La contemporaneità ha riscoperto il valore della cura, come pratica fondamentale per la costruzione di un mondo umano. Questo volume è il primo in Italia ad affrontare il tema con uno studio analitico della letteratura internazionale che, nel secolo scorso, ha portato all'attenzione e formalizzato la riflessione sull'etica della cura. Il testo ricostruisce lo sviluppo del dibattito sulla cura, mettendo in evidenza punti di forza e punti critici. In seguito, partendo dalla constatazione che le argomentazioni teoriche prodotte spesso mancano di riferimenti concreti all'esperienza, la parte centrale presenta una diversa interpretazione dell'etica della cura, definita "etica melaretica", che viene costruita tenendo insieme la ricerca sull'esperienza (ricerca empirica) e l'analisi dei testi della filosofia antica (ricerca teoretica), dove già il concetto di cura era essenziale e dove si trova formulata un'idea esperienziale, situata, dell'etica. Questa sintesi permette di riprendere criticamente temi come la relazione con l'etica delle virtù, l'opposizione con l'etica sistematica o etica delle regole, il ruolo delle emozioni e il valore dell'etica della cura per la politica.
In questi testi, scritti tra il 1964 e il 1993, il grande studioso francese, instancabile 'viaggiatore' di differenti mondi interiori ed esteriori, delinea un itinerario appassionato alla ricerca di un modo nuovo di pensare e di vivere la singolarità dell'opzione cristiana. Il cristiano contemporaneo, egli dice, si ritrova privo di certezze cui poggiarsi, non ha più il facile appiglio di istituzioni e pratiche consolidate: una situazione che condivide con l'«uomo comune» che de Certeau ha messo al centro di tutta la sua opera, l'uomo ogni giorno posto di fronte alla sfida del quotidiano, comune ma mai banale, anzi creativo, unico e speciale nell'intercettare l'esperienza concreta, la vita. E allora, come può quest'uomo, questo cristiano, trovare e percorrere il «sentiero non tracciato» che lo porti a pensare la sua fede e a inserirla positivamente nella società in cui vive? Immaginando i mondi possibili a partire proprio dal reale in trasformazione che si offre ai suoi occhi, prendendosi il rischio dell'incontro con la povertà non solo fisica, ma soprattutto spirituale: povertà di luoghi di identità religiosa, psichica, sociale; povertà come carattere ormai distintivo anche del credente contemporaneo. Perché è a quel punto che la «debolezza del credere» mostra la sua forza, evoca gesti e parole nuove per dar carne alla fede nell'oggi, suscita quel desiderio insaziabile e quella speranza senza pari che ci salva, nello scorcio di Novecento di de Certeau come nel nostro tempo di transizione radicale. Riproposti qui in una nuova edizione italiana, questi testi diventano allora per noi parole profetiche provenienti da un'intelligenza abbagliante, da un pensiero incisivo che non fa sconti alle facili consolazioni e convenzioni del discorso religioso, ma va dritto all'essenziale. Al fuoco, alla passione che devono agitare l'esperienza di fede. Prefazione di Stella Morra.
Il libro intende analizzare le etiche del care prendendo in considerazione la loro strutturazione in quanto teorie morali e mettendo a fuoco i principali argomenti addotti a loro supporto. Le etiche del care vengono così dibattute dal punto di vista dei fondamentali settori della metaetica (soprattutto la psicologia e l'epistemologia morale), dell'etica normativa e dell'antropologia che è in qualche modo presupposta. Questa analisi propone anche un confronto con i principali avversari teorici delle etiche del care, definibili globalmente come etiche della giustizia, con lo scopo di mostrare pregi e difetti tanto delle prime quanto delle seconde. Infine, largo spazio è lasciato allo studio delle conseguenze pratiche e dei comportamenti che si ispirano alle etiche del care.
