"Andrea Volpe e le Bestie di Satana: il truce fatto di cronaca trova qui, per forza di scrittura, lo spessore di un vero romanzo" (Walter Siti). Non ricorda niente. Lo chalet, Mariangela, la videocassetta. La notte che sta sfumando in un'alba di neve è un buco nero in testa, una voragine su cui incombe una luna incendiaria. Andrea Volpe non dorme da giorni, e ha perso il conto delle droghe che ha in corpo, ma una consapevolezza improvvisa lo attraversa come un brivido quando la sua Honda termina la corsa, sul ponte del canale Villoresi: è tutto finito. È il 24 gennaio 2004, sembra la fine di un incubo, ma in realtà è solo l'inizio per quel ragazzo con gli occhi da folle e i lunghi capelli corvini. A Somma Lombardo si apre l'indagine sulle Bestie di Satana, uno dei casi di omicidi più sconvolgenti del Dopoguerra italiano, come lo ha definito la BBC. Andrea ha ventisette anni, una vita già spezzata prima che le sue dichiarazioni ai carabinieri lo consegnino alla cronaca come il mostro, prima che la giustizia faccia il suo corso e arrivi la condanna definitiva per quattro omicidi. A vent'anni di distanza dai fatti, Gianluca Herold ricostruisce la storia di Andrea Volpe, che si racconta per la prima volta in queste pagine con la fiducia e la sfrontatezza di chi prova finalmente a togliersi la maschera. Il risultato è un romanzo di scavo, che ci restituisce l'itinerario brutale di un uomo che ha abitato l'abisso, e lo fa attraverso la sua voce e quella di chi ne ha incrociato il destino. Un viaggio nel male assoluto che ci interroga con sguardo lucido e una scrittura tagliente sulla possibilità di voltare pagina.
Giovanni ha ventiquattro anni e ha coronato il suo sogno, quello di lavorare nella redazione di un quotidiano. Intorno a sé, però, ha soltanto colleghi più anziani, ormai apatici, storditi da un mestiere sempre più in crisi. Tranne uno, Sergio Fabiani, caposervizio della cultura, che gli affida il compito di scrivere un pezzo su Donato Carretta, direttore del carcere di Regina Coeli, linciato in modo selvaggio dalla folla nel settembre 1944. Il giovane giornalista si immerge allora nella ricerca e nello scavo: sotto la guida paterna di Fabiani, Giovanni ci porta sui luoghi che furono teatro del fatto - il Palazzo di Giustizia, il Tevere, Regina Coeli -, ci mostra le testimonianze di chi quel massacro l'ha visto e documentato, e ce lo restituisce in un racconto vivido, crudo, reale. Chi era Carretta? Un fascista o un antifascista? Oppure uno della "zona grigia"? Con la precisione del reporter e l'abilità dello scrittore, Giovanni ricostruisce la storia di una condanna controversa, brutale, di certo ingiusta. Indagando le pulsioni e la rabbia che agitano la folla di quel settembre 1944 rivede, nella Roma liberata dal fascismo e dall'occupazione nazista, gli strepiti e i livori che si muovono, velenosi, nelle relazioni di oggi, nella comunicazione, sui social. Walter Veltroni torna con un romanzo intenso, capace di raccontare un passato ancora attuale, in cui possiamo leggere in controluce - e forse decifrare, un passo alla volta, insieme a Giovanni - il presente in cui viviamo.
L'unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. È da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un'adolescente di trent'anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un'invasione. Quella donna ha l'accento "foresto" e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo? Quando finalmente s'incontrano, ciascuno con la propria solitudine, negli occhi di Emilia - "privi di luce, come due stelle morte" - Bruno intuisce un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l'ha subito, lei perché l'ha compiuto - un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. Sassaia è il loro punto di fuga, l'unica soluzione per sottrarsi a un futuro in cui entrambi hanno smesso di credere. Ma il futuro arriva e segue leggi proprie; che tu sia colpevole o innocente, vittima o carnefice, il tempo passa e ci rivela per ciò che tutti siamo: infinitamente fragili, fatalmente umani. Con l'amore che solo i grandi autori sanno dedicare ai propri personaggi, Silvia Avallone ha scritto il suo romanzo più maturo, una storia di condanna e di salvezza che indaga le crepe più buie e profonde dell'anima per riempirle di compassione, di vita e di luce.
È il 1943, Dacia Maraini ha sette anni e vive in Giappone con i genitori e le sorelline Toni e Yuki. Suo padre, Fosco, insegna all'università di Kyoto, sua madre, Topazia Alliata, è felicemente integrata nel tessuto della città. Il sogno è la pace, si pensa che la guerra finirà presto. Tutto precipita, invece, quando Fosco e Topazia decidono di non giurare fedeltà al governo nazifascista della Repubblica di Salò. La coppia e le figlie vengono portate in un campo di concentramento destinato ai traditori della patria. Per la famiglia Maraini iniziano gli anni più difficili della loro esistenza: con pochi grammi di riso al giorno, tra fame, malattie, attesa, gelo e vessazioni, dovranno imparare a sopravvivere rinchiusi in un luogo ostile insieme ad altri prigionieri. Una delle voci più importanti della nostra narrativa torna in libreria con il suo libro più intimo, il racconto di un tempo terribile tenuto chiuso per decenni in un cassetto della memoria. In una cronaca vivida, dolorosa, commista a pagine di speranza, di incredulo stupore, attraverso gli occhi di una bambina ripercorriamo i lunghi mesi della prigionia di Dacia e dei Maraini nel campo giapponese. Per non dimenticare gli orrori del Novecento, e per celebrare il coraggio, la fedeltà alle idee, il rifiuto del razzismo di una famiglia che ha lasciato il segno nella Storia, e di chi come loro ha lottato per la libertà di tutti.
Sono passati dieci anni dall'ultima volta che il teologo Tommaso Vegas ha incontrato Myriam, quando lei era la sua assistente e una ragazza inquieta e instabile con cui ha trascorso giorni e notti gomito a gomito, impegnati negli stessi studi. Si erano scambiati un lieve bacio sotto i carrubi, a Gerusalemme. Poi più niente. Eppure, Tommaso ha continuato a sognarla e a immaginarla. Molte cose sono cambiate da allora: Vegas è un uomo disilluso, ha smesso di interessarsi alle cose divine, così come anche Myriam, che lavora in un ospedale pediatrico. Altrettante ancora però li uniscono, primo tra tutti Marco, compagno di Myriam e amico di Tommaso, che lo invita a Vienna per un convegno sul Nuovo Testamento. Nel fittizio caldo tropicale del Pyramide Hotel, i tre riprendono da dove si erano lasciati. Partono quindi insieme per Alessandria, poi Il Cairo e ancora Gerusalemme, in esplorazione di quei luoghi che sono stati testimoni dell'esistenza terrena di Gesù. In un viaggio sospeso tra il passato e il presente, tra la materia e il divino, Vegas scoprirà nella donna che l'ha ossessionato per anni una persona vitale e irresistibile, ma anche pragmatica e intransigente, capace di abbandonare l'astrazione degli studi teologici per portare aiuto concreto ai suoi pazienti.
