Storico, intellettuale, politico, Pietro Scoppola (1926-2007) è stato una delle massime figure del cattolicesimo democratico italiano. Alcuni suoi libri, come "La proposta politica di De Gasperi" e "La repubblica dei partiti", hanno costituito pietre miliari nella storiografìa sull'Italia repubblicana. Agostino Giovagnoli compie la prima analisi complessiva dell'opera di Scoppola, di cui è stato allievo. Ripercorrendo la sua formazione intellettuale e spirituale, rileggendo i suoi interventi pubblici e la sua ricerca storica, Giovagnoli individua l'asse della riflessione scoppoliana nel tema della convivenza di Stato e Chiesa dopo la grande frattura fra società civile e religiosa rappresentata dalla Rivoluzione francese e sottolinea come sia nel suo lavoro di storico del movimento cattolico, sia nel suo impegno civile e politico il punto cruciale per Scoppola sia stato il rapporto fra Chiesa e democrazia.
Il volume mette in luce, nell'ambito della storia del diritto internazionale, le origini del progetto coloniale dell'Occidente e i suoi tentativi di civilizzare il mondo extra-europeo. In una ricostruzione che va dalla prima metà del Cinquecento all'epoca contemporanea, vengono illustrate le ideologie che hanno giustificato le conquiste coloniali, legittimando l'idea della "superiorità" dei paesi occidentali: dapprima la superiorità dei popoli cristiani (sec. XVI), poi dei popoli "civili" (see. XIX), poi dei popoli "sviluppati" (sec. XX) e ora dei popoli democratici e della loro dottrina dei diritti. L'autore mette in discussione il presunto universalismo della concezione occidentale dei diritti umani e del diritto internazionale, sottolineando le analoghe pretese universalistiche del mondo musulmano e sostenendo conseguentemente la necessità di una visione relativistica e l'importanza di assumere una prospettiva "inter-civiltà" contro ogni ipotesi di scontro di civiltà.
La globalizzazione dell'economia, accompagnata dall'emergere di una cultura a sua volta globale, ha profondamente alterato il tessuto sociale, economico e politico degli stati-nazione, di vaste aree transnazionali e, non da ultimo, delle città. Nel volume vengono proposti nuovi strumenti concettuali e nuove strategie di ricerca per studiare le città come luoghi di intersezione tra globale e locale. È ormai evidente che numerose metropoli mondiali si sono sviluppate all'interno di mercati transnazionali e hanno ormai più caratteri in comune tra loro che con i rispettivi contesti regionali o nazionali.
A partire dai secoli XII-XI si consuma la separazione tra "foro interno", il foro della coscienza, e "foro esterno", il foro giudiziario. Secondo l'adagio ben conosciuto dai canonisti medievali, "La Chiesa non giudica le cose occulte": il campo d'azione lasciato al giudice era limitato, e in seno a ogni individuo la stessa istituzione ecclesiastica riconosceva una zona di esenzione completa, sottoposta solo allo sguardo di Dio. Il Concilio Laterano IV del 1215, tuttavia, impose la confessione auricolare e con essa l'obbligo di rivelare anche gli "occulta cordis" da cui dipendeva la salvezza eterna. Un provvedimento dirompente che aprì la strada all'Inquisizione e alla sua volontà di ricercare anche i peccati di pensiero nascosti. Questo volume, affrontando il segreto e l'occulto nella loro essenziale ambivalenza, offre una stringente analisi dell'obbedienza come legame politico negli ultimi secoli del medioevo e illustra con chiarezza il ruolo svolto dal segreto nella costruzione dello spazio pubblico e del soggetto politico.
Jacques Chiffoleau è professore di Storia medievale presso le Università di Lione e Avignone. Directeur d'études all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, è autore di numerosi saggi di storia della mentalità e della società medivali.