L'identità di ciascuno è attraversata dalle relazioni: alcune istituite dalle nostre scelte e azioni, altre che ci precedono, altre che semplicemente intessono la nostra storia senza che ce lo proponiamo. Il nostro essere esseri in relazione fa sì che anche l'atto libero, che esprime chi siamo, appartenga immediatamente alla pluralità umana, se ne nutra e al tempo stesso vi sia esposta. In queste dinamiche acquista una particolare importanza la questione del perdono che, nel contesto contemporaneo, è stata rimessa teoreticamente in gioco anche a partire dai grandi avvenimenti storici del ventesimo secolo. Il perdono è attraversato da una serie di paradossi: la sua necessità per liberare l'altro e la gratuità della sua realizzazione, la libertà ma anche l'irreversibilità dell'azione umana, l'inescusabilità del misfatto come condizione di possibilità del perdono stesso. Il testo indaga questa figura dell'ethos scandagliando i rapporti tra la colpa e la debolezza, tra il pentimento incapace di assolvere e il perdono in assenza di pentimento, ma anche il ruolo della sensibilità, del risentimento e della malafede, della distinzione tra malfattori e vittime insieme alla comune fragilità dell'umano. Il perdono richiede poi di indagare la struttura temporale dell'esistenza, intrecciando memoria, oblio e apertura al futuro, mantenendo traccia della storia e insieme percorrendo il sentiero di una reciproca liberazione. Proprio in quest'ottica occorre affrontare anche il nesso che intercorre tra perdono e punizione e tra perdono e giustizia, interrogandosi sulla sensatezza etica di un eventuale e paradossale dovere di perdonare. L'itinerario che qui si proponepassa attraverso il confronto con alcuni dei più acuti pensatori della contemporaneità quali Jankélévitch, Derrida, Arendt, Ricoeur, Guardini, ma anche con testimoni della storia che hanno riflettuto, con prospettive a volte diametralmente diverse, sul proprio vissuto e su alcuni degli accadimenti tragici del Novecento.
Al fine di navigare meno pericolosamente in questa epoca di transito, in questo volume Giuseppe Colombo scandaglia le proposte dell'universale antropologico dell'umanesimo classico e del post-umano. Entrambe, quando definiscono il 'genere uomo', presumono di formulare un giudizio universale pacificante. L'antico e il nuovo Edipo conosce l'essenza dell'uomo e annienta la Sfinge, il caos: sapere è potere. Quando però si tratta di passare dalla conoscenza del genere astratto a quella del singolo concreto, la riduzione antropologica dell'universale (l'essenza 'eterna') al particolare (l'uomo in carne e ossa 'finito') si incarica di 'esistenzializzare' e 'personalizzare' il male, la sofferenza, la morte. Viene allora annientata la presunzione di conoscere e dominare il proprio io e il proprio destino. L'Edipo trionfante si rovescia nell'Edipo annichilito. S'impone allora una radicale rivisitazione dell'universale antropologico.
Ancora Antigone? Il saggio di Alessandra Papa mostra quanti e differenti motivi ci siano per rileggere e ripensare la tragedia di Sofocle. Una tragedia a sé, che nella storia è stata oggetto di diverse riscritture teatrali e interpretazioni filosofiche, ma che resta capace di riproporre differenti piani di racconto dell'umano: quelli della libertà, della disobbedienza civile, della cittadinanza e dell'identità fra tutti. Tale saggio si presenta, perciò, come un originale e ostinato tentativo di tenere a mente i diversi insegnamenti che Antigone ci offre, ancora oggi, attraverso quel "diritto di piangere" che ci costringe a riflettere, ma mai abbastanza, sugli effetti rovinosi di una ragione di Stato dispoticamente applicata, che batte la coda negli interstizi del male banale, spingendoci ogni volta più lontano dalle leggi degli dei, dai diritti umani, dalla persona umana. Il libro si presta a una riflessione antropologica e politica 'colta', ma è anche un utile strumento di studio per approfondire la lettura dell'Antigone di Sofocle in una prospettiva filosofica originale, che passa attraverso le interpretazioni più rilevanti - da Hegel al pensiero femminile contemporaneo - e le riscritture teatrali novecentesche più significative, da Zambrano, ad Anouihl a Brecht.