Siamo a Roma, nei giorni afosi del luglio 1943. In una casa di un quartiere popolare, Margherita, quattordici anni, diventa donna e si sente sola. Suo fratello Arnaldo, diciottenne ribelle, è ormai lontano. La madre Maria cerca il cibo per sfamare la famiglia. Il padre Ascenzo, usciere all'agenzia di stampa Stefani, accudisce con devozione personale e politica il fascistissimo presidente Morgagni. Padre e figlio sono nemici. Nemici che si vogliono bene. Ma nemici. Margherita è smarrita, la paura che tracima dal cuore. Intanto arrivano giorni decisivi per il destino dell'Italia: la convinzione che la città eterna, con i suoi simboli, sia intoccabile va in frantumi. È luglio, il sole riscalda le strade, ma all'improvviso il cielo si oscura. A San Lorenzo piovono bombe. Mentre il mondo di prima scompare, ogni membro della famiglia De Dominicis deve fare i conti con un presente che scaglia l'uno contro l'altro. In sei giorni Roma è bombardata dagli Alleati e Mussolini cade. La Storia corre veloce e mette tutti con le spalle al muro. È, in ogni casa italiana, il momento della scelta. Walter Veltroni racconta di generazioni diverse che, ieri come oggi, devono ricominciare a parlarsi. Perché solo quando i figli affrontano i padri, e i padri, almeno per un attimo, si ricordano di essere stati figli, è possibile lasciarsi il buio alle spalle, aprire porte e finestre al futuro.
La storia di un uomo che non crede alla fine di un amore. Un romanzo di ossessioni, tenacia e tenerezza. "Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare". Solo questo lascia scritto Giulia, prima di scomparire nel nulla. E suo marito Giovanni, nella casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago. Il loro è un amore fatto di cose minime: la colazione al mattino, con le fette imburrate e la marmellata; un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d'inchiostro; abbracciarsi in giardino, tra le rose che lei ha potato con cura. Dopo una vita insieme, non hanno ancora perso la voglia di farsi felici l'un l'altra. O almeno, così credeva lui. Adesso Giovanni, in cerca di risposte, guarda tra i libri di Giulia e dagli scaffali pesca il più voluminoso: Anna Karenina. Comincia a leggere. E si convince che sua moglie abbia trovato un altro uomo, un amante focoso, un maledetto Vronskij. Geloso e amareggiato, si chiude in tipografia, deciso a creare una copia unica del capolavoro di Tolstoj: carta pregiata, copertina in pelle, nella speranza, un giorno, di farne il suo ultimo pegno d'amore per Giulia. Ma la vita non è un romanzo, procede per strappi lievi e imprevedibili. Quando il mistero della scomparsa si svela, Giovanni capisce che c'è sempre qualcosa che ci sfugge, e tutto ciò che possiamo fare è smettere di averne paura.
La città del Nord che ospita i personaggi di "Desideri deviati" è anche la sua protagonista, con i suoi uffici, le sue fabbriche dismesse e le sue passerelle. Chi la abita è animato da forze molto diverse: amore, cultura, successo, giustizia politica. E dunque, cos'è che vuole veramente, qual è il desiderio più profondo di Nico Quell, inquieto "ragazzo senza qualità" che avevamo già incontrato in "Cuori fanatici"? Attorno e insieme a lui, si muovono gli altri personaggi di questo romanzo, che a cavallo tra realismo e fantasia gotica racconta con uno sguardo affilato l'editoria e la moda, miniere di sogni e frustrazioni, all'inizio di un decennio, gli Anni Ottanta, in cui tutto è in mutazione: l'editore Minaudo e il deforme Coboldo, la modella Sheila B., misteriosa amazzone nera, gli ambigui architetti Igor e Vera Macchi, Irene, sorella persa e ritrovata, il maestro Chirone Ognuno ingaggiato in duelli intellettuali o amorosi, fatui o violenti, dove ci si gioca il senso della vita. Ma il desiderio non si compie mai, è per sua natura deviante: nella capitale del lavoro - fotografata un istante prima che si trasformi in città delle attrazioni - si smania sempre per qualcosa, e si finisce per ottenere o perdere qualcuno. E sotto la sua superficie scintillante, come nel film Metropolis, c'è un popolo che vive nelle sue viscere, un'energia barbarica, selvaggia, pronta a ribellarsi per riconquistare la città.
Ls notte della cometa è il libro della svolta di Sebastiano Vassalli verso il “romanzo storico” e il personaggio di Dino Campana è quello che ha impegnato la sua energia intellettuale e creativa più di qualunque altro.Nella fase preparatoria del suo “romanzo-verità”, Vassalli agisce da storico per un verso, frequentando archivi e biblioteche, e per l’altro si comporta da giornalista di reportage o d’inchiesta viaggiando, annotando, raccogliendo testimonianze scritte e orali. Ma nell’atto della scrittura Vassalli non teme di colmare con l’immaginazione i vuoti e le lacune di una biografia dalle ampie zone oscure.Nel ricordare il suo primo approccio giovanile ai Canti Orfici, Vassalli ammette di non aver “mai creduto, nemmeno per un attimo, nella favola del ‘poeta pazzo’”. È da qui che parte, per narrare la storia di un “demente” (tra virgolette) perseguitato dalla famiglia, dalla sua cittadina, dalla comunità scientifica, dalle autorità di polizia, infine dalla società letteraria: la vicenda del poeta vittima designata di una congiura. Come dice Vassalli: “Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e ‘mostruoso’, ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così”.Perché l’avrebbe inventato proprio così? Perché in tutta “evidenza” il Babbo Matto è, con il Sebastiano de L’oro del mondo, il personaggio più autobiografico tra i tanti che Vassalli ha narrato, per questo non avrebbe potuto che raccontarlo così e per questo non se n’è mai liberato.Paolo Di Stefano
«La vita è più forte della salvezza stessa, non ne sente affatto il bisogno, la reclama solo a parole.». Tutti i cuori sono fanatici. Quelli che ci racconta Edoardo Albinati hanno tra i venti e i trent'anni, e sono posseduti da una smania inesauribile: di capire, di essere se stessi eppure diversi, di proteggersi e bruciare. Vogliono poter desiderare senza limiti. Intorno all'amicizia tra Nanni e Nico - il nucleo centrale del romanzo - si ramificano le vicende di una folla di personaggi: studenti pigri, bambine insonni, nonne dispotiche, supplenti dalle trecce bionde, maghi e terroristi, ragazze alla pari e dj. A legarli sono sempre le parole, usate per sedurre e punire: "Cuori fanatici" è dunque un talk novel, romanzo di parole lanciate addosso e strappate di nascosto, di ragionamenti sofisticati o brutali, di chiacchierate assurde e litigi sussurrati. Albinati inaugura una nuova saga dove la posta in gioco sono le profondità oscure delle vite di ognuno di noi e le superfici scintillanti dei rapporti con cui si intrecciano. È la forza della letteratura a rendere conto dello slancio dei suoi cuori fanatici e a guidarli nel labirinto dove possono perdersi o salvarsi, e che ciascuno guardandosi allo specchio chiama: la mia vita.
