"'Col tanfo di caseificio, col chiasso degli zoccoli io sono, ingiustificatamente, la polvere delle ossa dei miei indebitati vicini...' Composto verso il 1960, pubblicato nel 1981, e definito dallo stesso Thomas Bernhard come un testo di assoluta pregnanza all'interno della sua produzione narrativa, 'Ave Virgilio' rappresenta l'esito di due tendenze stilistiche apparentemente contraddittorie. Riflessione teorica e concrezione corporea, teologia negativa e ossessione materica, proiezione simbolica e décor regionalistico convergono nella stesura di un manufatto nero ed oracolare. Infatti, benché il libro rechi le tracce di due soggiorni all'estero (Gran Bretagna e Italia), il suo vero cuore sta nel lacerante sentimento di attrazione e odio che l'autore nutre verso la propria terra: 'Il mio sapere ce l'ho dai solchi nei campi di patate, dall'oscurità del porcile ho appreso cielo e terra, nel rotolio dei mucchi di mele ottobrine ho il mio salmo incessante...' Osti, parroci, sindaci, mastri birrai, arcivescovi, scrivani comunali, contadini e sposi, figure dell'autorità o del martirio (il Padre contro il Figlio) insieme a baluginanti santi intercessori quali Catullo, Dante, Pascal, o Virgilio, compongono il quadro di un inferno bucolico fatto di sangue, cunei nella carne, mattatoi. Lo si vede ad esempio nell'allucinato 'Canto del figlio del macellaio'." (Valerio Magrelli)
In questa raccolta di poesie, Carmen Yáñez sembra attraversare in un solo movimento l'ampio atlante che comprende la sua vita, dal Sud America all'Europa, senza mai staccarsi dai tenaci ricordi che la seguono. Forse non ricorre a caso l'immagine della lumaca, animale antico che si porta addosso la sua casa e la sua storia, tutto quello che ha, e al suo passaggio depone "la scia della traversata, schiuma brillante della fuga". Ma i ricordi, in queste liriche meditative, sospese in un'atmosfera quasi trasognata ("acque profonde, in cui si moltiplicano gli arcani"), sembrano proiettare ombre discrete, finalmente pacificate, che si allontanano dai demoni consueti - la dittatura, l'esilio - di questa poetessa capace di rara fermezza morale come di inconsuete vibrazioni d'amore. Così nascono versi che sarebbero piaciuti a García Lorca: "Era piena la luna quando tacque il suo amante? In quale pantano conficcò la spada?", sinopie che si aprono al colore, con un suggestivo rigore formale: "Davanti a questo mare acceso di malve". Su tutto, un'attenzione paziente alle cose, ai gesti, ai sentimenti quotidiani ("le onde piccole della pena"), che sono il segno di una riconciliazione con la vita, scrutata in una perplessa lontananza.
"Il mondo ha un disperato bisogno di essere migliorato." Ma troppo spesso ci sentiamo scoraggiati, delusi, incapaci di muovere un passo. E ci rassegniamo all'idea che cambiare il mondo sia difficile, o persino impossibile. Promuovere attivamente il cambiamento, però, farebbe bene non soltanto al mondo e agli altri, ma anche a noi stessi: in nome di un attivismo che rievoca la "saggezza pratica" aristotelica e insieme il più tipico pragmatismo britannico, John-Paul Flintoff ci chiede di attingere alle nostre innate riserve di coraggio, empatia e creatività, e di agire. Non è necessario essere carismatici, come i personaggi che hanno letteralmente segnato la nostra storia, per esempio il Mahatma Gandhi o Nelson Mandela, basta fare qualcosa, anche un solo gesto, per dare inizio al cambiamento. L'autore vuole dimostrare che la trasformazione autentica parte dagli individui e dalle cose concrete. Non si tratta - non sempre, almeno - di affrontare momenti epocali come la rivendicazione dei diritti civili, la lotta al razzismo o i negoziati di pace tra le nazioni. Sono proprio le piccole azioni quotidiane a innescare il cambiamento più vero e duraturo, e il loro valore non è inferiore alle grandi lotte sociali. Basta darsi da fare, un passo dopo l'altro.