Chi è l'uomo? Una domanda 'radicale', che ci riguarda in prima persona singolare e che ci consegna un preciso compito filosofico, tanto urgente quanto ineludibile, ma che, al contempo, non può prescindere da una riflessione sull''essere nato'. In questo senso Alessandra Papa si propone di porre le basi per un'antropologia natale che si apra al Chi originario dell'uomo e pensi il sé proprio a partire da quella formidabile promessa di relazionalità che è la nascita. Del resto, nascere fra gli uomini è l'unica possibilità di umanizzarsi: Dio stesso ha scelto di nascere da una donna per chiedere ospitalità e cittadinanza nel mondo degli uomini, assoggettandosi a rimanere, per dirla alla maniera di Sartre, come una fragola di sangue in un grembo femminile. Nell'intento di delineare una semantica dell'umano alternativa alla consueta immagine dell'uomo - definito solo in base al suo essere 'mortale' e non già al suo essere 'natale' - il saggio prende in esame alcune figure morali della condizione umana e del pensiero nativo, facendone punto di riferimento per la riflessione filosofica. A iniziare da Giobbe, l'uomo savio che nella malattia maledice il giorno in cui è nato; per concludere, nell'epoca contemporanea, con il risentimento dell'uomo tecnologico di fronte al natum esse di Günther Anders e alla ripresa di quella potente categoria filosofica che è il natality di Hannah Arendt. Questo saggio, dunque, ci ricorda alla somma che la nascita - sia essa intesa come un giorno in calendario o come il segno di un 'Totalmente Altro' che ci chiama alla vita - è quell'evento 'assolutamente nuovo' con cui ognuno di noi viene al mondo fra altri uomini, portando sempre con sé la domanda fondamentale sul 'Chi' dell'uomo, sulla sua collocazione nello spazio identitario delle relazioni umane e sul significato del proprio agire.
I saggi giovanili di Hegel sono il documento del periodo in cui si va lentamente formando la sua visione storico-filosofica del mondo. Gli abbozzi, le carte private, gli appunti più distesi, i testi più elaborati che egli compone ma non pubblica dagli anni del ginnasio (1793) fino al suo trasferimento a Jena (1800) sono la testimonianza dei "principi" del suo pensiero. L'intento fondamentale di questo libro è quello di far risaltare il carattere fondativo, e non meramente cronologico, di questi inizi in rapporto ai temi maggiori della sua filosofia della religione e della storia, mostrando l'influsso fungente e per lo più implicito della teologia delle "Lettere" di Paolo sugli scritti giovanili di Hegel. Tale influenza si manifesta in modo rilevante proprio in rapporto alle categorie cruciali che muovono la riflessione delle "Jugendschriften": la dialettica fra la legge e l'amore, il contrasto fra spirito e lettera, il concetto di destino e il senso dell'esperienza religiosa. Sia Paolo sia Hegel vivono e pensano in un tempo di passaggio e di "ricapitolazione" della storia che proprio il cristianesimo sembra destinato a interpretare. In rapporto a tale comprensione, la categoria politica e insieme escatologica di agape (o della liebe) assume un valore essenziale. Come già l'apostolo Paolo aveva capito, il destino della religione appare indissociabile dal destino dell'amore.
Il volume offre l'edizione critica di alcuni testi teologici e filosofici di dom Robert Desgabets, benedettino cartesiano vissuto nel Seicento. Gli opuscoli sono editi prendendo per base le raccolte manoscritte conservate nella Biblioteca municipale di Epinal. Essi approfondiscono attraverso la prospettiva agostiniana e cartesiana il tema del rapporto e della collaborazione tra ragione e fede, con particolare attenzione ai misteri della Trinità, dell'Incarnazione e della trasmissione del peccato originale, oltre che alle tematiche della grazia, della predestinazione, della giustificazione e della natura degli angeli. Gli inediti, brevemente contestualizzati e corredati da un essenziale apparato di note, sono preceduti da un saggio introduttivo che, oltre a restituire il quadro storiografico di riferimento, contribuisce a illustrare l'apporto gabetiano ai dibattiti teologici, filosofici e scientifici del XVII secolo.