"Nel cuore dell'uomo la speranza è come una fiammella: e uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l'uomo e non di quello che lo azzanna." È questo l'augurio di Antonia Arslan: che la fiammella della speranza non si spenga mai. In tempi troppo spesso bui, la segreta bellezza dell'altro è la sola fonte di salvezza, l'unica luce che possa liberarci dalle tenebre dell'intolleranza. E così non esiste crescita interiore senza condivisione, non c'è cammino senza incontro, non c'è amore per il Paese senza memoria delle origini. Lo sa bene la testimone diretta dello scambio tra popoli: lei che attendeva nella sua casa di Padova i parenti sparsi e divisi dalla diaspora, davanti ai quali spalancava gli occhi incuriosita dai racconti dei cibi armeni e dei colori vivaci delle miniature. O sempre lei che scopriva che il nonno Yerwant aveva dato ai suoi figli quattro nomi armeni ciascuno, nonostante avesse compreso che l'antica patria era perduta per sempre e avesse deciso di dedicarsi a quella nuova con inesauribile energia. Dopo esili e diaspore, partenze e abbandoni che hanno segnato indelebilmente il destino di Oriente e Occidente, navigare verso la tregua è l'unica direzione accettabile; e proprio attraverso queste pagine che narrano di meravigliosi mondi lontani, ancora una volta la scrittrice della "Masseria delle allodole" ci conduce verso l'intimo equilibrio degli affetti e la scoperta dell'altro.
Una madre che non ha avuto il tempo di esserlo. Un figlio mai cresciuto. Tra di loro, i giorni teneri e feroci, sognati eppure vividissimi che non hanno vissuto insieme. E un dialogo ininterrotto che racconta cosa significa diventare donne e uomini oggi. A più di quarant'anni dai versi che hanno disegnato i contorni di un cambiamento possibile -"Libere infine di essere noi / intere, forti, sicure, donne senza paura" - Dacia Maraini riavvolge il filo di una storia tempestosa, quella al femminile, attraverso le parole di una madre a un figlio perduto, il suo, che cammina verso la maturità pur abitando solo nei ricordi. È così che l'immaginazione si fa più vera della realtà, come accade per tutte le donne che popolano i suoi libri - Marianna, Colomba, Isolina, Teresa - e sono arrivate a noi con le loro voci e i loro corpi. Corpi che non hanno mai smesso di cercare la propria via per la felicità, pieni di vita o disperati per la sua assenza, amati o violati, santificati o temuti, quasi sempre dagli altri, gli uomini. Ed è proprio a loro che parlano queste pagine. Agli occhi di un bambino maschio non ancora uomo. Per ricordare a lui e a tutti noi, sul filo sottile ma resistente della memoria, che solo quando l'amore arriva a illuminare le nostre vite, quello tra i sessi non sarà più uno scontro ma l'incontro capace di cambiare le regole del gioco.
Genova, inverno 1992. Mentre le celebrazioni per i cinquecento anni dalla scoperta dell'America ridisegnano il fronte del porto, l'omicidio del giovane Luca sconvolge le vite di un gruppo d'inseparabili amici, svelando passioni e segreti custoditi da anni. Quando i sospetti ricadono su Teresa, la sognatrice dai capelli rossi che ama i romanzi, il caso sembra ormai chiuso, ma a rovesciare la verità di comodo ci penserà una coppia d'eccezione: Diego Ingravallo, un commissario di polizia dall'ingombrante cognome letterario, e lo psicologo Paolo Luzi, a cui un tragico passato ha conferito il dono - o la maledizione - di riconoscere le bugie di chi mente sapendo di mentire. Dagli studi di potenti avvocati ai salotti della Genova bene fino ai malinconici quartieri della città operaia, i due investigatori sprofonderanno in un abisso di paure e ossessioni. Tra i caruggi assediati dalla buriana, il grande freddo è quello che invade i cuori fino a incrinare ogni certezza, salvo una: mai sottovalutare le conseguenze dell'amore.
Alcune storie richiedono anni per compiersi, altre bruciano in un breve arco di tempo e in uno spazio che più è ristretto più le rende intense. Mentendo ai loro coniugi e forse anche a se stessi, i due protagonisti di questa storia rubano un fine settimana alla vita ordinaria, per consumare una passione nata da poco. A fine estate, s'imbarcano su un aliscafo che li porterà su un'isola dove il tempo è fermo e aspetta solo che gli amanti tocchino terra per animarsi. È un gesto rischioso, il loro, una febbre violenta, una prova da superare: ma la felicità sembra così vicina che basta allungare una mano per toccarla. Di Erri e Clementina, in fuga da tutto e al tempo stesso prigionieri dell'isola, Albinati non racconta la storia per intero ma si limita a mostrarci alcune foto, scattate nei vari momenti della loro avventura, da riguardare di nascosto e cancellare in fretta. È un racconto vibrante, sensuale, semplice e crudelmente sincero, anche se costruito su bugie, e le sue pagine si rivolgono a tutti noi: quelli a cui è capitato di vivere una relazione clandestina, quelli che serenamente la escludono o la rifuggono, quelli che in segreto la desiderano. Cosa ci attrae in una persona appena conosciuta? Perché quello che già abbiamo non ci basta? Che succede all'amore quando va tenuto nascosto?