Pubblicato nel 1917, "Dono d'amore" ("Palataka") è una raccolta di sessanta poesie che completa il percorso iniziato da Rabindranath Tagore con "Petali sulle ceneri" ("Pushpanjali"). Scritte e continuamente rimaneggiate in un lungo periodo tra il 1885 e il 1915, in ricordo dei grandi affetti perduti ma che sopravvivono nella vita del poeta, queste liriche contengono, accanto ai temi ricorrenti di tutta la sua opera - l'amore, il dolore, la solitudine, la natura, l'incontro con Dio, il significato della vita e della morte -, un messaggio che oltrepassa il tempo: ogni aspetto della vita è dono, bisognerebbe goderne finché lo si riceve, senza mai perdere di vista la sua gratuità e la gioia che se ne ricava. Proprio perché gratuito e impetuoso, questo "dono d'amore" arriva come una visita notturna, conosce l'impazienza, i segreti, lo scrosciare del monsone, il desiderio e l'emozione del ritrovarsi. Si alternano, nei vari componimenti, indimenticabili paesaggi sul Gange, spiagge sabbiose su cui le tartarughe prendono il sole, rive alberate e ombrose per i boschetti di bambù, stanchi pomeriggi afosi in cui, alla ricerca dell'amata, si arriva alla convinzione che sia fuggita via "nel silenzio e nelle parole", irrimediabilmente perduta.
Per spiegare molte delle storture del mondo contemporaneo basta una semplice considerazione: la mente umana è relativamente nuova, viene usata intensamente solo da una decina di migliaia di anni. Lo stomaco invece, tanto per fare un esempio, ha avuto a disposizione centinaia di migliaia di anni per perfezionarsi. Tra i disastri che discendono dalla scarsa capacità umana di usare il cervello c'è l'enorme difficoltà di costruire storie d'amore davvero soddisfacenti. Piuttosto recente, infatti, è anche l'affermarsi dell'amore romantico come fulcro dell'esistenza degli individui: per migliaia di anni l'uomo ha avuto priorità drammaticamente più urgenti: mangiare, trovare riparo per la notte, sfuggire ai briganti e ai soldati del re. Logico quindi che non abbiamo accumulato molta esperienza come amanti... È l'ambito, così poco conosciuto ma così importante, affrontato da Jacopo Fo in questa "Corretta manutenzione del maschio" (però in realtà anche delle femmine), che fornisce alcune informazioni essenziali sull'amore a partire proprio dal cervello, completamente diverso nell'uomo e nella donna. Lo fa in modo divertito, leggero, tra osservazione quotidiana e vita domestica, scienza e teatro. Ma ogni gioco teatrale, si sa, è cosa seria. O almeno, felicemente semiseria.
Cos'è la noia? È sempre stata vissuta allo stesso modo? Sono queste le domande a cui Svendsen cerca di dare risposta, ricorrendo alla filosofia, alla letteratura, al cinema e persino alla musica rock. Dalla noia contingente, caratteristica dell'esistenza umana, alla noia esistenziale, tipica della condizione moderna, l'autore traccia un percorso storico dall'accidia medievale alla malinconia rinascimentale, fino ad arrivare al tedio esistenziale della metà dell'Ottocento e alla paranoia.
Giorgio Montefoschi ritorna al viaggio, una passione che lo accompagna da lungo tempo. E lo fa con lo sguardo che gli è più consono, ossia quello del narratore. L'India, il Nepal ma anche Israele o l'Iran non sono solo mete geografiche ma soprattutto spunti di riflessione, di conoscenza, di comprensione. E il suo approccio ai fatti, alle cose, ai luoghi, agli uomini è innanzittutto motivato da una tensione morale, da una necessità spirituale.
L'amore è il perno di ciascuna esistenza anche se spesso risulta difficile definire che cosa si intende realmente per amore. John Armstrong si misura con questo tema univerale affidandosi a scrittori e a filosofi quali Platone, Freud, Stendhal, Tolstoj, Turgenev, Goethe, Ruskin. Attraverso le loro idee risponde a quesiti che ciascuno di noi si è posto, e si pone, durante la propria vita: che cos'è l'amore? L'amore è irrazionale? Esiste la persona giusta per me? Da cosa differisce l'infatuazione dall'amore?
Sepúlveda racconta il lato più avventuroso e intimo della sua vita: gli amici, gli incontri con i grandi scrittori come Francisco Coloane e Osvaldo Soriano, i momenti condivisi con i compagni, Hernan Rivera Letelier, Mario Delgado Aparain, Mempo Giardinelli e Mario Benedetti. Rivive i festival letterari, le occasioni di incontro pubbliche e private, sullo sfondo dei luoghi dove il suo "gruppo" è solito ritrovarsi: da Parigi a Santiago del Cile, da Gijon a Guadalajara, da Roma alle tante province italiane. E lo fa conversando con Bruno Arpaia, egli stesso scrittore e conoscitore della letteratura sudamericana.
Considerato un classico della cultura cinese, "L'arte della scrittura" è il capolavoro del poeta vissuto nel III secolo d.C. L'opera di Lu Ji è considerato uno dei primissimi manuali di poetica appartenenti alla tradizione orientale. L'autore affronta la scrittura come una disciplina spirituale, in cui la parola diviene forma privilegiata del viaggio interiore di sé e del mondo.