Dall'Antigone di Sofocle agli studi sul totalitarismo di Hannah Arendt, attraverso i contributi di Jacques Derrida e di Carl Schmitt, Alessandra Papa offre un interessante percorso filosofico dedicato al tema dell'inimicizia come relazione interpersonale e come 'luogo' teorico della politica e della cittadinanza. Un itinerario in cui, attraverso un dialogo e un confronto con molte voci del pensiero classico e della contemporaneità, si profila, con accenti innovativi, la questione antropologica come domanda sull'identità dell'uomo, cioè come discorso che interpella ognuno di noi in quanto artefice e preda delle dinamiche dell'ostilità, del conflitto, della guerra. Da Antigone che, per seppellire il cadavere del fratello, in nome della pietas, viola la legge della città, diventando così una nemica del potere, fino alle dinamiche della distruzione fisica del nemico che nelle logiche totalitarie istituisce il terribile segreto su cui fondare l'identità della politica, il volume ci introduce a una fenomenologia della vittima e del carnefice quale spaccato della condizione umana. Di fronte a un 'altro' che diventa segno di una minaccia reale o fittizia alla nostra identità, la vera sfida è quella di impedire che ogni forma di inimicizia degeneri in una violenza totalitaria che ci impedisca di cogliere il valore dell'umano come terreno su cui fondare un mondo comune e una polis accogliente. In fondo, in ogni nemico c'è, al contempo, un altro e noi stessi.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno Esperienza religiosa tenutosi presso la sede milanese dell'Università Cattolica il 17 e 18 novembre 2011 e organizzato nell'ambito del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa" promosso dal Dipartimento di Filosofia e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana. Per assicurare l'autonomia della ricerca razionale e per proteggere l'ambito religioso e della fede cristiana dai riduzionismi razionalistici è bene tenere ferma la distinzione tra filosofia e religione (e teologia). Ma vi è una seconda attenzione, legittima e completiva della prima, che merita di essere accuratamente indagata: l'unità della vita e l'atto dell'uomo credente o, più in generale, dell'uomo che cerca la verità e il senso della vita. Infatti la distinzione (anche dei saperi) trova il punto di unità nell'uomo e nella sua tensione al raggiungimento del suo fine ultimo. Queste alcune delle convinzioni dei promotori del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con le quali sono in gioco l'identità e la vita del singolo e della collettività. Tuttavia esse non hanno impedito - e anzi hanno alimentato - il confronto stretto con altre tradizioni di pensiero, nella consapevolezza che la dialettica, quanto più è intelligente e appassionata, tanto più conduce avanti nella conoscenza della verità.
Il volume affronta l'evoluzione dell'idea di intenzionalità nell'opera di Emmanuel Lévinas e sottolinea come l'autore progressivamente si orienti a una separazione tra momento intenzionale e momento etico, arrivando a cogliere nell'emozione l'unica possibilità di incontro con l'altro. Tale itinerario è interessante in quanto lascia emergere il tentativo di Lévinas di elaborare un nuovo modo di intendere la soggettività per reintrodurre la questione teologica nel dibattito filosofico contemporaneo. Lo scritto cerca di recepire l'istanza levinassiana, mettendo tuttavia in evidenza i nodi problematici che da essa emergono.
Guglielmo di Ockham (1280ca-1349), maestro francescano all'Università di Oxford, versatile figura di intellettuale, viene variamente definito innovatore, scettico, soggettivista, nominalista, pansemiotista, per la sua massiccia utilizzazione della logica nei diversi ambiti del sapere. Nelle sue opere infatti la logica assume una particolare importanza e apre nuove prospettive, alcune delle quali verranno successivamente sviluppate dalla moderna logica formale (come le dottrine dell'inferenza o dell'errore). "La logica di Ockham" si inserisce nel contesto di rinnovato interesse per la logica medievale, soprattutto dagli studiosi di scuola anglosassone, e offre un'analisi completa della posizione ockhamista a partire dalla "Summa logicae", opera di una poliedricità notevole. Attraverso un'attenta indagine dei testi, supportata dagli stimoli della più recente storiografia, viene presentata un'impegnativa ermeneutica volta alla puntuale ricostruzione filologica delle singole dottrine e alla ricerca della continuità con la testualità dei logici precedenti, vicini e lontani, per intercettarne la carica innovativa. Grande attenzione viene data alla semantica e alla semiotica, cosi come alle condizioni di verità delle proposizioni e alla logica modale.