A Palermo c'è una piazzetta abitata dalla magia, dove ogni notte sette fate, una chiù bedda di n'autra, rapiscono i passanti per condurli verso luoghi lontani e poi riportarli a casa, storditi dalla meraviglia, alle prime luci dell'alba. E in questo cortile che vive Mario Mancuso, nel cuore dell'Albergheria, tra le abbanniate dei mercanti di Ballarò e i rintocchi del campanile di Santa Chiara. Orfano, ha conosciuto solo l'affetto di zia Ninetta, che però lo abbandona al primo giro di vento, inseguendo i propri sogni. L'incontro con Melina è la sua occasione per ritrovare in una nuova famiglia il calore che il destino gli ha negato. Per lei, bella e infelice, quel ragazzo rappresenta la libertà da due genitori che l'hanno educata più alle privazioni che all'amore. Lo sposo però deve partire per Roma, dov'è stato assegnato come carabiniere semplice, così le nozze sono celebrate in fretta e furia, e con la stessa voracità vengono consumate. Forse soltanto un figlio può colmare la distanza tra marito e moglie, sempre in bilico tra tenerezza e passione; ed è così che nasce Maruzza. A legarli sarà una sottile nostalgia, la stessa che gli abitanti della piazzetta, di Paesi e colori diversi, curano ogni sera con i piatti cucinati dalla donna che tutti chiamano Mamma Africa e che sembra avere lo stesso dono delle sette fate. Con un romanzo corale e pieno di vita, Giuseppina Torregrossa racconta la necessità innata di essere accolti in un abbraccio: quello di una madre, un marito, un amico, o una città che sappia tenere aperte le porte anche nella notte.
Napoli non è una città come le altre. Napoli non è neppure una città sola. Perché sotto quella che conosciamo ce n'è una sotterranea, nascosta agli occhi del mondo, con il buio al posto della luce. Marco Di Giacomo l'aveva intuito, un tempo, quando era un brillante antropologo e aveva un talento unico nell'individuare collegamenti invisibili tra le cose. Poi qualcosa non ha funzionato e ora, ad appena quarant'anni, non è altro che un professore universitario collerico e introverso, con un solo amico, il suo impacciato ma utilissimo assistente Brazo Moscati. Considerati folli per le loro accanite ricerche sui culti antichi, i due sono costante oggetto dell'ironia di colleghi e studenti. Perciò nessuno si meraviglia quando il direttore del loro dipartimento li spedisce a fare da balie a una giornalista tedesca venuta in Italia per scrivere un pezzo sensazionalistico sui luoghi simbolo dell'esoterismo. Per liberarsi della seccatura, Marco chiede aiuto a sua nipote Lisi, ricercatrice anche più geniale dello zio ma con una preoccupante passione per le teorie complottiste. I quattro s'imbatteranno in una lunga catena di reati e strani eventi, scoprendosi parte di un disegno che potrebbe coinvolgere l'intera umanità. Soltanto Maurizio de Giovanni poteva scrivere questo romanzo, che nasce dalla conoscenza profonda di una città e della sua gente ma si spinge molto più lontano, mettendo in discussione tutte le categorie, comprese quelle letterarie, per inseguire una verità che forse avevamo davanti da sempre e non abbiamo mai voluto vedere. E questo è l'inizio. Solo l'inizio.
C'è un quartiere vicino alla città ma lontano dal centro, con molte strade e nessuna via d'uscita. C'è una ragazzina di nome Adele, che non si aspettava nulla dalla vita, e invece la vita le regala una decisione irreparabile. C'è Manuel, che per un pezzetto di mondo placcato oro è disposto a tutto ma sembra nato per perdere. Ci sono Dora e Fabio, che si amano quasi da sempre ma quel "quasi" è una frattura divaricata dal desiderio di un figlio. E poi c'è Zeno, che dei desideri ha già imparato a fare a meno, e ha solo diciassette anni. Questa è la loro storia, d'amore e di abbandono, di genitori visti dai figli, che poi è l'unico modo di guardarli. Un intreccio di attese, scelte e rinunce che si sfiorano e illuminano il senso più profondo dell'essere madri, padri e figli. Eternamente in lotta, eternamente in cerca di un luogo sicuro dove basta stare fermi per essere altrove. Silvia Avallone ha parole come sentieri allungati oltre un orizzonte che davamo per scontato. Fa deflagrare la potenza di fuoco dell'età in cui tutto accade, la forza del destino che insegue chi vorrebbe solo essere diverso. Apre finestre, prende i dettagli della memoria e ne fa mosaici. Sedetevi con lei su una panchina e guardate lontano, per scoprire che un posto da dove la vita è perfetta, forse, esiste.
Nel libro Antona Arslan ridà vita alle vicende di donne che combattono per il proprio futuro e per restare se stesse, che hanno saputo ricostruirsi una vita quando tutto sembrava perso. C'è chi è scappata da situazioni politiche difficili, chi ha deciso di tornare nella propria patria perduta e chi si è realizzata in un nuovo mondo. Sono storie di destini affermativi, racconti capaci di intrecciare il passato e il presente. Ieri e oggi convivono perché per tantissime donne crearsi una strada alternativa è rimasto - anche ai nostri giorni - quasi impossibile. Servono forza, intelligenza e fortuna. E il coraggio di dichiararsi in rivolta.
Su una spiaggia alla foce del Tagliamento, una famiglia come tante trascorre l'estate tra grigliate sotto le stelle, caccia ai granchi in riva, gelati e aranciata fresca. Gianni, il padre, va e viene dalla città; Anna, la madre, passa il tempo sotto l'ombrellone, fa le parole crociate cullata dalla musica degli Abba mentre i figli giocano sul bagnasciuga. È allora che tutto cambia: un attimo, una distrazione, e la vita non sarà più la stessa. Era il 1980. Per Bruno ed Emma quello è stato l'"anno brutale", l'anno in cui loro, i figli, si sono ritrovati a raccogliere i cocci di una famiglia distrutta e riempire i vuoti sostenendosi a vicenda, mentre i genitori e il mondo intero andavano alla deriva. Adesso sono grandi, Emma è diventata mamma, Bruno si occupa di impianti fotovoltaici e cammina sui tetti scrutando le finestre dei palazzi di fronte cercando di immaginare la vita delle altre famiglie, quelle felici. Da lassù il passato sembra lontanissimo, ma basta una telefonata per farlo tornare: dopo trent'anni di assenza, il padre in fin di vita vuole farsi perdonare e chiede un'ultima cena intorno al tavolo, "come una famiglia vera". Con una voce attenta e sensibile, Marco Franzoso racconta attraverso una storia di legami profondi e illusioni infrante un'Italia che cambia all'improvviso. E dove l'unico modo per resistere è stringersi l'un l'altro, nonostante tutto. Per trovare le vie possibili di una riconciliazione tardiva.