Nella nostra società si confrontano due modelli di conoscenza. Quello "aperto", che ha le sue radici nell'affrancamento della scienza moderna dalla magia e dalla religione, trova oggi espressione nel successo di Internet e nella proposta del software libero e open source, ma anche in diverse altre esperienze: il rifiuto dell'Unione Europea di brevettare il software (come invece accade negli Stati Uniti), la legge italiana sui farmaci generici, la scelta di rendere pubblici i risultati della ricerca sul genoma umano. Il modello "chiuso" si è invece affermato negli ultimi trent'anni con l'industria del software, la privatizzazione della ricerca scientifica, l'estensione della proprietà intellettuale e in generale una visione della conoscenza come prodotto industriale. Sulla linea che unisce i due poli, sta a noi valutare - sottolinea l'autore di questo libro - la posizione capace di salvaguardare libertà individuali e bene collettivo. Rimaniamo infatti responsabili delle conseguenze che le nostre opzioni educative, morali e politiche avranno sulle generazioni future.
Luciano Paccagnella insegna Sociologia della comunicazione e Sociologia della conoscenza e delle reti nella Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Torino. Con il Mulino ha pubblicato "La comunicazione al computer. Sociologia delle reti telematiche" (2000) e "Sociologia della comunicazione" (2004).
Nella seconda metà del Novecento, tramontata l'egemonia idealistica, la filosofia italiana si è aperta a indirizzi di pensiero prima ignorati o poco conosciuti, importando nuove prospettive e cercando di adattarle all'ambiente culturale del nostro paese. Ciò è avvenuto per la fenomenologia e l'esistenzialismo, e più tardi anche per il marxismo, in misura minore per il neopositivismo e la filosofia della scienza. Il panorama filosofico italiano degli ultimi decenni appare così contraddistinto da una serie di "avventure" dagli esiti alterni, che l'autore ripercorre offrendo valutazioni severe e talvolta impietose. Nel corso del volume vengono così ripresi in esame il dibattito sullo storicismo, che segnò il distacco dalla concezione crociana della storia, la breve stagione del "nuovo illuminismo" che ebbe come protagonisti Abbagnano, Bobbio, Geymonat e Preti, e successivamente la deriva ideologica degli anni Sessanta e Settanta, infine le più significative espressioni del periodo postmoderno, che dall'avversione al sapere scientifico pervengono a un comune esito profetizzante.
Pietro Rossi è professore emerito dell'Università di Torino, dove ha insegnato dapprima Storia della filosofia e poi Filosofia della storia. E' socio dell'Accademia Europea, dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia delle Scienze di Torino, che ha presieduto nel triennio 2003-2006. Ha diretto per un ventennio la "Rivista di filosofia". Ha anche condiretto, insieme a Carlo A. Viano, l'importante "Storia della filosofia" pubblicata da Laterza (1993-1999). Con il Mulino ha pubblicato di recente "L'identità dell'Europa" (2007).
Nel 2009 l'"Origine della specie", l'opera in cui Charles Darwin formulò i principi della sua rivoluzionaria teoria sull'evoluzione umana, compie centocinquant'anni. La pubblicazione del libro nel 1859 suscitò uno scandalo enorme e un'accesa polemica negli ambienti scientifici e nell'opinione pubblica dell'età vittoriana (basti pensare che la prima edizione andò esaurita in un solo giorno!). Nel dibattito a più voci che ne scaturì emersero con forza le remore della coscienza religiosa tradizionale di fronte alle prove anatomiche, geologiche e fossili della selezione naturale. In questo volume Paolo Casini ricostruisce lo scenario di quella animata controversia, rievocando le critiche che la cultura etica e teologica del tempo mosse alla nuova teoria, e le argomentazioni scientifiche con le quali il grande naturalista e biologo inglese replicò nelle sue opere successive. Nell'ultimo capitolo l'autore mostra come l'odierno revival delle tesi creazioniste e dell'"lntelligent Design" non faccia che riproporre obiezioni del tutto analoghe a quelle del passato.
Dopo l'11 settembre 2001 si è sempre più affermata una visione che qualifica i rapporti conflittuali tra Occidente e islam in termini di "scontro di civiltà". Quello che rischiamo di non vedere è come le contrapposizioni più maligne operino "all'interno" di nazioni e paesi, fra radicalismi etnici e/o religiosi. Al di là del Medio Oriente, ad esempio, una grande democrazia come l'India appare oggi minacciata dal nazionalismo induista, che fa della "purezza" etnica e religiosa un motivo di dominio e di esclusione. Basandosi sulla sua profonda conoscenza della realtà politica e culturale indiana, Martha Nussbaum descrive la nascita dell'estremismo induista di destra, ne approfondisce la peculiarità culturale e rilegge gli eventi significativi che hanno portato il movimento alla violenza genocida. Un'occasione per riflettere sul modo in cui un'ideologia religiosa può arrivare a minacciare il pluralismo democratico e lo stesso principio di legalità. Non dimentichiamo che forme più o meno aggressive di radicalismo-localismo sono presenti anche in molte democrazie occidentali.
