Armata polacca e membro della resistenza contro i nazisti. La sua missione è infiltrarsi nel campo, raccogliere informazioni e organizzare una rete clandestina pronta a ribellarsi e a prendere il controllo al momento giusto. Sin dall'arrivo, Pilecki si rende conto che qualsiasi idea i cittadini liberi si fossero fatti di quel luogo, era drammaticamente ingenua. Ciò che trova oltre il cancello con la scritta "Arbeit macht frei" non ha nulla a che vedere con qualunque cosa avesse conosciuto nel mondo reale. Ogni regola del vivere civile è calpestata e sovvertita, ci sono prigionieri con diritto di vita e di morte su altri prigionieri. Fame, freddo, malattie, lavori forzati sono usati dai nazisti come strumenti di decimazione. L'arbitrarietà assoluta è l'unica legge applicata e ciò che distingue i carcerieri l'uno dall'altro sono solo diversi gradi di crudeltà. A poco a poco Pilecki tesse la sua rete clandestina, in attesa del segnale di rivolta, che però non arriva mai. Dopo tre anni, e dopo aver visto sparire molti dei suoi amici, Pilecki decide di fuggire, per continuare la resistenza da fuori.