Molti anni fa, Carlo Malaguti ha ucciso. Da allora, la pena più dura non è quella che sta scontando nel carcere di Trieste, ma l'ostinato silenzio in cui ha seppellito la propria verità sul delitto, rinunciando persino a difendersi in tribunale. Tra le mura della sua cella sembra aver trovato un riparo dal rumore del mondo che lo aiuta ad affrontare la tenebra che sente dentro di sé. Adesso però Malaguti ha più di ottant'anni e un giudice ha stabilito che deve tornare libero. Ma libero di fare cosa? Di confessare? Di uccidere ancora? Sono queste le domande che non danno pace a Luca Rainer, stimato traduttore sulla soglia critica dei quaranta. I due non si conoscono, ma qualcuno vuole farli incontrare, sapendo che a legarli può esserci molto più di una fervida passione per la letteratura. Entrare nel labirinto fortificato che è la mente di Malaguti è un'impresa ardua: Rainer dovrà mostrarsi degno dei segreti che l'assassino custodisce, battersi con l'immensità della sua solitudine, e provare il sapore acre della paura.
Il Turista è un serial killer perfetto, diverso da ogni altro. Tanto per cominciare, non "firma" i suoi omicidi e non lancia sfide ai detective, perché farsi catturare è l'ultimo dei suoi desideri. È un mago del camuffamento, non uccide secondo uno schema fisso e mai due volte nella stessa città o nello stesso Paese: per questo lo chiamano il Turista. In più, non prova empatia né rimorso o paura, esercita un controllo totale sulla propria psicopatia. In altre parole, è imprendibile, l'incubo delle polizie di tutta Europa. Anche il più glaciale degli assassini, però, prima o poi commette un passo falso che lo fa finire in gabbia. Succede a Venezia - il territorio di caccia ideale per qualunque assassino - e la gabbia non è un carcere: è una trappola ben più pericolosa, tesa da qualcuno che in lui ha scorto la più letale delle opportunità. Anche Pietro Sambo ha fatto un errore, uno solo ma pagato carissimo. Adesso, ex capo della Omicidi, vive ai margini, con il cuore a pezzi. Poi arriva l'occasione giusta, quella per riconquistare onore e dignità. Ma per prendere il Turista dovrà violare di nuovo le regole, tutte, rischiando molto più della propria reputazione. Massimo Carlotto ci ha abituato a spingere i confini dei generi dove nessuno è mai arrivato. Per scrivere il suo primo thriller ha fatto saltare ogni paradigma, costruendo una macchina narrativa che non offre certezze se non quella dell'adrenalina che mette in circolo.
È la sera giusta, per Elias. Dopo la partita a calcetto e le lezioni all'università di Cagliari, è impaziente di partecipare alle prove del coro, dare un passaggio verso casa a Violetta e, vincendo la timidezza, confessarle il proprio amore. È la sera sbagliata, invece. Perché dopo averla lasciata davanti al portone, incapace di parlare, lui risale in macchina e va incontro a un destino buio. Quella notte, infatti, investe una giovane donna che muore sul colpo. E anche il suo futuro si spezza. Dopo l'incidente il senso di colpa è troppo grande: si chiude in camera, non vede più nessuno. Non parlare, non muoversi, sperando di sentire il meno possibile, sono gli imperativi del suo giudice interiore. Elias si infligge un percorso ascetico in fondo al proprio dolore, che pare senza uscita. Due anni. Finché, un passo alla volta, decide di abbandonare la Sardegna e cercare una sua strada, altrove... Ed è così che succede: il vento soffia di nuovo inarrestabile, e porta con sé un presente da reinventare e il coraggio di affrontare tutto ciò che verrà.
Telbana, Egitto: in questo piccolo paese a nord est del Cairo, dove il colore dei campi si fonde col rosso delle case incompiute e dei vicoli sterrati, vive Selim. Suo padre gli ha insegnato il rigore e il senso di sacrificio, negandogli i desideri: "Devi allungare i piedi fino a dove c'è la coperta". Ma Selim è tenace e non si accontenta della vita che il destino gli ha riservato, e così, con l'incoscienza e la forza dei suoi diciassette anni, attraversa il deserto e la Libia, fino a raggiungere il mare e imbarcarsi per l'Italia. Dopo fatiche, stenti e preghiere sussurrate, il viaggio lo conduce in Sicilia, insieme a centinaia di migranti in cerca di sogni. Il suo è il più grande e ambizioso: vuole un riscatto dall'infanzia che si è lasciato alle spalle, parlare l'italiano meglio degli italiani, costruirsi un futuro. È una strada tortuosa, che sembra impossibile, ma Selim non si arrende e, tra cadute e risalite, cerca il proprio posto in una Milano che non regala niente a nessuno. Selim non è solo. Dentro e accanto alla sua vita ne scorrono altre, meno luminose ma altrettanto esemplari: la dolce Marlene, il ruvido Haymon, l'amico Tawfik e alcuni misteriosi angeli protettori. In un mondo che cambia velocemente alziamo barriere per difenderci da ciò che non conosciamo.
È la primavera di un anno terribile, il 1917, quando Maria Rosa Radice a poco più di vent'anni lascia gli agi della sua casa a Napoli. Scappa da sua madre, dal salotto aristocratico che fino ad allora è stato il suo unico, soffocante orizzonte. La destinazione è la sola possibile per una donna non sposata e in fuga: il fronte. L'impatto della guerra è brutale. In un piccolo ospedale sul Carso cura centinaia di feriti, li vede soffrire e morire. Ma c'è una luce nelle sue giornate, una scintilla di cui si accorge poco a poco. È la sua silenziosa compagna di stanza Eugenia Alferro, una provinciale del Nord che sogna di diventare medico. Giorno dopo giorno, le insegna a sopravvivere in corsia e a superare la paura. La guerra regala alle due ragazze una libertà altrimenti impossibile. Così, nel tempo, avvertono una passione inattesa crescere tra loro e a mezza voce, la notte, si dichiarano l'amore. Non sanno se il futuro permetterà loro di rimanere vicine, entrambe però sentono di essere cambiate. Ora sono pronte a lottare per restare se stesse. In un romanzo vibrante, Elisabetta Rasy racconta la guerra dalla prospettiva misconosciuta delle donne al fronte. Ritraendo un'intimità limpida ma circondata dalle tenebre, ci mostra come l'amore non abbia mai avuto confini, perché i sentimenti esplodono sempre senza chiederci il permesso.