Frutto di una ricerca pluriennale sulla linguistica, in particolare sulla linguistica del parlato, il libro sfida l'ortodossia dominante nella disciplina riaprendo il dibattito su alcuni capisaldi delle teorie novecentesche. Senza negare l'importanza dei risultati prodotti nell'ultimo secolo dalle ricerche di indirizzo strutturale e/o generativo, Albano Leoni individua i limiti che l'interpretazione linguistica tradizionale incontra nella spiegazione del concreto funzionamento delle lingue. I paradigmi di analisi hanno spesso trascurato, secondo l'autore, i reali processi di ricezione e di comprensione del linguaggio, ingabbiandoli in uno schema lineare e predeterminato che procede, classicamente, dai fonemi alle sillabe, ai morfemi, alle parole e infine alle frasi. Contro questo tipo di rappresentazione del fenomeno linguistico, il volume suggerisce alcuni possibili cambiamenti di rotta utili a dare nuovi spunti e nuovo slancio alla disciplina: concentrare l'analisi sul materiale naturale e non su quello di laboratorio, prendere in considerazione non più soltanto il punto di vista del parlante ma anche quello dell'ascoltatore.
La democrazia sembra oggi protagonista di un trionfo incontrastato, che addirittura ha fatto parlare di "fine della storia". Ma la democratizzazione, che certamente ha investito regioni del mondo fino ad oggi rimaste escluse dalle precedenti "ondate", non segue un andamento scontato, bensì può condurre a esperienze di consolidamento oppure di crisi. Quali sono i meccanismi di fondo che producono l'uno o l'altro esito? Un interrogativo al centro di ogni analisi politica in questo esordio di secolo, cui l'autore risponde sulla base di una ricerca rigorosa e sistematica nei quattro paesi dell'Europa meridionale: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. In ciascun caso sono analizzati gli atteggiamenti sociali, gli accordi neocorporativi, i rapporti tra gruppi di interesse e rappresentanza politica, le relazioni clientelari, le organizzazioni partitiche. Nelle conclusioni viene avanzata una nuova proposta teorica, incentrata sui processi di "ancoraggio" o, viceversa, "disancoraggio" della democrazia.
Al fascismo, alle sue origini e alla sua collocazione all'interno della storia nazionale Vivarelli ha dedicato la massima parte della sua opera di storico, mettendo anche in gioco qualche anno fa, in una sofferta testimonianza, le radici autobiografiche del suo impegno scientifico. Questo nuovo volume si concentra su due nodi centrali: la cultura del fascismo, cui è dedicato il saggio principale, e la guerra civile 1943-45 con le relative, accese controversie storiografiche cui Vivarelli prende parte con forte vigore polemico. Il volume è introdotto da un ampio saggio che, fra bilancio storiografico e autobiografia intellettuale, riflette sulle insufficienze dei conti che il nostro paese ha fatto con il suo passato fascista.
Nell'affrontare un nuovo capitolo di storia della massoneria, Conti concentra la propria attenzione non sulla vita interna delle logge, ma sulla loro proiezione nella sfera pubblica e su quell'insieme di liturgie che, nel nome del laicismo e del progresso, alimentarono una forma di vera e propria religione civile. Dopo un'analisi del rapporto fra la massoneria e la politica, la questione educativa e il movimento pacifista, sono descritti il suo irradiamento nei paesi del Mediterraneo e la sua penetrazione nel capitalismo imprenditoriale e finanziario; è quindi evidenziato il ruolo da essa svolto nella costruzione del mito del Risorgimento e in particolare del culto di Mazzini e Garibaldi. Infine, nella gestione della morte e dei rituali funebri di personaggi illustri, massoni e non, l'autore intravede una chiave di lettura per comprendere la nascita delle religioni politiche dell'età contemporanea.