Nata dalla costola della bioetica come frutto della necessità di tematizzare anche ad un livello normativo di tipo collettivo e pubblico le problematiche che quella andava via via sollevando, la biogiuridica si è posta sin dall'inizio in tensione dialettica con la bioetica. Questo libro esplora gli itinerari che queste due nuove ed inattese forme di sapere stanno percorrendo, gli intrecci inevitabili (gli incontri del sottotitolo) ma anche le opportune distinzioni o le inevitabili collisioni (gli scontri). Il primo capitolo tenta di aggiornare alle sfide delle biotecnologie il concetto moderno di razionalità, insufficiente ed inadeguato sia nella sua versione empirico-positivista sia nella declinazione strumentale (il nichilismo, dal canto suo, nega la ragione perché ne statuisce l'impotenza aletica). Il secondo cerca di costruire, alla luce di quell'aggiornamento epistemologico, lo statuto etico-giuridico del corpo umano, vero centro focale delle principali discussioni bioetiche e biogiuridiche. Il terzo capitolo rende un doveroso omaggio alla professionalità principalmente coinvolta nelle questioni bioetiche, la medicina: essa non è mera arte né mera scienza, dell'una e dell'altra assume potenza ed ambiguità, e per questo abbisogna di un avvicinamento filosofico. Infine, l'ultimo capitolo riprende le principali tematiche classiche della bioetica e della biogiuridica (aborto, fecondazione artificiale, palliazione della sofferenza, fine della vita) in una prospettiva di senso, ed alla luce delle acquisizioni dei capitoli precedenti, ne propone una risemantizzazione all'altezza dei tempi secolarizzati in cui oggi operano bioeticisti e biogiuristi. Come scrive Francesco D'Agostino nella Premessa al volume, "il mistero e il fascino del bios consistono proprio nell'incredibile, necessaria delicatezza con cui esso chiede di farsi avvicinare da chi voglia studiarlo (fosse costui un bioeticista o un biogiurista) per comprenderlo e per immedesimarsi con lui. Quando questa delicatezza si incrina, il bios si arrende alle indebite pretese di chi, cercando di analizzarlo con uno sguardo freddo e calcolante, s'illude di poterne conquistare o esaurire l'essenza (ma questa resa del bios non abbiamo altro termine per denominarla se non morte). È per questo che prima che oggetto di studio il bios chiede di essere oggetto di meditazione. Ma un'autentica meditazione bioetica e biogiuridica è ancora in grandissima parte da costruire e per questo dobbiamo essere grati a coloro, come Claudio Sartea, che aprono davanti a noi nuove strade e ci aiutano, con intelligenza e sapienza, a percorrerle". Premessa di Francesco D'Agostino.
Eutanasie, al plurale, intende sottolineare la varietà delle questioni di fine vita e suggerire l'inutilità della pretesa di esaurire tutto entro una linea netta che divida il bene dal male, il morale dall'immorale, il lecito dall'illecito, perchà© ogni attesa di assistenza è diversa da un'altra, perchè ogni sofferenza non è equiparabile a un'altra. Il diritto dovrebbe innanzitutto cercare di comprendere quali siano le attese e le speranze di chi soffre. Può farlo, a volte, attraverso artifici come le dichiarazioni anticipate di trattamento: lo strumento estremo per illudersi di dare la parola a chi non può più parlare. Può farlo, molto più spesso, limitandosi a prendere atto dei limiti della tecnologia e ricordando che uno strumento di emancipazione non può diventare un mezzo di oppressione. Se il valore dell'indisponibilità della vita è sistematicamente contrapposto al valore della libertà personale, c'è qualcosa che non funziona nei processi interpretativi e, ancor prima, nel tessuto sociale.Queste pagine sono il tentativo di mettere in luce i diversi modi con cui l'esperienza giuridica ha cercato di trovare un equilibrio tra una pretesa di autonomia che non può essere eretta a rivendicazione assoluta di autosufficienza e un obbligo di curare che non può diventare la mera applicazione di una tecnologia indifferente alle richieste e alla condizione di chi soffre. Esiste un dovere di curarsi? Esiste un diritto a rifiutare le cure? Esiste un diritto a morire? Questi interrogativi sono presi in esame, riflettendo sul concetto di malattia, sulla condizione del malato e in particolare sulla dimensione del "morire", con i suoi tempi (pre-paziente, malato terminale, morituro artificiale), i suoi templi (ospedali, hospice, case di riposo) e i suoi riti (isolamento, alienazione, dipendenza).
L'osservazione della natura umana non è avalutativa, poiché implica il discernimento dei valori. I valori vengono contrapposti ai fatti e questa continua scomposizione del nostro organismo arriva al punto di negare l'Essere. Si può ritenere meraviglioso ed ingegnoso il lavoro delle formiche o quello dei castori, ma in nessun caso potremmo riscontrarvi un dinamismo creativo paragonabile a quello degli architetti. L'uomo ha in comune con alcune specie animali il potere di modificare il suo habitat, ma ci si può ragionevolmente fermare a questo indizio pensando di essere in grado di spiegare i valori estetici di un'architettura? Certamente no! Tuttavia noi ci sforziamo di voler definire scientificamente il nostro fine ultimo, e l'uomo, nella misura in cui egli è, rimane il solo campo possibile delle nostre osservazioni. I quattro aspetti ritenuti fondamentali in questo libro. Origini animali e divenire umano - Quattro secoli dopo che la rivoluzione scientifica sembrava aver compromesso qualsiasi speculazione teleologica, il flusso incessante di scoperte sempre nuove si è straordinariamente orientato a favore del finalismo. La fabbrica biotecnologica del divenire umano - La nascita della biotecnologia consente oggi non solo di curare meglio gli esseri umani, ma persino di potenziarli. La fragilità del divenire umano - La ricerca di un'umanità migliorata nasce dalla fragilità dell'uomo...