Ivan Sciarrino è un killer molto particolare. Forse il piu spietato. Perché alle sue vittime non toglie la vita, toglie l'amore. I suoi committenti sono uomini d'affari disposti, pur di rovinare i nemici, a ricorrere alle armi non convenzionali dell'innamoratore, colpendo le loro mogli e distruggendo i loro matrimoni. Un gigolò? No. Un truffatore? Neanche. Solo qualcuno dotato di un'innata, diabolica capacità di ascoltare le donne, scoprendo cosa desiderano davvero. Eppure per Ivan non si tratta solo di lavoro: è quello che prova a spiegare ai due carabinieri che lo stanno interrogando in ospedale, dove si trova dopo che qualcuno gli ha fatto esplodere l'auto. Già, perché l'ultimo incarico è finito male, con la sua macchina che saltava in aria e Soraya, splendida italo marocchina dagli occhi chiari e una timidezza quasi infantile, che pare scomparsa nel nulla. Lei che doveva essere la preda... e invece Ivan se ne è innamorato. Perché questa è la sua regola, l'unico metodo: per catturare il cuore di una donna, deve prima aprire il suo e donarglielo senza mezze misure. Ma a quale prezzo? E dove sta il confine tra vittima e carnefice?
Cosa faresti se la tua bambina avesse paura di andare a scuola? Cosa le diresti per convincerla a farsi coraggio? Per la sua nipotina Ada, Teresa inventa un gioco: ogni volta che una cosa bella sembra finire, bisogna aguzzare le orecchie e prestare attenzione ai rumori. Solo così si possono riconoscere quelli delle cose che iniziano. Alcuni sono semplici e hanno dentro una magia speciale: un'orchestra che accorda gli strumenti, il vento in primavera, il tintinnio delle tazze riempite di caffè ... Ma nella vita non sempre sappiamo riconoscere le cose belle. Quando perdiamo fiducia in noi stessi, quando qualcuno ci tradisce, o ci dice addio, sembra che nulla possa davvero iniziare. Ada ci pensa spesso, ora che nonna Teresa è ammalata. Nei corridoi dell'ospedale la paura di restare sola è così forte da toglierle il respiro, ma bastano due persone per ricordarle che si può ancora sorridere: Giulia, un'infermiera tutta d'un pezzo, e Matteo, che le regala margherite e la sorprende con una passione imprevista. Perché è proprio quando il mondo sembra voltarti le spalle che devi ascoltarne i rumori, e farti trovare pronta. Guardati intorno, allunga la strada, sbaglia a cuor leggero e ridi più spesso che puoi. Ogni volta che qualcosa finisce, da qualche parte ce n'è un'altra che inizia.
Roma, anni Settanta: un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell'epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati era un loro compagno di scuola e per quarant'anni ha custodito i segreti di quella "mala educacion". Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo, che sbalordisce per l'ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana, alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: "Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?". Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l'amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.
Ci sono sogni capaci di metterci a nudo. Sono schegge impazzite, che ci svelano una realtà a cui è impossibile sottrarsi. Lo capisce appena apre gli occhi, il maestro Nani Sapienza: la bambina che lo ha visitato nel sonno non gli è apparsa per caso. Camminava nella nebbia con un’andatura da papera, come la sua Martina. Poi si è girata a mostrargli il viso ed è svanita, un cappottino rosso inghiottito da un vortice di uccelli bianchi. Ma non era, ne è certo, sua figlia, portata via anni prima da una malattia crudele e oggi ferita ancora viva sulla sua pelle di padre. E quando quella mattina la radio annuncia la scomparsa della piccola Lucia, uscita di casa con un cappotto rosso e mai più rientrata, Nani si convince di aver visto in sogno proprio lei. Le coincidenze non esistono, e in un attimo si fanno prova, indizio. È così che Nani contagia l’intera cittadina di S., immobile provincia italiana, con la sua ossessione per Lucia. E per primi i suoi alunni, una quarta elementare mai sazia dei racconti meravigliosi del maestro: è con la seduzione delle storie, motore del suo insegnamento, che accende la fantasia dei ragazzi e li porta a ragionare come e meglio dei grandi. Perché Nani sa essere insieme maestro e padre, e la ricerca di Lucia diventa presto una ricerca di sé, che lo costringerà a ridisegnare i confini di un passato incapace di lasciarsi dimenticare. Con questo romanzo potente, illuminato per la prima volta da un’intensa voce maschile, Dacia Maraini ci guida al cuore di una paternità negata, scoprendo i chiaroscuri di un sentimento che non ha mai smesso di essere una terra selvaggia e inesplorata.
Un doppiopetto grigio, il Borsalino in mano, un velo di brillantina sui capelli, lo sguardo basso. Sotto un cielo che affonda nel rosa di un tramonto infinito, un ragazzo degli anni Cinquanta torna dal passato, si ferma sul pianerottolo della casa di famiglia e aspetta il figlio, ormai adulto. Com'è possibile? E perché è tornato ora, dopo tanto tempo? Sono due sconosciuti, ma sono padre e figlio. Insieme per la prima volta e solo per una sera, provano a raccontarsi le loro vite, quello che è stato e quello che poteva essere, la storia di due generazioni vicine eppure diversissime. Le parole dell'infanzia, i paesaggi, i volti trasformati dal tempo; e Roma, quella più bella. Quella della radio, e della televisione che quel ragazzo timido e geniale ha contribuito a fondare. Ma qual è l'eredità di un padre che non c'è mai stato? Forse la malinconia, certe tristezze improvvise, la voglia di scherzare e di prendersi in giro, il ricordo commosso della donna che li ha amati. In un viaggio attraverso il dolore della perdita e la meraviglia della ricerca delle proprie radici, le parole si mescolano e si intrecciano fino a rivelare ciò che li unisce davvero. Perché non smettiamo mai di cercare il padre.
C'è un momento preciso della vita in cui, se ti guardi indietro, senti che sei diventato adulto. È l'istante in cui accetti di essere fragile. Laury, quella svolta, non l'ha ancora avuta. A quasi settant'anni si sente una ragazzina assieme al suo gruppo di amici fricchettoni, un mucchio di teste leggere e generose che le hanno riempito la vita. Quel momento non è arrivato neppure per sua figlia Elena, trentasette anni e un anonimo posto da impiegata alla Softy. Dal suo ufficio guarda il mondo a distanza, senza mai abbandonare una dieta a basso contenuto di emozioni. È rimasto fermo allo stesso punto anche Yves, nonostante i continui giri sulla Senna con la sua chiatta. Ogni settimana cena al bistrot della bella Beatrice, per la quale ha un debole da tempo, eppure non ha mai trovato il coraggio di farsi avanti... Cosa hanno capito di se stessi, dopo tanti anni? Forse poco. Ma a volte è il destino a metterti davanti agli occhi quello che sei. Così, quando tutto precipita, Laury non può più fingere di essere la leonessa dei suoi vent'anni ed Elena deve ammettere che ha bisogno dei sentimenti. E Yves, il coraggio per lasciarsi andare, dovrà cercarlo a ogni costo.