C'è qualcosa di effettivamente tragico nella vicenda della sovranità di cui ci hanno parlato, sia pure in modi opposti, Kelsen e Schmitt, se è vera l'interpretazione che non c'è e non è possibile nessun soggetto della sovranità. Del resto, Kelsen ha sempre negato la sovranità con la stessa forza con cui Schmitt l'ha invece rivendicata e affermata. Ma che significato ha il loro percorso giuridico-politico sul piano etico e antropologico? E in che termini si può parlare di un'etica della sovranità, nella misura in cui una tale espressione allude a qualcosa di positivo e, dunque, di radicalmente incompatibile con quella mancanza che la riflessione di Kelsen e Schmitt avrebbe voluto testimoniare? L'idea di un'etica della sovranità è, in effetti, a portata di mano se si riflette adeguatamente sull'immagine classica dell'etica che ne rinviene l'oggetto nell'onere in quanto tale. E però si impone di forza l'interrogativo su come possa essere possibile la sovranità nell'esperienza degli uomini, data la sua dimensione relazionale e l'impossibilità di governare in senso assoluto il corso dell'azione umana.
Questo volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale "Filosofia e mistica", promosso dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Filosofia, e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI e svoltosi il 24-25 novembre 2010 presso la sede di Milano dell'Università Cattolica. Collocato all'interno di una serie di iniziative promosse dall'Ateneo sul tema della mistica, il Convegno è stato l'occasione per dare vita al più ampio progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con il quale si intende indagare filosoficamente i contenuti dell'esperienza religiosa nel loro valore teoretico e storico in ambito moderno e contemporaneo. In questa prospettiva, il volume, oltre a rendere conto dell'articolazione di un convegno che ha avuto una vasta eco e buona accoglienza nel mondo accademico italiano, risponde al risvegliato interesse per la mistica che, già da diversi anni, caratterizza il mondo occidentale e che, troppo spesso, si traduce in un sincretismo religioso dai contorni vaghi. Le relazioni qui contenute intendono chiarire molte delle ambiguità presenti in questo rinnovato interesse, individuando lo specifico statuto concettuale della mistica, tentandone una fondazione rigorosa e ponendo in chiaro la sua relazione fondamentale con l'esperienza cristiana.
La liberazione della donna e della generazione non può essere vera senza una seria riflessione antropologica ed etica. Ma il tortuoso cammino che tale liberazione ha percorso e sta percorrendo, enfatizzando in modo unilaterale la volontà soggettiva, ha rischiato di perdere l'etica per strada: un'etica smarrita della liberazione, nel duplice senso di un'etica che non sa più dove andare, confusa, e di un'etica che è stata persa, a volte per assenza di pensiero. Sono passati poco più di tre decenni dalla nascita di Louise Brown e le biotecnologie legate alla generazione umana sono ormai vissute e rappresentate solo nella loro dimensione tecnico-pratica. Cercando di ricostruire criticamente la storia del pensiero femminile che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo delle nuove tecnologie riproduttive, questo testo prende in esame l'apporto di Simone de Beauvoir, mettendo in luce la ricaduta del suo pensiero sull'interpretazione delle nuove biotecnologie e sulla traiettoria della comprensione del rapporto tra maternità e libertà. Il filo conduttore scelto è quello della relazione - tra i generi, col proprio corpo, tra gli esseri umani -, prospettiva e punto di partenza fecondo per la comprensione dei beni in gioco nella procreazione umana.
Il tema della natalità si pone come crocevia di molte tematiche arendtiane, a cominciare da quelle che riguardano il significato della vita politica, per passare attraverso i temi dell'identità, delle relazioni, del dolore, dell'amicizia, della promessa e del perdono. Il testo di Alessandra Papa percorre le questioni del rapporto tra il venire al mondo e il vivere nel mondo attraversando le opere di Hannah Arendt, e prestando particolare attenzione anche a quegli aspetti meno frequentati del suo pensiero, come le note a margine, le metafore, cioè quei riferimenti che la pensatrice chiama analogie congelate. Ne esce un quadro articolato, in grado di interagire con molte pagine della tradizione filosofica occidentale, interpellate attraverso la riflessione della stessa filosofa tedesca. Il risultato di questo lavoro non è soltanto quello di restituirei una lettura più complessa ed articolata del rapporto tra natalità e politica in Arendt, ma quello di fornire elementi teorici per una rilettura della questione antropologica nell'epoca in cui la politica ha la tentazione di “mettere le mani” sulla vita e diventare biopolitica.