Gli animali procreano, ma solo gli uomini e le donne costruiscono una famiglia, divenendo padri e madri, generando figli e figlie, che si riconoscono come fratelli e sorelle. Di qui il carattere prioritario che possiede l'identità sessuale per l'identificazione della persona umana; di qui l'enigmaticità della sessualità umana, che ha in se stessa una sorta di eccedenza, che la proietta al di là della sua mera funzione biologico-riproduttiva; un'eccedenza che spiega il suo poliedrico manifestarsi, che può andare dalle forme più crudeli di violenza a quelle più eccelse di estaticità. È per esigenze ontologiche, quindi, e non meramente storiche, sociologiche o culturali, che il diritto ha sempre identificato la persona umana a partire dalla sua sessualità e sulla sessualità specificamente umana ha fondato il matrimonio come vincolo giuridico eterosessuale, finalizzato alla generatività. Nel mondo contemporaneo, che non vuole più riconoscere il primato giuridico dei vincoli generativi su quelli aggregativi, la sessualità umana sembra destinata a perdere progressivamente ogni rilievo istituzionale: è per rendere consapevoli i giuristi di questa nuova e straordinaria situazione che sono state pensate le pagine che compongono questo libro.
Introduzione. – I. Biodiritto: approssimazione al concetto. – II. Fragilità e giustizia. – III. Biodiritto e fragilità iniziale. – IV. Biodiritto e fragilità finale. – Conclusione. – Appendice: Biodiritto e obiezione di coscienza. – Bibliografia.
La deontologia professionale ci ricorda anzitutto che il lavoro umano ha un senso antropologico. Il lavoro è uno degli ambiti della vita umana in cui entrano in complessa e feconda dialettica la necessità e la libertà: per tale ragione esso è innervato da significati morali, come testimonia tutta la storia del suo concetto. Di più: il lavoro deriva da relazioni e tesse relazioni tra gli uomini; condiziona la concreta esistenza della famiglia come primo aggregato naturale, e via via ogni forma di associazione umana fino al mondo intero: passando attraverso la categoria professionale, che costituisce una decisiva istituzionalizzazione dei rapporti di colleganza professionale, e non certo per accidente è la fonte della loro disciplina deontologica, sia sul piano delle previsioni normative che su quello applicativo. Nel presente libro, tutto ciò cerca e trova conferma anche sul piano empirico, in particolare nei capitoli specificamente dedicati alla deontologia medica ed a quella giuridica. La verità, individuale e comunitaria, del lavoro professionale, giustifica ed orienta l'esistenza ed i contenuti della sua deontologia, con una connessione assai simile a quella tra struttura ontologica dell'uomo e dimensione giuridica del vivere. La "lotta" per la professione ed il suo senso alto, identificato e protetto dalla deontologia, si rivela in tal modo analoga alla lotta per il diritto.
Sex indica la condizione biologica dell'essere maschio o femmina (come si nasce); gender indica la condizione psico-sociale e culturale acquisita (come si diviene) o l'identità scelta dall'individuo. Ma quale è il rapporto tra sex e gender? Diverse le possibili risposte. Il dibattito sex/gender è estremamente complesso e rimanda ad un'articolata discussione filosofica tra moderno e postmoderno che ha rilevanti ripercussioni nel diritto con riferimento a questioni attuali (transessualismo, intersessualità, transgender, omosessualità e orientamento sessuale). È un dibattito che sfida le categorie tradizionali della filosofia e del diritto sulla identità e differenza sessuale. Il volume ricostruisce in modo sistematico l'origine e i percorsi interdisciplinari del dibattito attuale, analizzando i presupposti e le argomentazioni delle diverse teorie, evidenziando i possibili equivoci che si nascondono dietro gli appelli all'uguaglianza e alla non discriminazione.
"Tra i versi di Vermächtnis, cioè "lascito", con cui intendeva riassumere conclusivamente il messaggio del suo ultimo romanzo, Goethe pone un'indicazione densissima, cui ho sempre cercato di restare fedele: Das alte Wahre, faß es an! Una traduzione italiana di questo verso potrebbe essere: metti a frutto l'antico vero! E un'indicazione preziosa: abbiamo tutti il dovere, prima ancora di andare narcisisticamente alla ricerca di nuove verità, di assimilare fino in fondo quelle che esistono da sempre, che ci sono state pazientemente insegnate e che siamo chiamati a nostra volta a trasmettere a chi verrà dopo di noi. Questo è esattamente ciò che ho cercato di fare scrivendo questo libro, nella consapevolezza che quel "vero" cui allude Goethe è certamente antico, ma altrettanto certamente (e misteriosamente) sempre nuovo".