Quel che l'autore ci propone è un viaggio innamorato e capriccioso nella lirica d'ogni tempo e Paese: cogliendo l'occasione di una rubrica giornalistica, Siti ha scelto e commentato testi che spaziano dall'antica lirica greca alla contemporaneità, attraverso il misticismo medievale e il barocco seicentesco, e poi il simbolismo e oltre. Nella grande varietà dei contesti, la lirica mantiene comunque e sempre un'aria di famiglia - legata all'idea che il poeta sia il trascrittore di parole che giungono da Altrove: che si chiami Dio, o il vuoto dello zen, o l'inconscio, o la segreta alchimia della natura. O la follia, perfino. Quella della poesia è una lingua speciale che si stacca dagli stereotipi quotidiani, facendoci sentire che comunicare e basta è toppo poco. Ora che la lirica, almeno in Occidente, sembra entrata in un cono d'ombra (lacerata com'è tra nostalgia e insopportabile semplificazione), questa mini ma e tendenziosa antologia può funzionare da antidoto, purché il lettore si attenga a semplici istruzioni per l'uso: 1) non leggere le pagine per ordine ma saltare, seguendo l'estro personale o costruendosi categorie alla Borges (i trentenni, i suicidi, gli omosessuali, gli spagnoli...); 2) dare un'occhiata all'originale anche quando non ne conosce la lingua; 3) leggere prima la poesia, poi il commento, poi di nuovo la poesia, che allora si aprirà come quei fiori liofilizzati che immersi in acqua ritrovano la primitiva bellezza.
Di Giulia Di Marco esiste una storia ufficiale, che il tribunale dell'Inquisizione le ha cucito addosso nel Seicento: un'eretica, colpevole di aver sedotto e traviato l'intera Napoli. Poi esiste la storia vera, quella di una religiosa che ha dedicato la vita a soccorrere gli altri, prendendo il nome di "suor Partenope", come la Sirena che protegge la città e che rivive in tutte le sue donne. A loro indica una via nuova verso Dio: l'estasi, una comunione diretta dell'anima ma anche del corpo, senza la mediazione dei sacerdoti. Venerata come una santa, Giulia apre una voragine nell'ordine delle cose, sovvertendo regole e gerarchie. Occhi pericolosi si spalancano su di lei, occhi che non si chiudono neanche di notte: quelli del nemico più temibile, il Papa. Portata a Roma con la forza, Giulia conosce il dolore e l'umiliazione, ma rinasce giorno dopo giorno al fianco di un amico speciale, Gian Lorenzo Bernini, la cui ingenuità in amore si rivelerà grande soltanto come il suo genio.
L'amicizia, il desiderio, l'arte, l'avventura di due amici che sfidano il passare del tempo. "Dell'infanzia non mi ricordo proprio niente. Solo una cosa continuo a ricordarla." "Quale?" "Il momento preciso in cui ho imparato ad andare in bicicletta. Sarò banale, ma che felicità! Proprio la felicità! E stamattina, come per incanto, per la prima volta, mi sono ricordato anche il momento successivo." "Il momento in cui sei caduto." "Come cazzo fai a saperlo?" "È stato così per tutti. Impari a fare una cosa, sei felice, e ti dimentichi di frenare." "Non è una grande metafora della vita?" "Ora non traiamo conclusioni affrettate, Mick." Proprio allora un ragazzino di undici anni passa in sella a una mountain bike. Fa tutta la strada su una sola ruota, in velocità, silenzioso come un fantasma. I due amici si voltano a guardarlo, estasiati. Poi Fred riflette e dice: "Sai una cosa Mick?". "Cosa?" "Io e te, secondo me, non moriremo mai." La sceneggiatura del film che si legge come un romanzo.
Esiste una città più raccontata di Napoli? Esiste una città altrettanto presente nell'immaginario collettivo, con il suo bagaglio di luoghi comuni secolari - e non sempre lusinghieri? Probabilmente no. Napoli la conosciamo tutti, e allora perché andarci, si domanda Antonio Pascale. Ma se proprio non si può resisterle, il suo consiglio è limitarsi a guardarla dall'alto della terrazza di Castel Sant'Elmo: tanto "Sotto di voi c'è tutta Napoli. Vedete tutto, ogni cosa. Il mare di fronte a voi e la speculazione edilizia dietro di voi." Giù in basso invece c'è "una palude in agguato, particolari sabbie mobili non segnalate e tutti, anche i più attenti, possono caderci." Ma Pascale sa che il visitatore si lascerà fatalmente vincere dalla tentazione di andare a guardare da vicino. Ecco che allora "Non scendete a Napoli" si offre, un po' controvoglia, di accompagnarlo in luoghi inusuali (un modernissimo garage scavato nel cuore di una grotta, il mercato ittico, la stazione marittima...), ma parla anche ai napoletani: attenti, perché chiediamo legalità e poi finiamo a comprare prodotti contraffatti che ingrassano la Camorra; attenti, perché a forza di sentirci eccezionali siamo rimasti ultimi e soli. In questo libro, mai indulgente ma sempre giocato sul filo del paradosso, dell'ironia, del rovesciamento, Antonio Pascale rivolge il suo odi et amo alla città in cui è nato. E nel momento in cui cerca di tenercene a distanza ci spinge a comprenderla a fondo e a guardarla in faccia.
"I ricordi, usciti dalle loro scatole, dilagano nel cuore e prendono possesso della mente." Così, guardando il cortile dalla finestra, una donna torna bambina. Lì, a Padova, dentro e fuori da quella casa, Antonia per la prima volta ha ascoltato il nonno Yerwant raccontare le storie vitali e poi tragiche dei suoi fratelli armeni. Lì, ha vissuto gli anni della guerra, con le bombe dell'aereo Pippo e i tedeschi in città, ma sempre insieme alla mamma Vittoria, lunatica e bellissima, che infilò un maialino sotto il cappotto, fingendosi incinta per nasconderlo ai nazisti, e al nonno, che la tenne con sé a chiacchierare al buio, durante l'ultimo bombardamento nel 1945. I ricordi della Bambina invecchiata si spalancano, avventurosi e intimi, e ci conducono verso altri luoghi dell'infanzia, costellati da figure umanissime. Ma ci portano anche al cuore di un periodo cruciale per l'Italia tutta. La guerra, la sua fine, gli anni Cinquanta e Sessanta. E poi gli amori della protagonista e i suoi viaggi in Grecia, i racconti di un'Armenia che ha messo radici in lei ma soprattutto la scoperta dei libri e del loro prodigioso potere...