Nell'Aprile del 1802, alla vigilia di un Concordato che avrebbe ristabilito i rapporti fra la Santa Sede e la Francia di Napoleone, Chateaubriand dava alle stampe il “Genio del Cristianesimo”, un'apologia della fede cattolica il cui argomento di fondo era l'evidenza estetica della verità del cristianesimo: la bellezza delle forme culturali che il cristianesimo ha assunto nella storia non è che il riflesso della verità dei suoi fondamenti. L'apologia sarebbe diventata in pochissimo tempo il libro più letto d'Europa, offrendo un contributo essenziale alla rianimazione del religioso nella Francia postrivoluzionaria. Associato alla liquidazione novecentesca del fenomeno romantico, l'apologia estetica di Chateaubriand sarebbe stata poi a lungo riposta nello scaffale delle opere prive di una dignità storica. Nemmeno la cultura religiosa e teologica sarebbe stata capace per molto tempo di vedervi qualcosa di più che un ingenuo e impreciso catechismo estetico. Ma agli occhi della teologia di oggi, istruita dalle istanze del pensiero contemporaneo, il tema estetico celebrato nel “Genio del Cristianesimo” torna a suscitare interesse. Rimesso sui binari di transiti storici non convenzionali, può essere riletto come un'opera densa di importanti sollecitazioni teoriche che la teologia dell'epoca non aveva saputo riconoscere, ma che dal punto di vista delle svolte teologiche contemporanee, appaiono chiare e pertinenti.
Ripercorrendo le tendenze fondamentali dell'epoca presente nell'ambito della filosofia prima, i saggi contenuti in questo volume mettono a fuoco i modi in cui la filosofia, a partire dall'esperienza dell'uomo nel mondo, può elaborare una riproposizione della metafisica capace di confrontarsi criticamente con importanti luoghi di riflessione, individuabili soprattutto nei riferimenti implicati dal trinomio "esperienza, fede, razionalità", sia sul piano concettuale, sia sul piano dell'analisi della situazione storica del pensiero contemporaneo. Tale obiettivo si traduce nella scelta convinta di ampliare gli orizzonti della speculazione e della produzione filosofica, oggi quasi esclusivamente incentrati o sull'immanenza relativistica, oppure sull'attualità e sulla misurabilità degli eventi. La struttura delle ricerche è andata così orientandosi in direzione della formulazione di una proposta metafisica in grado di garantire la duplice istanza filosofica fondamentale, della trascendenza e dell'esibizione storica del suo senso.
La vita è sempre emotivamente "intonata". I sentimenti dell'allegria e della tristezza, dell'euforia e dell'angoscia, della felicità e della malinconia (ma anche le situazioni apparentemente "apatiche", come quelle della noia) pervadono l'esistenza e le conferiscono una colorazione particolare. È solo all'interno di questa atmosfera emozionale che avviene il contatto con gli oggetti, la percezione delle cose e delle persone, l'incontro con il mondo. Le tonalità emotive stanno dunque a fondamento di tutta la vita psichica: sono i modi del sentire che schiudono (o precludono) le molte forme dell'essere nel mondo. Il trattato di Otto F. Bollnow a cura di Daniele Bruzzone, esplora la natura e le implicazioni filosofiche, psicologiche ed etiche di queste tonalità emotive, dialogando con pensatori come Kierkegaard, Scheler, Heidegger, Jaspers, Binswanger, ma anche con scrittori e poeti come Goethe, Hölderlin, Baudelaire, Proust, Huxley. Ne scaturisce un quadro di straordinario interesse non soltanto per i cultori dell'antropologia filosofica, ma anche per quanti lavorano nell'ambito delle relazioni umane e, in generale, per chi è interessato a conoscersi meglio e a comprendere la vita emotiva.