Il video "Rebus per Ada", scheggia cinematografica del progetto Ada, cronaca familiare, ispirato all'omonimo romanzo di Vladimir Nabokov, è un gioco di enigmi in forma di ossessivo sogno attraverso il romanzo stesso. L'immagine del sogno, del resto, è proprio fatta di pieni e vuoti, come un enigma, un rebus. Con testi di Stefano Bartezzaghi, Chiara Lagani, Rodolfo Sacchettini, Nadia Ranocchi, Antonella Sbrilli.
"Meglio non veder niente ma sentire come si deve" raccomandò Carmelo Bene a chi assisteva all'evento "Voce dei Canti", di cui fu protagonista nel 1998, nel bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi. Un documento video di quasi tre ore. Un laboratorio orale in divenire, proprio una scuola necessaria, giacché "non insegnandosi più il verso, da noi, il calo di qualità e di talento è ormai irrimediabile. L'orecchio se n'è andato", disse Carmelo Bene.
"In quest'opera c'è il ritratto, l'istantanea, di qualcosa di attuale e invisibile. C'è un dolore che sembra riguardare soprattutto l'occidente: la spaccatura micidiale fra noi e l'anima del mondo, quell'energia intuita e sempre tradita, che ci tiene vivi. Questa "anima del mondo", questo pezzo di brace cosmica che brucia nella terra e in ognuno di noi, è ciò che viene fotografato in questa opera. È anche fotografata la distanza fra ciò che sentiamo e il modo in cui viviamo, fra il nostro dentro e il nostro fuori, per dirla semplicemente. "Come siamo andati lontano da ciò che ci tiene in vita!" grida la filosofia. Qui appunto si fotografa quella lontananza. Non abbiamo smesso di credere nella forza della poesia, di pensare a uno spettacolo anche come atto di resistenza contro la Signoria Attuale. Che cosa sia questa Signoria Attuale in parte tutti lo sappiamo e in parte non lo sapremo mai: una forza, comunque, che tenta di fare di noi un ovile muto, di deprimere la nostra vivezza, di metterci sulla schiena pesi schiaccianti. Ci guardiamo intorno e scorgiamo ovunque segni invasivi di questa forza indebolente. Pochi chilometri più in là la vediamo all'opera coi suoi morti ammazzati e bombardati. Ecco, ci muove una voglia d'esortazione, una paura, una pietà. Soprattutto la voglia di tenerci ben desti, di pronunciare parole troppo taciute, di cantare e ballare con la potenza disarmata dei bambini." (Mariangela Gualtieri)
Artusi racconta le peripezie della sua celebre opera nell'introduzione, che intitolò "Storia di un libro", partendo dal severo giudizio del professor Trevisan che sentenziò: "Questo è un libro che avrà poco esito". Offeso, il vecchio (e ricco) Pellegrino rifiuta l'edizione e stampa a proprie spese "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" nel 1891: la prima edizione è di 1000 copie. Fino al 1931 vengono stampate 32 edizioni, tanto che il manuale dell'Artusi, con "I promessi sposi," era uno dei libri più letti dagli italiani. E assieme al "Pinocchio" di Collodi e al "Cuore" di De Amicis, rimane uno dei capisaldi della cultura italiana ottocentesca.
Due organismi viventi, un cuore e un gatto, vengono occultati, creduti morti; ma nella loro tragica vitalità, entrambi danno segnali della loro esistenza. Un cuore batte sotto un tappeto, e la sua eco rimbomba terribile nelle orecchie di chi vi cammina. Soffocata tra la calce di una parete, la carogna di un gatto lancia i suoi temibili anatemi. La fervida, cupa fantasia di Poe concepisce per entrambi i racconti un identico dispositivo letterario, per cui è il segnale di sopravvivenza lanciato dai supposti organismi soppressi, la leva che non soltanto smaschera gli artefici dell'occultamento, ma anche scardina la facciata della storia, mettendo a nudo la natura violenta nascosta dietro le apparenze. Nel CD la voce narrante è di Marco Baliani.
Un documento che tenta un varco fra le opposizioni di sacro e profano, fra interiore ed esteriore, esterno e interno: la voce, un tempo esperienza sacrale e di comunione della diversità, conosce in questo lavoro, in mezzo al caotico appiattimento, nell'anestesia generale di una città-pretesto, un'utilizzazione volta alla trasmissione della poesia di uno dei più significativi poeti al mondo. I testi vengono detti nel ritmo del quotidiano: il poeta (sempre in anticipo) e il traduttore (in ritardo) entrano nei luoghi di una Roma-pretesto rappresentata da sei vie d'uscita: la piazza, le rovine, la porta, la scala, la stazione e il giardino. Come nella tradizione la voce (sacra) fa tendere il quotidiano al simbolico, ma questo è un quotidiano sofferto come una preghiera dell'interiorità, una consapevole resa all'impossibilità di dire se stessi. Strand e Abeni riescono però a dare voce a un "fronte interno" attraverso la poesia e il suo doppio, la traduzione impossibile, sempre in ritardo. E ci si trova di fronte a una nuova disarmata armonia, che altro non alimenta se non il dubbio di portarsi a compimento. La voce ci arriva dallo spiraglio di un video dove si può sentire l'urlo o il sussurro degli invisibili. Si desiderava che il metronomo dell'eterno ritorno fosse il tic-tac del cuore materno.
L'arte - sosteneva Leopardi - accresce la vitalità dell'uomo. E in Mario Luzi, che ringraziamo per il viatico donato a questa nostra iniziativa, riecheggia lo stesso pensiero quando dice: "La poesia aggiunge vita alla vita. Una vita al quadrato".
Bastano queste premesse e promesse di felicità, di vitalità, ad innamorarci della poesia, a sentirne - direi - la necessità in tempi duri e cupi come quelli che viviamo. In quanto alla mia modesta esperienza personale, posso dire di aver spesso trovato nella poesia elementi di consolazione, di chiarificazione e di stupore, perché i veri poeti ci stupiscono sempre un po'. I poeti realizzano il piccolo miracolo laico invocato da Dostoevskij: d'accordo, sappiamo che due più due fa quattro, ma quanto più bello sarebbe se almeno una volta facesse cinque.
Da tutto questo risulta evidente - io spero - il senso niente affatto professorale, anzi, tutto privato, che mi ha deciso a realizzare questa antologia, e lo stesso dicasi dei criteri seguiti nella scelta dei testi e dei collaboratori. Infatti, salva la personalità e libertà stilistica di ciascuno, credo che si sia imparentati fra noi da alcune convinzioni comuni che sintetizzo.
Primo: se un'opera è scritta in versi un motivo c'è e va rispettato. Secondo: in ogni testo di un vero poeta si celebra la conciliazione tra Apollo e Dioniso, razionale e irrazionale. Quindi la passione va accompagnata dalla tecnica. Quanto all'annoso ed uggioso quesito se la poesia sia o no recitabile, io non scorderò mai il senso di gioiosa libertà che emanava dalle recite di alcuni grandi dicitori che ho ascoltato, e non scorderò mai i tanti poeti con cui mi sono alternato nella dizione pubblica dei loro versi, da Pasolini a Evtusenko, da Rafael Alberti a Pablo Neruda.
Ma iniziamo senz'altro ad ascoltare le voci della poesia. Ad avviare il tutto, un motivo musicale di un maestro che ha molto lavorato sui rapporti tra musica e poesia, il maestro Nicola Piovani.
Vittorio Gassman