Non esistono colpe, se nessuno paga. Lo sgomento nel cuore di Palma è sconfinato, quando ritrova sua sorella in punto di morte. È tutta colpa di quello che le hanno fatto. E Maria Rosaria in fondo si era solo innamorata di Cosimo Logreco, il primogenito di una famiglia poco raccomandabile. Lei che era sempre stata la bella del paese, che ogni anno vestiva i panni della vergine durante la processione, ha perso famiglia e futuro in un istante. Quando con una borsa e niente più si è presentata a casa del ragazzo, la sorella di lui l'ha fatta entrare e, promettendole di portarla da Cosimo, l'ha scortata fino a una masseria cadente; allora è successo tutto e tutto è finito. Lei era incinta. Per Palma è impossibile dimenticare, l'impotenza la logora, nonostante siano passati anni e con il marito e la figlia piccola si possa dire felice. Nel momento in cui vede la sorella di Cosimo al sesto mese e piena di gioia qualcosa di primitivo nasce in lei. Prepara la propria vendetta con minuzia. In una lingua asciutta e aspra, capace di guardare alla tragedia con quieta disperazione, Carmen Totaro ci racconta una storia ancestrale e attualissima. Ci descrive un mondo costellato da donne, sempre in bilico tra grazia e orrore, ma le cui leggi sono ancora brutalmente stabilite dagli uomini.
Donne fiere che non cedono a minacce né a lusinghe, pronte ad affrontare il loro destino. Donne misteriose che compaiono e scompaiono nel volgere di un viaggio in nave. Donne soavi e inebrianti, come la Sicilia. Donne scandalose, perché non hanno paura di prendere ciò che è loro, compresa la libertà. Semplicemente, donne. Sono loro le protagoniste di questo libro, viste da un Andrea Camilleri in carne e ossa, prima di diventare lo scrittore più amato d'Italia. È il ragazzino timido che scopre il piacere di riaccompagnare a casa una compagna di classe, magari tenendola per mano. È il diciassettenne che di fronte al volto intenso e tenero di una diva del cinema scoppia in lacrime e decide di abbandonare la sua terra. È il giovane che in piena notte corre ad Agrigento in bicicletta, sotto il diluvio, per raggiungere una statuaria bellezza tedesca ossessionata dall'igiene. È il marinaio improvvisato che, nell'estate del '43, durante un bombardamento soccorre una bambina, e grazie al miracolo di un abbraccio riesce a dimenticare orrori e distruzione. Un intimo, giocoso catalogo delle donne che nel corso dei secoli gli uomini hanno di volta in volta amato e odiato. Un viaggio di scoperta della seduzione, del sesso e di quel formidabile, irrisolvibile enigma che è l'universo femminile.
Il Golgota non è certo la meta ideale dove distrarsi per uno storico romano di passaggio a Gerusalemme. Ma Valerio Massimo a quel colle brullo e stranamente animato arriva per caso, e proprio quando un condannato sta per essere crocifisso. Chi è e cos'avrà mai fatto quell'uomo esile, dall'aria mite, per essere punito con una morte tanto crudele? E cosa significa quella scritta, INRI, apposta sulla sua croce? Da quando lo vede, Valerio Massimo, allevato nella salda concezione della realtà e della cultura di Roma, uomo cinico e razionale, non è più lo stesso e inizia a interrogarsi senza sosta su quella condanna. E mentre a tutti appare assurdo l'interesse di un cittadino romano per un galileo inchiodato a due assi di legno, la sua indagine lo condurrà sulle orme di Yehoshua, lungo strade impolverate e infide, alla ricerca di chi lo ha conosciuto, di chi ha ascoltato, senza capirle, le sue parole e lo ha visto compiere prodigi già dimenticati. Mettendo in pericolo la sua stessa vita concluderà che si è trattato della morte di un innocente, colpevole solo di non aver compreso davvero il mondo con le sue piccolezze e false leggi, tradito e abbandonato persino dai suoi discepoli. Un fallito, non un vincitore, eppure agli occhi di Valerio Massimo un uomo più potente, nella sua debolezza, dei potenti che lo hanno condannato.
Ai piedi del monte Ros, impassibile nella sua armatura di ghiacci, dimora degli dei, centro del mondo conosciuto, si estende una pianura fitta di boschi e pericoli. In questa terra a sud delle Alpi, disabitata e talmente inospitale che nel 101 a. C. non ha ancora un nome, sono schierati uno di fronte all'altro, su una superficie lunga chilometri, i due eserciti più grandi del continente. Duecentomila uomini pronti a combattere corpo a corpo, a massacrarsi fino allo stremo: a fare la guerra nel modo in cui la guerra veniva fatta oltre due millenni fa. Da una parte un popolo di invasori, anzi di "diavoli", che ha percorso l'Europa in lungo e in largo, portando distruzione ovunque, ed è dilagato nella valle del Po saccheggiando città e villaggi, mettendo in fuga gli abitanti. È il popolo dei Cimbri, invincibile da vent'nni e deciso, forse, ad attaccare persino Roma. Dall'altra parte c'è il console Caio Mario, l'uomo nuovo della politica, con il suo esercito di plebei ed ex schiavi, l'ultimo in difesa dell'Urbe. Quella che stanno per affrontare non è una battaglia, è lo scontro tra due civiltà al bivio cruciale della sopravvivenza, è un evento destinato a cambiare la Storia. "Terre selvagge" è un viaggio nel tempo, in un'Italia ancora misteriosa, così vicina e così lontana da quella che conosciamo. È il racconto di una pagina drammatica della vicenda umana, finora avvolta da incertezze, falsità e malintesi.
"È tutto accaduto, più o meno". È l'incipit di un grande romanzo e peccato sia stato già scritto da Kurt Vonnegut, perché sarebbe l'attacco ideale per questa storia. Anzi, per queste storie. I due protagonisti - e autori - sono fratelli ma non si frequentano molto, forse nemmeno si sopportano molto. Vite diverse, caratteri diversi e forse anche qualche lontano rancore, lasciati covare sotto la cenere per troppo tempo. Adesso però gli tocca stare insieme, almeno per qualche ora: devono dare un'ultima occhiata alla casa di villeggiatura della loro infanzia - la casa nel bosco - prima di consegnare le chiavi al nuovo proprietario. Sembra solo un adempimento banale anche se un po' triste e invece diventa l'occasione, inattesa e sorprendente, per un viaggio nella memoria, per una riconciliazione, per un inventario buffo e struggente di oggetti, luoghi, odori, storie e soprattutto sapori. In una sequenza di dialoghi fulminanti, comici e commoventi, Gianrico e Francesco Carofiglio (rigorosamente disposti in ordine di anzianità) percorrono il crinale sottile che divide affetto e rivalità, divertimento e malinconia, nostalgia e disincanto. Un memoir a quattro mani che racconta di amicizie perdute, di amori rubati, di vecchi fumetti e di torte di ricotta. Un ricettario, non solo metaforico, dell'infanzia, dell'adolescenza e di un'età adulta ancora capace di riservare sorprese.